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Per un rinnovato ricordo del maresciallo Bruno Celotto PDF Stampa E-mail
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Scritto da Mario Vaudano   
Martedì 08 Marzo 2016 22:21
di Mario Vaudano - 8 marzo 2016

Il cd. “Scandalo Petroli” della fine degli anni '70 é una prosecuzione ideale e storica della prima vicenda di finanziamenti illeciti legati al petrolio scoperta dai Pretori di Genova (Almerighi, Brusco e Sansa) nel 1974. Vicenda giudiziaria che fu poi trasferita a Roma per competenza e che, nonostrante gli sforzi del sost. proc. rep. (sostituto procuratore della repubblica, ndr) Enrico de Nicola, si concluse dopo molti anni con esiti insoddisfacenti.
Le prime indagini del nuovo “affare petroli” nascono in modo indipendente, rispettivamente, a Treviso per iniziativa dei G.I. (Giudice Istruttore, ndr) Felice Napolitano e del sost. proc. rep. Domenico Labozzetta ed a Torino grazie all’opera del G.I. di Torino Mario Griffey, che per primo negli anni 1977-78 iniziò ad analizzare a fondo i rapporti «fasulli» del Nucleo di P.T. della Guardia di Finanza di Torino (comandata allora dal Col. Di Censo e Coppola) e scoprì che non si faceva altro che denunciare le “teste di legno” salvo poi lasciare che le cose continuassero tranquillamente nello stesso modo illecito.
Grazie anche al nuovo impulso dato alla Procura di Torino dal Procuratore Bruno Caccia a partire dal 1980 e del nuovo spirito di collaborazione con l’ufficio istruzione (fino ad allora molto difficile) si riuscì ad individuare anche la copertura che per anni era stata data da alcuni magistrati della stessa Procura a queste frodi ed ad altri gravi fatti di criminalità. Il dr. Bruno Caccia pagò, purtroppo, con la vita questa determinazione e questo impegno e fu assassinato nel giugno 1983.
Il lavoro del Giudice Griffey fu poi continuato, approfondito ed allargato in collaborazione con numerose Procure ed Uffci Istruzioni italiani tramite l’attività dei G.I. Mario Vaudano e Aldo Cuva, unitamente al sost. proc. rep. Vittorio Corsi ed Ugo De Crescienzo.

Scoperto il metodo di frode ed emerse le vaste complicita corruttive pubbliche, gli inquirenti compresero che in questo modo si ottenevano due risultati:

a) quello di dichiarare favolosi risultati di servizio e recupero imposte di fabbricazione per miliardi (del tutto virtuali) a carico degli ultimi anelli come “pozzi” e/o cartiere” delle bollette Hter e fatture che servivano di copertura a traffici reali dei grandi petrolieri (i quali a loro volta finanziavano largamente quasi tutti i partiti politici di maggioranza dell’epoca dalla DC al PLI, PSDI e poi in seguito il PSI negli anni '80). In questo modo si garantivano anche brillanti carriere, distruggendo nello stesso tempo le carriere degli ufficiali e sottufficiali onesti che non si piegavano al gioco.

b) quello di percepire enormi compensi corruttivi, ora come tangente fissa ora come “pizzo” una tantum per verifiche straordinarie, dagli stessi petrolieri, coinvolgendo in questa spirale di corruzione tutti gli attori pubblici (funzionari Dogane UTIF, militari Guardia di Finanza di servizio fisso ai depositi “S.I.F.” e raffinerie, militari GDF e funzionari UTIF) che effettuavano o dovevano effettuare le ispezioni ed i controlli periodici e/o occasionali.


L’inchiesta di Torino

Nella mia qualità di Giudice Istruttore, io ereditai una parte di inchiesta sul contrabbando “interno” di petroli (quella sulla ISOMAR e poi sulla SIPCA dei gruppi CHIABOTTI e MUSSELLI, con depositi SIF in vicinanza di Torino) per un fatto due volte casuale: da un lato, quello di essere nella stessa stanza del G.I. Griffey per temporanea mancanza di spazio e quindi di assistere alle sue istruttorie ed imparare i meccanismi; e, dall’altro, quello di avere effettuato un’ispezione alla Isomar per un grave infortunio mortale ed in seguito a questo di aver emesso mandato di cattura contro il titolare (Chiabotti padre). Fatto questo che provocò l’invio dopo poco tempo alla mia attenzione di copie di documenti fiscali e doganali contraffatti (i cosidetti Hter, falsificati) della Isomar, in forma anonima.

