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Bernardo Mattarella, l'attendibilità di Di Carlo e le conoscenze siciliane PDF Stampa E-mail
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Scritto da Fabio Repici   
Domenica 03 Aprile 2016 09:26
di Fabio Repici - 2 aprile 2016

Caro Direttore, come difensore dello scrittore Alfio Caruso, preciso quanto segue, al riguardo della lettera dell’avv. Coppola, legale del Presidente Mattarella, pubblicata oggi:

1) il difensore del Capo dello Stato ha spiacevolmente scritto che io “pur di ritardare la conclusione del giudizio” (dei Mattarella contro Caruso e la società Longanesi) avrei fatto ricorso “alle millanterie attribuite al Di Carlo, raccogliendo presunte dichiarazioni in maniera decisamente anomala ed irrituale, sulla base di un processo penale che non esiste”. Ma il collega sa che ho raccolto dal pentito Francesco Di Carlo, ai sensi dell’art. 391-nonies cpp, le dichiarazioni riportate nei verbali che ho depositato al Tribunale di Palermo e che come sa sono state registrate (inclusa la verbalizzazione riassuntiva, ricompresa nell’integrale, e quindi è lunare sostenere differenze fra l’una e l’altra). Le indagini difensive sono previste “per l’eventualità che si instauri un procedimento penale”. Poiché era stato l’avv. Coppola all’ultima udienza, dolendosi di articoli riportanti anche dichiarazioni del mio assistito, ad annunciare azioni, il verbale di Di Carlo è pure merito suo. La lettera annuncia ulteriori iniziative giudiziarie: di nuovo ricorrono i presupposti per altre indagini difensive;

 


2) nel citare la sentenza del 1967 del Tribunale di Roma come certificazione della presunta antimafiosità dell’on. Mattarella sr, l’avv. Coppola ha omesso di dire che il condannato per diffamazione fu Danilo Dolci e che a querelare Dolci insieme a Mattarella era stato l’on. Volpe. Questi, mafioso di Caltanissetta, fu proprio colui che, secondo Di Carlo, gli presentò Mattarella come uomo d’onore del clan di Castellammare. I tanti pentiti che hanno parlato di Mattarella sr arrivarono ben dopo quella sentenza, cosicché su di essa è ormai tempo di fare qualche pubblica riflessione;

3) l’avv. Coppola definisce “fandonie” le parole di Di Carlo. Opinione legittima e diametralmente opposta alla mia. Poi ci sono i fatti. Di Carlo ha parlato di Mattarella come giovane avvocato di Castellammare quando quest’ultimo era entrato in Cosa Nostra, non “nei primi anni sessanta”. Nel 1935 Bernardo sr era un giovane avvocato di Castellammare, dove in quell’anno nacque il figlio Piersanti. Poi si trasferì a Palermo e lì Di Carlo sostiene di averlo conosciuto, nella abitazione dei Mattarella, indicata da Di Carlo con precisione millimetrica. Al palazzo di via Segesta 9 a Palermo ci sono persone che possono confermare;

4) in quegli anni Piersanti Mattarella era ricercatore universitario a Palermo e iniziava dal Comune la sua carriera politica. Di Carlo, che frequentava un amico di alto lignaggio come Alessandro Vanni Calvello, non aveva difficoltà a incrociare Piersanti Mattarella. E, dopo, a ricevere al Castello di Trabia, dove gestiva un noto locale, Piersanti Mattarella e tanti altri;

5) per Vanni Calvello e per la madre, principessa di Gangi, notoriamente organizzatrice di feste charmant all’altro castello di Solunto, Di Carlo era davvero uno di famiglia. Sulla principessa di Gangi l’avv. Coppola è stato un po’ frettoloso, visto che la nobildonna morì nel 1995, non trent’anni prima, secondo l’erroneo calendario del difensore dei Mattarella;

6) Di Carlo, come molti prima di lui, ha riferito dei legami fra Mattarella sr e l’industriale alcamese Caruso. Ha indicato il figlio di questi come “figlioccio” del politico con il proprio frasario, non evocando rapporti da sacramenti religiosi. Sul distacco del vecchio Mattarella da Cosa Nostra, Di Carlo, con benevolenza, l’ha motivato con una dissociazione dell’ex ministro dalla mutazione che avrebbe connotato in peggio Cosa Nostra. Questo, sì, è buonismo, ma si può concedere a Di Carlo un eccesso di zelo nel rispetto, che mi è parso più che genuino, per la famiglia Mattarella;

7) è vero che nel 1979 il capo della Procura di Palermo era Costa ma è pure vero che Pajno ne era uno dei componenti più autorevoli. È noto però che dei cugini Salvo non era certo amico Costa ma proprio Pajno, come sostenne già Rocco Chinnici.

Si vedrà se il Capo dello Stato, come preannunciato dal suo legale, agirà contro le dichiarazioni Di Carlo, oggi più dettagliate ma rese anche in passato. Stupisce non l’abbia molti anni fa, alle analoghe rivelazioni di Di Carlo ai magistrati palermitani o all’uscita di un libro con dichiarazioni di tenore simile. Ci sarebbe quasi da sperarci. Peraltro, sull’attendibilità di Francesco Di Carlo, oltre a numerose sentenze, si sono sempre positivamente espressi i magistrati oggi al vertice del distretto giudiziario di Palermo.


Fabio Repici (lettera al Fatto Quotidiano, 2 aprile 2016)
difensore di Alfio Caruso









 

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