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Home Documenti Altri documenti Processo Borsellino Quater, Fabio Repici: 'Una giustizia dignitosa non può condannare Scarantino'
Processo Borsellino Quater, Fabio Repici: 'Una giustizia dignitosa non può condannare Scarantino' PDF Stampa E-mail
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Scritto da Fabio Repici   
Mercoledì 19 Aprile 2017 22:09
di Fabio Repici - 19 aprile 2017

Pubblichiamo l'intervento del nostro avvocato Fabio Repici, difensore della parte civile Salvatore Borsellino, in occasione delle controrepliche finali nel processo 'Borsellino Quater'. La sentenza è attesa per domani, giovedì 20 aprile, nel tardo pomeriggio.


(...) Ho avuto modo di verificare che c'è una prevedibilità nelle cose, negli atteggiamenti, e che non sempre sono da ricondurre a ciò che uno immaginerebbe a primo acchito ma ad altro. Perché, signor presidente, giudice a latere e giudici popolari, voi sapete bene che, quando ha parlato il difensore parte civile Salvatore Borsellino, i banchi della pubblica accusa erano vuoti, in una situazione che, se proprio si fosse voluto scadere nel formalismo, in quell'occasione la procura avrebbe dato causa ad una nullità, come è noto ai signori procuratori della repubblica.

Per fortuna ci sono le dirette di Radio Radicale, ci sono le trascrizioni, e quindi quella trascuratezza conclamata e resa in modo plateale dalla assenza dal proprio posto, obbligatorio per legge, è stata in qualche modo supplita.

Io ho apprezzato molto anche il garbo del procuratore Bertone e mi ha stranizzato che si sia (adombrato) del presunto mancato garbo di chi vi parla ora, perché, signor procuratore Bertone, lei a lungo è stato assente da questo dibattimento e quindi probabilmente le sarà mancato di verificare come, quasi per riflesso pavloviano, il suo ufficio spesso, a qualunque tipo di riflessione contrapposta e non adesiva da parte di altri, ha avuto la reazione dei cani di Pavlov. E ricordo un episodio che ha avuto una gravità inaudita, allorché, a mio modo di vedere, e allorché, poiché tutto ciò che contrasta il loro dire era qualcosa di falso, di dolosamente falso, si arrivò a dire che erano false le trascrizioni di un'udienza, fatte dal povero usuale trascrittore, che aveva trascritto ciò che aveva sentito, ed aveva sentito ciò che era stato detto, e però i pubblici ministeri non erano contenti di quella trascrizione, tanto da arrivare a chiedere, ed è la prima volta che mi capita nella mia vita professionale, e sono sicuro sarà stata la prima volta anche per giudici togati e per i pm... fu chiesta perizia sugli audio dell'udienza per rendere difformi le trascrizioni rispetto a quelle dell'ausiliario incaricato dalla Corte. E non so se di questo il signor procuratore Bertone era stato messo a conoscenza. Però questo è ciò che è avvenuto in corso di dibattimento.

E allora, andando al merito. E' vero, ha ragione il procuratore, a lungo la procura della Repubblica ha percorso sentieri di prova aggiuntivi rispetto a quelli della mera responsabilità penale degli odierni imputati. È vero. E, mi viene da dire, c'è prova documentale agli atti del procedimento, basta leggere la richiesta di misure cautelari, inoltrata a suo tempo dall'ufficio del pubblico ministero. Oggi, a conferma, e ringrazio anche di questo il procuratore Bertone, a conferma che ad un certo punto il percorso ha preso un'altra piega, il procuratore Bertone vi ha segnalato che alcune cose la procura non le aveva trascurate. Ma le aveva asseverate facendo riferimento a quale fonte di prova? Ad una richiesta di misura cautelare. Ed è una prova? E' un atto che ha valore di prova? La corte, nel ricostruire i fatti per cui è a processo, dovrebbe fare riferimento alla richiesta di misura cautelare, signor procuratore?

È ovvio che no. E ovvio che è una involontaria ammissione. E cioè che alcune cose che nella richiesta di misure cautelari ci sono scritte, e non le ho scritte sicuramente io, le scrisse proprio l'ufficio dei pm, salvo poi in sede di requisitoria alcune distoglierle dal proprio campo di attenzione. E questo è quel che è avvenuto; e se questo è quel che è avvenuto, ci saranno delle ragioni. Io escludo che ogni parola pronunciata durante la lunghissima requisitoria del pubblico ministero non sia fondata su un perno di razionalità. Ma proprio perché è razionale, è voluto. E se è voluto, ha delle ragioni.