Nel 1979, emessi i primi provvedimenti di cattura a seguito delle testimonianze della contabile della Isomar e dei risultati documentali, c’incontrammo con i colleghi di Treviso Labozzetta e Napolitano e cominciò la nostra collaborazione quinquennale con scambio continuo di documenti grazie alle nuove disposizioni del codice di proc. penale (introdotte all’epoca del terrorismo: l’allora art. 165 bis del vecchio codice di proc. pen.). Fu questa, come si capì ancora meglio dopo, la chiave di volta per comprendere l’intero quadro criminale e quindi agire di conseguenza in modo coordinato ed efficace.
Tanto efficace che provocò una catena di reazioni da parte dei responsabili, in forma per lo più anonima o di denunce mirate a bloccare l’attività di questo o quell’altro magistrato istruttore e del gruppo di collaboratori fedeli della polizia giudiziaria agli ordini della magistratura inquirente.

Si unirono in seguito nelle indagini istruttorie così coordinate anche il PM di Mantova Pantalone ed il G.I. istruttore Fasanelli, per la parte ICIP raffineria di Mantova e soprattutto i Giudici Istruttori di Milano Cofano e Silocchi che avevano ricevuto lo stralcio del processo di Treviso per la raffineria BITUMOIL di Milano, appartenente al gruppo di Bruno Musselli che risultò poi essere il centro e l’origine di tutte le attività illecite insieme a quello veneto di Mario Milani e quello genovese–lombardo di Carlo Boatti.
Una fitta rete di rogatorie estere fecero emergere anche l’ingentissima massa di fondi versati a fini di corruzione (furono individuati circa 5 milioni di dollari dell’epoca), ottenendo anche, per la prima volta, la collaborazione della Svizzera per truffa fiscale.
Dall’istruttoroia emersero anche elementi di prova per una documentata denuncia a carico dell’on. Andreotti alla allora Commissione Inquirente del Parlamento, con prove documentali evidenti di reato commesso nella funzione ministeriale (quantomeno un grave abuso d’ufficio ed un delitto di omissione di atti di ufficio circa illeciti penali di cui era a conoscenza, se non complice). Tuttavia la Commisione Inquirente, all’epoca esclusivamente competente per i reati ministeriali, decise di archiviare tutta la vicenda senza ulteriori indagini, proponendo ed ottenendo dal Parlamento un voto prettamente politico.


Dai petroli al riciclaggio del denaro sporco

Fu a seguito di queste indagini in Svizzera e della scoperta di filoni comuni tra il riciclaggio del denaro della corruzione con quello del denaro di persone legate al traffico di stupefacenti ed a Cosa Nostra che iniziò poi nel 1986 la mia collaborazione con il P.M. (Pubblico Ministero, ndr) di Milano Ilda Boccassini e di Firenze Lamonica e Cassano, nonché con l’allora Giudice Istruttore Giovanni Falcone. Questa collaborazione continuò fino al 1988. A seguito del ramo d’inchieste torinese fu scoperto anche il caso del ministro della Giustizia svizzero dell’epoca signora Elisabeth Kopp, il cui marito avvocato Hans Kopp era il socio di copertura “svizzero” nella “Shakarko trading” insieme al principale capo della mafia turca in relazione con “cosa nostra” e cioè Y. Musullullu, e fu accertato un importo di circa un miliardo di dollari nel 1986 di denaro riciclato.
Per questa inchiesta ebbi non solo modo di collaborare (e guadagnarmi la stima) con i giudici svizzeri, ma anche di essere testimone nella commissione parlamentare d’inchiesta svizzera.Fiducia che determinò gli svizzeri a consegnarmi copia di una lettera “privata” dell’allora Presidente del consiglio B. Craxi che patrocinava la non estradizione di un personaggio del riciclaggio legato all’alta finanza milanese di origine siro-ebraica, tale Albert Shammah (poi fuggito in Israele e non più estradato grazie alla legge del “ritorno” vigente in Israele) e che in seguito risultò essere stato anche strettamente legato al riciclaggio del denaro della corruzione dei pubblici ufficiali militari e civili condannati per lo scandalo petroli.

