TORINO - La cosa più difficile? "Imparare a non sorridere. Io non posso sorridere. Ogni mio sorriso, anche in fotografia, è inevitabilmente una stonatura". Non succede solo oggi. Si capisce che a Paola Caccia capita da almeno 33 anni, da quando, una sera di giugno, suo padre Bruno, il Procuratore Capo di Torino, è stato ucciso sotto questa casa, alla base della collina torinese. Cinque giorni fa il pm di Milano ha chiesto l'interruzione del processo contro il presunto autore dell'omicidio, il panettiere Rocco Schirripa, per un vizio di forma.
Signora Paola, ancora un rinvio per conoscere la verità?
"È sconcertante. Siamo rimasti tutti senza parole. Soprattuto perché gli elementi di prova acquisiti nell'ultimo anno andranno irrimediabilmente in fumo".
Pensavate di essere vicini alla verità?
"La verità è una parola grossa. Anche se si accertasse che Schirripa è l'esecutore materiale dell'omicidio di mio padre, quello sarebbe un pezzo molto piccolo della verità". Dove sta la verità allora?
"Mi sono chiesta spesso se la verità non stia fuori dal perimetro del processo che adesso rischia di saltare"
Parla dei mandanti?
"Per esempio. Parlo anche delle inchieste che mio padre stava seguendo prima di essere ucciso".
Che cosa ricorda di quei giorni?
"Mio padre era una persona molto riservata. In casa non raccontava mai nulla. Era il suo modo di tutelarci. Ma poco prima di morire, andando a trovare i nipotini aveva detto a mio fratello: 'Tra poco verrà fuori una cosa enorme'".
Avete capito che cosa poteva essere?
"Stava indagando sul riciclaggio al Casinò di Saint Vincent e sui rapporti tra il Casinò e la criminalità organizzata".