Io, al momento in cui ho fatto il mio intervento e sono certo (...) di avere svolto nel modo mediocre nel quale io lo posso svolgere, ma di avere svolto in pieno il mandato difensivo che mi era stato dato e ciò basta per dire che io ho assolto il mio compito, sicuro in modo sincero e trasparente e rispondendo al mandato che mi era stato dato.

E se è vero che alcuni percorsi aggiuntivi rispetto alle responsabilità degli odierni imputati e in qualche modo trattati dall'ufficio del pm.. e che oggi stesso il pm Bertone dice che non si esclude la possibilità che vi siano stati concorrenti nell'esecuzione e nella preordinazione delle stragi, concorrenti estranei all'organizzazione criminale cosa nostra. E poi ha aggiunto che però le teorie devono essere supportate, certo questo è ovvio, nel processo che non sia a carico di  Madonia e Tutino per strage c'è necessità della prova oltre ogni ragionevole dubbio del concorso del terzo eventuale imputato, quando sarà. Certo è che delle risultanze di prova bisogna occuparsi, proprio per incasellare meglio la posizione degli imputati rispetto al quadro più complesso della vicenda, senza tentare vie di fuga di tipo fumettistico e ipotizzare anche l'intervento di Paperinik, come si è detto in altro dibattimento da parte dello stesso ufficio del pubblico ministero. Perché quello è atteggiamento poco ortodosso e poco consono alle forme di un processo.

La verità è questa. Il sottoscritto difensore è convinto che le prove che sono state acquisite in questo dibattimento forniscano certezza che assieme a cosa nostra e agli odierni imputati hanno concorso anche soggetti estranei a cosa nostra. Quei soggetti devono essere individuati dalla procura della Repubblica e devono essere portati a processo dalla procura della Repubblica.

Una cosa la si può dire con certezza, oltre ogni ragionevole dubbio: che quella corresponsabilità esterna a cosa nostra c'è stata per la strage di via D'Amelio.

E tralascio il riferimento alla povera Francesca Morvillo perché, rispetto alla strage di via D'Amelio, non vedo cosa c'entri. Forse si sarebbe dovuto approfondire un altro tema, che era l'operato del procuratore Tinebra nelle prime indagini. Ma su quello non ho sentito nulla quindi nulla posso replicare.

E mi trovo a controreplicare a delle mancate repliche, perché si è criticato con dovizia di sforzo mentale e retorico le mie parole e poi non trovavo mai quale invece fosse la versione corretta che smentiva la mia prospettazione.

E io ho detto che non c'è dubbio che a un certo punto della sua storia cosa nostra ha progettato dei delitti e non c'è dubbio che a un certo punto tra le vittime di uno dei delitti ci fu l'allora ministro Calogero Mannino. E' un fatto? Sì. E' un fatto che questa notizia sia stata conosciuta fuori da cosa nostra? Direi che è un fatto.. e dire che l'attentato a Mannino è stato conosciuto fuori da cosa nostra.. è stato saputo da una delle vittime, che... a chi si rivolge? E qui il procuratore Bertone è venuto meno al suo sforzo. Era vivo Falcone, era vivo Borsellino, esisteva la giurisdizione e la magistratura che la ossequiava.. e a chi si rivolge? Forse alcuni ufficiali del ROS e ad un funzionario del Sisde? E forse al generale Subranni per il tramite di Giuliano Guazzelli e a Bruno Contrada? Direi di sì.. e allora ma era proprio un fuor d'opera il mio riferimento al generale Subranni?

E io mi auguravo che almeno su una cosa tutte le parti fossero d'accordo.. e invito la Corte a seguire l'indirizzo.. e cioè che le parole di Paolo Borsellino portate all'attenzione dei giudici da Agnese Piraino Borsellino almeno quelle.. vi prego non mettiamole in dubbio.. ma neanche minimamente.. e se non le possiamo neanche minimamente (mettere) in dubbio, ce la vogliamo dare una risposta a questo quesito? Ma cosa poté passare per la testa di Paolo Borsellino quando disse alla moglie, sempre tenuta lontana da vicende di lavoro e da tutti i suoi pericoli, che Subranni era punciuto? Procuratore Bertone, non ha detto "è colluso", ha detto "è punciuto", cioè come lei sa, battezzato in cosa nostra.. e allora, erano un fuor d'opera le cose che ho detto a riguardo? Persino sugli epigoni di quel mondo politico manniniano, che non è morto quel mondo politico, è vivo e lotta insieme a loro. Oggi al governo. E allora non è che ci si può sentire punti da non si sa che cosa se ci sono dei riferimenti all'attualità del potere dei figli degli epigoni di quel sistema. Perché forse se uno riflette magari qualche risposta la trova.