Non sembra inutile ricordare che alcuni dei protagonisti della corruzione nella GdF ritornarono in evidenza nel 1992-1998 all’epoca dell’inchiesta di Mani Pulite, questa volta come avvocati e consulenti “tecnici” nell’ambito delle più importanti vicende corruttive.

La conoscenza di questi fatti e la conseguente collaborazione intensa ed efficace con le autorità giudiziarie di Milano, Palermo e Roma nel 1994 non sembrerebbe estranea al fatto del mio allontanamento nell’autunno 1994 dopo appena sei mesi dalla funzione di Direttore dell’ufficio rogatorie internazionali ed estradizioni del Ministero della Giustizia seguito dell’intervenuto cambio di governo, come ha avuto occasione di affermare, Antonio Di Pietro in una lunga intervista a “Il Sole 24 ore” poco tempo dopo le sue dimissioni da magistrato.

Non si deve infine dimenticare che nell’affare “petroli” e poi ancora in seguito in numerose vicende di corruzione si è iniziata per la prima volta l’esperienza del processo in parallelo tra giudice penale e procura della corte dei Conti, che poi diede luogo grazie alla sensibilità di Giovanni Falcone che accettò e propugnò nel 1991 quale Direttore generale degli Affari Penali al Ministero della Giustizia il testo proposto dal viceprocuratore generale corte conti Giorgio Aterno (prematuramente defunto) e da me per la nuova norma dell’art.125 comma 3 e 3-bis delle disp. att. del nuovo codice di procedura penale. Modifica legislativa che permise poi anche la creazione di nuclei speciali della GdF stabili presso le Procure della Corte dei Conti.
Collaborazione e processi paralleli amministrativi e penali che ha poi trovato anche uno sbocco a livello europeo negli accordi di cooperazione tra OLAF e Procura Generale della Corte dei Conti, nella prima decade degli anni 2000.


Il ruolo illecito dei servizi segreti dell’epoca (SISDE) i petroli ed il dossier Mifobiali

Scoprimmo, grazie ad un’indicazione del PM Labozzetta, che a Roma giaceva un dossier “illegale” dei servizi segreti (SISDE) che conteneva già dal 1974-75 gravi elementi sulla corruzione al Comando generale della Guardia di Finanza e le connessioni politico-finanziare. Questo dossier, detto "MI.FO.BIALI" e trovato in copia in casa del giornalista M. Pecorelli assassinato nel 1979 a Roma, si rivelò poi del tutto preciso e fondato ed entrò ufficialmente negli atti del processo di Torino. La scelta di analizzare, soprattutto da un punto di vista della corruzione nazionale ed internazionale, il lungo dossier dei servizi segreti militari italiani (all’epoca denominato Servizio informazioni difesa /SID) denominato 'Miceli Foligni Libia' (secondo la tesi più seguita) o MI.FO.BIALI non è stata casuale.
Si tratta infatti di un documento sulla cui autenticità non ci sono dubbi, e che per di più è stato oggetto di analisi e conferma giudiziaria pagina per pagina, nel corso di una lunga isttuttoria penale per gravissimi fatti di corruzione economico–finanziaria e che ha toccato i più alti vertici dello stato, sia civili che militari.
Si tratta inoltre di un documento che è stato acquisito giudiziariamente tra mille difficiltà, dopo l’assassinio nel 1979 del giornalista che lo deteneva illegalmente, grazie a contatti ambigui con parte degli stessi vertici dei servizi segreti italiani, ed in particolare il cosidetto “ufficio D” del SID diretto dal gen. Gianadelio Maletti.
Il tutto nell’ambito di una lotta tra “branches” degli stessi servizi, una capitanata dal gen. Miceli e l’altra dal Gen. Maletti, a loro volta legati a diversi “sponsor” politici nell’ambito del partito dominante in Italia di quell’epoca e cioè della democrazia cristiana.
Non potevo quindi lasciar cadere l’occasione preziosissima ricordare qui i documenti ormai pubblici (perché oggetto di dibattimento davanti al Tribunale di Torino a partire dal 1987) da me conservati e poco o per nulla conosciuti, ed ancor meno analizzati e studiati da un punto di vista storico e politico.
La lettura del dossier MI.FO.BIALI, ancora oggi, è estremamente utile e spiega i metodi che tuttora s’impiegano per ricattare e diffamare i “nemici” ovvero per ricattare organi dello stato “utili” al potere personale di uomini corrotti al vertice e delle istituzioni.


