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Contrada, il reintegro in Polizia e la sentenza mai revocata PDF Stampa E-mail
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Scritto da Aaron Pettinari   
Domenica 15 Ottobre 2017 15:50
di Aaron Pettinari - 15 ottobre 2017

Il capo della Polizia Franco Gabrielli ha revocato il provvedimento di destituzione di Bruno Contrada, ex dirigente della Criminalpol di Palermo e numero tre del Sisde, che potrà nuovamente “vestire” una divisa. Una “presa d’atto”, come spiegano dal Viminale, dopo la notifica della sentenza della Cassazione, che ha dichiarato “ineseguibile e improduttiva di effetti penali la sentenza di condanna” a dieci anni per concorso esterno in associazione mafiosa, divenuta definitiva nel 2007. Così come chiedeva la Corte di Strasburgo, che aveva condannato l’Italia a risarcire il poliziotto, nel provvedimento di Gabrielli si riconosce per il periodo compreso tra il 13 gennaio del 1993, data di decorrenza della destituzione, e il 30 settembre del 1996, giorno dal quale Contrada è andato in pensione, il trattamento economico che spettava al funzionario di polizia.
Ancora una volta c’è chi parla di “revoca” della sentenza di condanna, di “persecuzione” nei confronti di Bruno Contrada, di “ingiustizie subite” e di “restituzione dell’onorabilità”.
In realtà nelle motivazioni della sentenza con cui la Corte di Cassazione ha recepito le indicazioni della Corte di Strasburgo non una parola viene spesa nell’analisi dei fatti che hanno visto Bruno Contrada protagonista, né compare la parola “revoca della sentenza che ha portato alla condanna. Né, tantomeno, si parla di “assoluzione” dell’ex numero tre del Sisde.
Nel caso di specie - scrivono i Supremi giudici - non vi è in effetti alcuno spazio per revocare il giudicato di condanna presupposto, la cui eliminazione non è richiesta, né direttamente né indirettamente, dalla Corte EDU”. Diversamente è messo nero su bianco che “la sentenza emessa nei confronti di Bruno Contrada dalla Corte di appello di Palermo il 25/02/2006, divenuta irrevocabile il 10/05/2007, deve essere dichiarata ineseguibile e improduttiva di effetti penali”. Come ha commentato Salvatore Borsellino, Bruno Contrada, come funzionario della Polizia, “non poteva non sapere che i rapporti, accertati, da lui intrattenuti con l’associazione mafiosa non costituissero un reato”. E i fatti accertati nelle sentenze sono “chiari”. Basti pensare, ad esempio, alla concessione della patente ai boss Stefano Bontate e Giuseppe Greco o l’intrattenimento di rapporti privilegiati con Michele e Salvatore Greco o gli incontri con boss come Saro Riccobono e Calogero Musso. Durante il processo era emerso come l’ex poliziotto rivelava segreti d’indagine in cambio di favori e regali.
E ad accusare Contrada c’erano collaboratori di giustizia come Gaspare Mutolo ma anche magistrati come Carla Del Ponte, Antonino Caponnetto, Mario Almerighi, Vito D’Ambrosio, Giuseppe Ayala ed anche Laura Cassarà, la vedova del commissario Ninni, assassinato dalla mafia. Fatti che non vengono cancellati da nessuna sentenza. E il Capo della Polizia Gabrielli avrebbe dovuto ricordarli, senza nascondersi dietro al vincolo de “l’atto dovuto”.


Aaron Pettinari (AMDuemila)


Foto © Ansa

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