Castello Utveggio. E ritorno a Agnese Borsellino anche qui.. francamente devo dire che ho scarse capacità speculative per comprendere cosa abbia voluto dire il procuratore Bertone e chiedo scusa ma così è.. io sono rimasto alle parole di Agnese Borsellino e che suo marito diceva che bisognava chiudere le finestre perché c'era la possibilità di essere spiati dal castello Utveggio. Non di essere presi a cannonate o a colpi di fucile ma spiati, che è una cosa diversa. Nello sforzo temerario di dare a questa affermazione di Agnese Borsellino, che mi auguro non voglia essere messa in dubbio nella sua veridicità, nello sforzo temerario di dare altro significato a quelle chiarissime parole, perché perfino io che sono limitato nelle mie capacità speculative l'ho capito, oggi il procuratore Bertone a cosa attribuisce quelle parole? Naturalmente con una ricostruzione che in nessun modo tiene in conto le parole di Agnese Borsellino, le attribuisce all'interessamento del prefetto Parisi sulla sicurezza di Paolo Borsellino; però fa una scivolata il procuratore Bertone, perché facendo questo collegamento, del tutto congetturale e alla luce delle parole di Agnese Borsellino, inventato e non se ne adonti il procuratore. E dice.. era la protezione che Parisi cercava di garantire a Borsellino per attentati di cosa nostra.. così è stata ricostruita. O io ho una amnesia tremenda o non ricordo sia emerso qualche dato probatorio che possa indurre a dire che castello Utveggio fosse di cosa nostra... c'era un frequentatore, uno che aveva contatti con castello Utveggio che era cosa nostra, ma era, per utilizzare parole di chi parla meglio di me, era un anfibio .. Gaetano Scotto, uomo di cosa nostra ma anche uomo di Stato, anzi di apparato. Ma tutto oggi può dire tranne che il castello Utveggio fosse di cosa nostra. E che quindi il prefetto Parisi nel pensiero, non si sa se mai detto, di blindare i vetri di casa Borsellino da possibili pericoli che potevano derivare all'incolumità del dottore Borsellino e ai suoi familiari da castello Utveggio, abbia inteso dire che il castello era di cosa nostra. Questa è una novità dell'ultima ora di cui prendo atto.
(...) Agnese Borsellino parla dell'Utveggio e la procura cerca una ricostruzione che va controtendenza.. io preferisco prestar fede alle parole di Agnese Borsellino.

E la confusione tra ciò che è cosa nostra e cio che è altro.. il procuratore Bertone l'ha fatto, in coerenza logica, mi viene da dire, subito dopo, parlando dell'agenda rossa. Sul punto il procuratore Bertone ha ammesso che effettivamente quello è un buco nero gravissimo. Eh, ci siamo arrivati dopo 25 anni. Si è citata l'intervista - no so quale fonte di prova presenti - del presidente Grasso, però mi chiedo, e chiedo al procuratore Bertone, ma che c'entra cosa nostra con l'agenda rossa? Eh no, perché è qui il punto dolente. Perché noi abbiamo dimostrato a voi anche con immagini come l'agenda rossa sia stata trafugata dalla borsa di Paolo Borsellino mentre c'erano ancora le fiamme in via D'Amelio e vi abbiamo dimostrato che a trafugarla non sono stai né Tutino né Madonia .. e non ci sono dubbi che sia stato un appartenente alle istituzioni e su questo neanche la procura può avere dubbi.

E allora il buco nero è riconosciuto dalla Procura a 25 anni. È il buco nero che riguarda le ricostruzioni sulle responsabilità degli uomini di cosa nostra? No. È il buco nero sulle responsabilità degli apparati dello Stato, uno dei quali era stato individuato e sottoposto a processo e prosciolto con la sentenza che tutti noi conosciamo, non so cosa ne pensi la procura.. all'epoca la impugnò. E se si fossero applicati i criteri enunciati dalla Cassazione sull' art. 425, quella non aveva ragione di essere. Però ho segnalato e lo segnalo ancora al procuratore Bertone, che quell'imputato Arcangioli rinunciò alla prescrizione e quindi è a vostra disposizione.