Il lavoro dei magistrati istruttori e del m.llo Bruno Celotto

Fatte queste premesse fattuali e storiche, è indispensabile affermare e sottolineare che tutto questo lavoro giudiziario non sarebbe stato assolutamente possibile senza la collaborazione intelligente tenace e faticosissima, oltre che talora anche fisicamente pericolosa per gli operanti, dei collaboratori fedeli di polizia giudiziaria della Guardia di Finanza, anzitutto i marescialli Celotto e Zanardi, del Nucleo di Piolizia Tributaria di Venezia e tutta la loro squadra; il m.llo Nicola Abbonizio del Nucleo di Polizia Tributaria Centrale di Roma; ed anche di qualche validissimo ufficiale di p.g. dei carabinieri (il m.llo Daniel Cozza, anzitutto).

Il maresciallo Bruno Celotto fu l’animatore e la punta di diamante di questa attività di indagine e di ricerca dei latitanti, specialmente dei più pericolosi ed “eccellenti”, tra cui i generali della Guardia di Fianza ed i dirigenti doganali e gli alti ufficiali corrotti ed infedeli.
Egli, con grande spirito di umiltà e con enorme pazienza ed altrettanta capacità intellettuale, ha insieme a me e nel corso di lunghi mesi riletto e consultato documenti, li ha messi a confronto con i documenti originali reperiti in Italia presso gli archivi di varie Commissioni Parlamentari d’inchiesta (in specie la Commissione d’inchiesta sulla Loggia massonica di Licio Gelli denominata P2) fino a completare il dossier MiFoBiali con la parte iniziale che mancava dagli atti giudiziari torinesi.

I contatti continui e minuziosi, le discussioni e gli incontri, si sono moltiplicati e distesi nel corso degli anni e B. Cellotto ha voluto sempre e costatemente verificare con me ogni punto ed ogni possibile inesattezza o carenza di riscontro.

Bruno Celotto partecipo’ (e possiamo dire, di fatto diresse, pur nella sua posizione di sottufficiale in presenza di alti ufficiali fino al livello di colonnello) molti dei settori d’indagine e seppe avvalersi soprattutto di un utilizzo minuzioso ed intelligente delle intercettazioni telefoniche, che consentirono la cattura di Bruno Musselli, Donato Lo Prete, Sereno Freato e Carlo Boatti che rappresentavano il “summit” dei petrolieri implicati nel contrabbando e nella corruzione ed il vertice dei pubblici ufficiali che ne erano protettori e complici.
Le sue indagini e la sua tenacia consentirono anche di reperire documenti estremamente sensibili accumulati nella loro latitanza e ritrovati specialmente nelle mani del generale Donato Lo Prete e del petroliere Bruno Musselli. Tra questi anche schede di pedinamenti illegali e documenti di minacce effettuati nei confronti degli inquirenti e di vere e proprie “schedature”; copie di documenti riservati sottratti dagli archivi del Comando della guardia di Finanza in particolare al fine di predisporre atti falsi e denunce calunniose contro gli inquirenti ed i loro collaboratori; ed infine anche lettere intimdatorie o miranti a fare pressione verso le più alte autorita politiche, tra cui lo stesso Presidente della Repubblica in carica l’on. Pertini: il quale (deve sottolinearsi) con la massima fermezza e dignità, si rifiutò di prestare qualsiasi appoggio a chi politicamente gli chiedeva di intervenire per “fermare quei giudici”.
Il lavoro emerso é quindi un vero e proprio “romanzo storico” vero, che tutte le persone interessate dalla storia di Italia ed anche europea di quegli anni dovrebbero leggere e meditare.
Non solo per il quadro di quel passato di intrighi, corruzione e malcostume civile e politico che ne esce; ma anche perche solo prendendo effettiva conoscenza di questi fatti storicamente e giudiziariamente provati in modo definitivo (il che è già cosa eccezionale, perché la coincidenza tra storico e giudiziario non è sempre ovvia) si può arrivare a comprendere anche la situazione attuale italiana, a mio avviso.
Conoscere e studiare gli avvenimenti e le condotte di così numerosi soggetti pubblici e politici che sono attori del dossier MiFoBiali illumina le premesse quasi inevitabili del successivo ulteriore degrado politico e civile degli anni 1990 e l’avvento del ventennio Berlusconiano con il suo carico ulteriore di incultura e corruzione quasi “santificata” dal voto popolare.
Alla fine degli anni '80 e '90 si aggiunsero ulteriori tasselli che completarono il quadro storico e criminale.