E qui altro argomento.. e cioè si citava l'intervista al presidente del senato.. e voglio assicurare: io non ho ironizzato per nulla. Ho preso atto della circostanza che lo scenario di cartapesta del Truman show costruito con l'impostura Scarantino, con il depistaggio Scarantino, non è disvelato da un uomo di Stato ma da Gaspare Spatuzza e questa non è ironia, procuratore Bertone, ma mero realismo. Direi perfino accorato realismo.

Ma certo è che così è stato e questo la dovrebbe invitare, procuratore Bertone, ad un'altra riflessione e non è vero che nei ranghi di cosa nostra siano stati pochi e sempre di basso livello i soggetti che hanno collaborato con lo Stato. Brusca Giovanni, Cancemi Salvatore, Nino Giuffré, tutti componenti della commissione. Vero, non hanno collaborato con la giustizia Riina, Provenzano e i fratelli Graviano e qualcun altro ma soggetti vertice di cosa nostra hanno collaborato e c'è un ambito dal quale non è arrivato nessun collaboratore giustizia.. ed è l'ambito che riguarda i grandi buchi neri. Le deviazioni istituzionali. Perché al momento in cui si dice che c'è stata una compartecipazione esterna a cosa nostra, si dice una cosa grande come un grattacielo. E allora, certi buchi neri a mio modo di vedere li si sarebbe potuti rendere quanto meno un po' grigi e avvicinare al bianco in alcune occasioni, piuttosto che mantenerli neri.

Certo è che ciò avviene non per mancanza del pentito di grande livello, che tutti ci auspichiamo proveniente da cosa nostra, ma perché dagli apparati delle istituzioni, che sono a volte più pericolosi di cosa nostra, anche nelle loro reazioni, come la storia d'Italia dimostra, non è ancora arrivato un collaboratore di giustizia.

Candura (...) che smentisce in modo accorato ogni sua responsabilità per quell'omicidio. Io prendo atto che, anche per il procuratore Bertone, Candura in questa versione è attendibile. Se parla dei poliziotti no ma in questo caso sì. Ne prendo atto. Solo che c'è un fatto. Perché noi qui stiamo procedendo non su degli omicidi palermitani ma sulla strage di via D'Amelio. E non c'è dubbio che Candura con la strage di via D'Amelio non ci azzeccava niente. E però c'è una cosa che il procuratore Bertone ha omesso di replicare al mio intervento e che è la cosa principale che io avevo segnalato, che è la prova della patologia di quel dato, è che le relazioni di servizio postume sono sempre poco genuine. E allora se la relazione di servizio fosse stata scritta dai carabinieri così colpiti dall'affermazione di Candura e allora va bene, c'era una ragione. Ma quella relazione di sevizio i carabinieri la fecero dopo l'intervento deviante della polizia e sul calendario, mi dispiace, mistificazioni non se ne possono compiere. E non c'è dubbio che quella relazione di servizio dei carabinieri sulle parole di Candura che sulla strage di via D'Amelio non c'entravano nulla, vengono utilizzate per supportare l'immediato depistaggio costituito in quel momento dalla polizia sulla strage di via D'Amelio.

(...)

Sul pentito Ferone non c'è dubbio che il procuratore Bertone ne sa centomila volte meglio di me, anche sui buchi neri di un qualche omicidio commesso da Ferone a Catania; però, sul duplice omicidio Agostino-Castelluccio ne so qualcosa di più io. Ma come si fa a sostenere che è normale che nell'album fotografico mostrato a Vincenzo Agostino il sette agosto 1990, due anni prima della strage di via D'Amelio, sentendolo alla squadra mobile di Palermo sull'uccisione di suo figlio, il poliziotto Nino Agostino, come si fa a dire che è normale che ci fosse la foto di Vincenzo Scarantino, che era al più un delinquente che con cosa nostra non c'entrava niente, salvo il suo rapporto con il cognato Profeta - ha detto bene il procuratore Bertone - della Guadagna? Ora, c'è anche un altro difensore di parte civile che conosce bene le vicende dell'omicidio Agostino, perché uno degli indagati attualmente è una delle parti civili in questo processo e si chiama Gaetano Scotto. E Scotto con la Guadagna non c'entra niente. Nell'omicidio Agostino la Guadagna non c'entra niente. È davvero incommentabible, procuratore Bertone, sostenere che fosse normale che alla squadra mobile di Palermo, nell'album fotografico da sottoporre all'attenzione di Vincenzo Agostino, per riconoscere un soggetto che poi, nella ricostruzione di Vincenzo Agostino, era insieme proprio a quel Gaetano Scotto, fosse normale che ci fosse la fotografia di Vincenzo Scarantino. No, non è normale, per nulla! Aggiungo, è la prova di un fatto, perché non mi si dica che Scarantino avesse un curriculum criminale che poteva consentire il sette agosto del novanta al dirigente della squadra mobile e ai funzionari del squadra mobile di Palermo di averne diretta ed immediata conoscenza... non lo si dica, perché con il tasso di alta criminalità che c'era  in quegli anni a Palermo... e lei, signor presidente, lo sa meglio di me.. lei capisce che c'erano almeno migliaia e migliaia di persone dal curriculum criminale ben superiore a quello di Vincenzo Scarantino e come è possibile mai che al funzionario della squadra mobile gli viene in testa la foto di chi? Di Gaetano Scotto? No. Di Pietro Scotto? No. Di Vincenzo Scarantino. No, signor procuratore Bertone, questa sua tesi è irricevibile. E' la razionalità che la rende irricevibile e sono i dati di fatto. E prove acquisite in questo procedimento. Se poi quella pretesa (...) deve servire come scivolo per dire che è falso quanto affermato da Scarantino, che gli volevano far confessare pure la responsabilità sull'omicidio Agostino, e che questa sarebbe una calunnia ai danni del dottor La Barbera e del dottore Bo, io mi auguro che la procura della Repubblica non si voglia imbarcare in questa ipotesi.

I colloqui investigativi. E' vero che nella richiesta di misura cautelare è stato trattato in modo adeguato il tema, il punto però è molto più banale. Ci sono due fatti che hanno una dimensione eclatante. Uno: la Procura della Repubblica di quei tempi inseguì letteralmente, dopo averlo condotto in carcere, Vincenzo Scarantino, o meglio, si fece condurre dal dottor La Barbera e dalla squadra mobile, poi gruppo Falcone-Borsellino, a inseguire Vincenzo Scarantino. Signor procuratore Bertone, dopo Scarantino furono emesse misure cautelari in serie, fino al pentimento di Scarantino. Ad esempio Pietro Scotto, per dire, a maggio del novantatrè finì in carcere quale responsabile della strage di via D'Amelio. Gaetano Scotto poté darsi alla latitanza abbastanza tranquillo (...). Quanti colloqui investigativi sono stati fatti con Pietro Scotto? Quante torture sono state praticate a Pietro Scotto? Pietro Scotto non era il cognato dell'uomo d'onore della Guadagna, Profeta, era il fratello dell'uomo d'onore, non della Guadagna ma dell'Acquasanta, cioè del mandamento di Resuttana, cioè di via D'Amelio. E perché questi poliziotti che assediavano Scarantino al povero Pietro Scotto l'hanno trascurato? Allora numero uno, è stato inseguito Scarantino. Quelle indagini furono la caccia a Scarantino. Gli sforzi maggiori di quelle indagini furono far collaborare Scarantino. Questo è un dato non smentibile, perché lo dimostrano tutte le prove acquisite in questo processo. Una risposta la dobbiamo dare? Perché bisognava fondare tutto sul pentimento di Scarantino e non di Pietro Scotto o di chiunque altro? Perché? C'è una logica? La logica è una sola. Che Scarantino era il soggetto che, nel pensiero dei funzionari di polizia, consapevoli, era del tutto estraneo a cosa nostra, era il pupo che poteva essere portato in ogni dove. Non così si sarebbe potuto fare con soggetti diversi. E il secondo dato eclatante: i colloqui investigativi nelle modalità con cui sono stati fatti. Ma che senso ha, cito le parole del procuratore, dire che "c'è stato un comportamento scorretto della polizia"? Scorretto. Nelle aule di giustizia si dovrebbero utilizzare termini propri. "Scorrettezza" è un termine che vuol dire tutto e niente. La domanda è: sono stati commessi reati, si o no? E non... per favore, è un dovere, sarebbe stato un vostro obbligo di legge. La scorrettezza, è uno slittamento terminologico per non dire nulla. Perché con il termine 'scorretto'... sì, i poliziotti sono stati un po' scorretti, sono stati un po' cattivelli... che vuol dire? Nel compiere quegli atti, i colloqui investigativi, nel fare quelle pressioni, sono stati commessi reati o no? Io ancora non l'ho sentita qual è la posizione della procura. Se prendo atto della richiesta di archiviazione, prendo atto che per loro non c'è prova che sono stati compiuti reati. Sono stati "scorretti". E invece voi una risposta la dovete dare perché qui la presunta scorrettezza che in realtà è una illiceità, una illegalità nell'operato di appartenenti allo Stato, è una cosa che ha una coerenza logica insuperabile. Perché è stato messo il rapinatore di Venezia con Scarantino e non con Pietro Scotto? Perché è stato messo il confidente di Ricciardi con Candura e non con Pietro Scotto? Perché è stato messo Andriotta con Scarantino e non con Pietro Scotto? Ma lo vedete che è evidente davanti a tutti voi che c'è una coerenza granitica in quell'operato? E qui la procura dovrebbe anche mettersi d'accordo con se stessa. (...) Perché se nei verbali di Scarantino sono state dette falsità, e lo sono, quelle falsità sono state ricercate con un'attività spasmodica sin dal primo momento. Dal fermo di Candura. E prosegue incessantemente, non solo fino alla collaborazione di Scarantino, perché, presidente, i colloqui sono anche successivi e come li spieghiamo? E' ovvio. E come lo spieghiamo il sopralluogo fantasma? Come le spieghiamo queste cose se non con la necessità di tenere sotto scacco Scarantino?  E passo al dato... io ho rilevato come non solo dati storici acclarati, i colloqui, i confidenti messi accanto, non solo le dichiarazioni di Scarantino, non solo le dichiarazioni di Rosalia Basile... ha detto la verità la signora Basile? Io nella replica non sono sicuro di aver capito bene. Forse lei ha detto la verità ma chi l'ha riferita a lei non ha detto la verità. Era questo il senso? E ciò che la signora ha detto per averlo visto lei? Ad esempio un tale Mario Bo a San Bartolomeo a Mare? La signora Basile ha detto la verità o no? Perché lì non gliel'ha raccontata Scarantino. C'era lei. E ci sono anche delle altre fonti di prova.
Io ve le ho segnalate. Non due uomini da poco di cosa nostra ma Giovanni Brusca e Gaspare Spatuzza vi hanno riferito... e per altro si leggano bene quelle deposizioni, non è l'unica fonte, Nicola Di Trapani. Vi hanno riferito di aver appreso di torture compiute ai danni di Scarantino. Oggi il procuratore della Repubblica si è trattenuto lungamente su una sentenza del pretore di Livorno (...) e viene presa utile per dire che non c'è prova delle torture ai danni di Scarantino, perché questo mi è sembrato il senso. Le torture a Pianosa ci sono state ma solo fino all'autunno del 1992, Scarantino ci è arrivato nell'autunno del 1993, ergo, logica aristotelica ferrea, ergo Scarantino non ha subito torture. Allora, signor presidente, noi dobbiamo affrontare non solo ciò che ha detto Scarantino, non solo ciò che ha detto sua moglie, ma anche ciò che hanno detto Brusca e Spatuzza. Il pubblico ministero vuole mettere in dubbio che Nicola Di Trapani abbia detto il vero a Brusca? Dobbiamo smantellare, vuole smantellare l'intera architettura giurisprudenziale su cosa nostra? Vuole provocare revisioni di migliaia di processi? E' questo il senso? Presidente è troppo semplice e lei l'ha già colto. Si può dire "eh ma non c'è la prova che Nicola Di Trapani abbia detto la verità a Brusca oppure che non sia stata detta la verità a Spatuzza"? Perché se questo è il principio non facciamo più processi su cosa nostra. La verità è che Nicola Di Trapani, in quanto uomo d'onore di cosa nostra, aveva l'obbligo di dire la verità sia a Brusca che a Spatuzza. Sia a loro sia a chiunque degli appartenenti a cosa nostra. E allora,  due sono le ipotesi: o Brusca e Spatuzza sono inattendibili oppure c'è una convergenza di due fonti attendibili. Che si aggiungono ad altre fonti, una delle quali è teste di assoluto disinteresse in questo processo, che è la signora Basile, che del marito non vuole sentire neanche il nome e che però ha testimoniato secondo verità, come ogni buon cittadino dovrebbe fare e come in molti soggetti istituzionali in questa sede non hanno fatto. E allora la domanda è: Scarantino è stato sottoposto effettivamente a pressioni da parte di soggetti istituzionali? E quelle pressioni avevano come fine di indurlo ad accettare di collaborare? A quel punto, e qui il sillogismo del maestro della logica ci dovrebbe accompagnare, dobbiamo trarre l'inferenza. E cioè che delle forze di polizia hanno fatto pressione su Scarantino per indurlo a svolgere il ruolo di collaboratore di giustizia sapendo chi era Scarantino. E chi fosse Scarantino non è che fosse un segreto. Voi avete appreso che quando fu sentito in seduta congiunta dai pubblici ministeri di Palermo e Caltanissetta ci fu qualcuno che si mise a ridere. Ora, o a Palermo erano dei geni, e non mi pare, oppure a tutti bastava vederlo e sapevano chi era Scarantino. E questo è un preordinato disegno in cui c'è un dolo che contempla la premeditazione. Perché è da settembre novantadue che la Polizia di Arnaldo La Barbera cerca di arrivare a quel risultato. E quando quel risultato viene messo in crisi con un coraggio che nessuno degli uomini di stato che hanno attraversato quelle vicende ha avuto, viene messa in crisi da quel balordo di Vincenzo Scarantino, qual è la reazione? Se non c'era un interesse personale, perché si doveva avere timore che Scarantino ritrattasse? Non è normale? Un cittadino rende delle dichiarazioni, l'autorità ne prende atto, le raccoglie a verbale, diventano un atto formale. Scarantino cerca di sottrarsi alla prigionia nella quale era stato coartato dallo Stato e telefona ad un giornalista. Ora, qui il gioco delle tre carte non si può fare. Delle due l'una, o si dice che Scarantino ha ritrattato solo quando è stato messo con le spalle al muro - e si dice una cosa falsa se si dice questo, indubitabilmente, spudoratamente falsa - oppure si prende atto delle risultanze. Falsa perché al luglio del 1995 quali erano le forze che mettevano Scarantino con le spalle al muro? Chi era? Mario Bo? Arnaldo La Barbera? Chi era? Il servizio centrale di protezione? Allora, domanda: è vero o non è vero che Scarantino tentò in tutti i modi di ritrattare? E di mettere lui spalle al muro i banditi di stato? Risposta unica possibile: è vero. Domanda numero due: ma a settembre del 1998, il 15 settembre 1998, quale organo dello Stato, avvalendosi di quale fonte, aveva messo spalle al muro Scarantino? Me lo vuole spiegare la procura della Repubblica? Quale? No. E lui ritratta a Como, 15 settembre 1998. E come finisce? Presidente, lo sapete, finisce con una condanna che... ricordo al procuratore Bertone di un famoso collaboratore catanese, Maurizio Avola, per quanti omicidi prese sei anni e sei mesi? Procuratore, se lo ricorda? Bene. Quanti anni di detenzione ha avuto con sentenza passata in giudicato Scarantino per aver ritrattato il 15 settembre 1998? È o no questo un dato apocalittico? Ed è o no una falsità apocalittica affermare che Scarantino ha ritrattato solo quando è stato messo spalle al muro? No, Scarantino era stato messo spalle al muro per essere mitragliato per tutti gli anni in cui ha tentato senza mai riuscirci del tutto, di ritrattare.

Cancemi, Di Matteo, La Barbera... qui mi devo arrendere alle mie scarse capacità: non ho capito. Certo è che quei nomi in quel verbale ci sono. E una risposta si dovrebbe tentare.. la risposta della procura è che Scarantino un giorno, nell'imminenza del verbale del 6 settembre 1994, abbia detto: "Bene, oggi calunnio Cancemi, Di Matteo e La Barbera". E' questa la teoria della procura della Repubblica? Se questa è la logica, va bene...

E prendo atto invece che il procuratore Bertone ha convalidato la mia riflessione sulla intercettazione Di Matteo - Castellese. Che, presidente, non è prova provata, era la mia prospettazione. La mia ipotesi che fornivo alla corte, fondata su dati cronologici e di fatto: quell'intercettazione è dopo il sequestro Di Matteo. Il sequestro Di Matteo è dopo le dichiarazioni di Di Matteo su Capaci. Se Di Matteo avesse ritrattato, quelle dichiarazioni sarebbero diventate granito a carico degli imputati. Di Matteo delle cose di cui conversa in quella intercettazione con sua moglie non ha mai parlato e parla non di Capaci ma di via D'Amelio e parla di polziiotti. Questi sono i dati di fatto. Toccava alla procura toccarli.

(...) E' vero che ho detto che per tutto il corso del dibiattimento, di gran parte della durata del dibattimento, tre funzionari di polizia sono stati tenuti in condizione di avvalersi della facoltà di non rispondere. Ed infatti, chiamati, si avvalsero della facoltà di non rispondere. Il procuratore Bertone ha poi ricordato che con il 507 sono stati sentiti, una volta intervenuto il decreto di archiviazione. E lui, però, che sta attento alle interviste del presidente del Senato, avrebbe dovuto leggere un'intervista del suo predecessore, il procuratore Lari, all'epoca titolare dell'ufficio, che, esattamente dieci giorni prima di avanzare quella richiesta di archiviazione, disse, urbi et orbi, 'definiremo la posizione dei poliziotti solo dopo che sarà completato il dibattimento del Borsellino Quater. E all'esito prenderemo le nostre determinazioni'. Poi accadde, sciaguratamente, che un parlamentare della Repubblica segnalò la cosa, predispose un'interrogazione parlamentare, la presentò, il Ministro chiese informazioni e, a tamburo battente - e il calendario non è mistificabile - la procura della Repubblica ha fatto richiesta di archiviazione. Ma se non ci fosse stata quell'interrogazione parlamentare, guardate che voi, qui, testimoni, Salvatore La Barbera, Mario Bo e Vincenzo Ricciardi non li avreste avuti. O meglio, Vincenzo Ricciardi e Mario Bo, perché Salvatore La Barbara, va detto ad onor del merito, non si avvalse della facoltà di non rispondere. E' stata un'evenienza incontrollabile che poi ha portato a quelle condizioni. Non le si rivendichi con orgoglio, non c'è nulla di cui essere orgogliosi.

Io ancora mi aspetto che venga spiegato quale sia stato l'interesse di Scarantino nel partecipare al depistaggio. Perché su Andriotta tutti noi siamo in grado di fare qualche riflessione. Ma su Scarantino? Quale poteva essere l'interesse di farsi arrestare, perseguitare dal gruppo Falcone-Borsellino, torturare, e poi cedere? Perché a tutto c'è un limite. Dopo l'ultimo colloquio, il 24 giugno 1994, e nel verbale raccolto da Ilda Boccassini e Carmelo Petralia, preceduto dall'ultimo e letale colloquio investigativo di Arnaldo La Barbera. Ma quale è l'interesse di Scarantino? Ma come si fa a dire che c'era un interesse? Perché se c'era un interesse allora Scarantino non si faceva perseguitare. Si consegnava subito. Anzi, si proponeva subito.
È la storia di ciò che è avvenuto che dà la prova che non c'era alcun interesse e mi desta sgomento pensare che l'interesse di Scarantino, in replica oggi dal procuratore della Repubblica, venga individuato in che cosa? In presunte... se questo è il grado di valutazione delle prove, per i poliziotti ci doveva essere già una sentenza di condanna definitiva a quindici anni di carcere... l'interesse di Scarantino era scagionarsi rispetto a degli omicidi palermitani? Era questo l'interesse di Scarantino? Bisognerebbe essere coerenti. Poiché l'autorità giudiziaria di Caltanissetta è quella competente ex art.(11?) e sulle malefatte o sui reati che hanno visto persone offese magistrati di Palermo, la procura di Caltanissetta non può sorvolare su questo punto. Perché, se questo è il dato che oggi prospetta, il procuratore della Repubblica dovrebbe procedere per favoreggiamento e omissione di atti ufficio nei confronti di qualche magistrato che non ha perseguito Scarantino per alcuni omicidi. Ora, procuratore Bertone, l'avesse detto un procuratore di Bolzano, forse glielo si poteva concedere. Al procuratore di Caltanissetta questo non è concedibile.

E allora, è un falso che ci fosse quell'interesse.

E, signori giudici, quella indicazione stravagante dell'interesse di Scarantino a farsi perseguitare, torturare e condannare per calunnia è l'extrema ratio, il tentativo veramente disperato di salvarsi in calcio d'angolo per poter affermare una cosa che è contro il diritto, contro la civiltà del nostro paese. Si cerca di salvarsi in calcio d'angolo inventandosi giustificazioni del tutto estranee all'istruttoria dibattimentale, per condurvi, presidente, ad una sentenza che davvero sarebbe deprecabile. Perché quello è il dato. Signor presidente, il paradosso sa qual è? Che l'intervento di replica, per la prima volta giudiziaria di questo paese, il procuratore della Repubblica ha replicato al difensore del fratello di Paolo Borsellino, al difensore di una parte civile e ha replicato non sulla posizione degli stragisti, anzi, avete sentito dall'intervento dell'avvocato Sinatra che ne ha raccolto commento "ad adiuvandum". Ha replicato perché è l'interesse precipuo, preminente quasi ossessivo dell'accusa di questo processo, arrivare alla condanna di Scarantino. Mi dispiace dirlo, signor presidente, una giustizia che voglia essere dignitosa quella sentenza non la può pronunciare.

Insisto nelle conclusioni che ho rassegnato a suo tempo.


Fabio Repici (Processo Borsellino Quater, 19 aprile 2017)



(Trascrizione dell'intervento a cura di Federica Fabbretti)











 






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