Le rogatorie internazionali e i collegamenti con “Mani Pulite”

Non posso infine non ricordare che quando arrivai nel marzo 1994 nel nuovo ufficio di Direttore dell’Ufficio Estradizioni ed assistenza giudiziaria penale internazionale del Ministero della giustizia, e trovai anche qui un ufficio senza praticamente altri magistrati collaboratori, ma con un gruppo di validissimi cancellieri esperti in tutti i settori di competenza, l’esperienza e gli spunti di indagine che erano emersi dall’affare dei petroli e dalla puntigliosa e preziosissima attività svolta con il maresciallo Bruno Celotto (cui cui rimasi sempre in contatto nel corso degli anni, fino al suo improvviso decesso nel 2014) mi sono stati ancora una volta estremamente utili.
A lui mi rivolgevo ancora e sempre, in via personale, per avere conferme e precisazioni quando emergeva un qualsiasi collegamento con l’ambiente economico e finanziario che lui aveva così bene conosciuto in tutti i suoi aspetti illeciti, che continuamente evolvevano.
Grazie alla mia passata esperienza e la fiducia accordatami dalle autorità straniere ed in specie svizzere, in pochi mesi riuscimmo in collaborazione con le Procure di Milano, Palermo e Roma a far arrivare documenti bancari e giudiziari essenziali che determinarono poi la condanna di persone di alto livello, tra cui il Ministro della difesa Previti ed alcuni intermediari finanziari tra cui l’avvocato Acampora che già era stato implicato ed arrestato nel corso del processo dei petroli e successivamente era diventato avvocato d’affari per il gruppo Fininvest.

Persino nel muo ultimo periodo lavorativo, negli anni 2000 e fino al 2010 come membro dell’ufficio antifrode europeo a Bruxelles (OLAF), ho sempre mantenuto un costante scambio di opinioni ed informazioni con il M.llo Bruno Celotto, che non manco’ mai di darmi utili suggerimenti e spunti informativi preziosissimi anche nel settore delle frodi tributarie ed europee.


Un tentativo in conclusione

Tutto quanto avvenuto deve aiutare anche a discernere quei lumi di speranza e di riscatto della società civile presente in quella minoranza numerosa degli italiani di buona volontà e di grande onestà e spirito di sacrificio che si sono battuti da sempre come il maresciallo Bruno Celotto per risollevare l’Italia repubblicana dal baratro in cui è caduta, e da cui può e deve risollevarsi.

Insieme a tutta l’Europa.

Per questo credo che anche noi, nel nostro quotidiano, dobbiamo essere consapevoli del ruolo civico che ci è assegnato dalla Costituzione italiana e dalle Norme Istituzionali europee, il quale ci impone un alto senso di responsabilità nei confronti della collettività. Nessuna rassegnazione, nessun abbandono di tensione, nessuna sciatteria è possibile: è nei momenti difficili che si deve svolgere fino in fondo e con orgoglio il proprio ruolo.

Ognuno di noi ha potuto constatare nel corso della propria attività professionale come sia umanamente comprensibile la tentazione di interpretare il proprio ruolo in senso puramente burocratico, come risposta alle molte mortificazioni che hanno toccato tutti gli aspetti del nostro servizio, da quelli più propriamente materiali che attengono alla dignità del proprio lavoro, a quelli del rispetto per la stessa funzione pubblica di tutela dei diritti.

Dobbiamo sempre e e continuamente contrastare questa tentazione senza remore, consapevoli come siamo delle responsabilità di cui il nostro ruolo ci fa carico, mantenendo la certezza che gli sforzi di oggi ci porteranno a risultati positivi.

Chi assume delle responsabilità in qualsivoglia funzione pubblica (cosi come anche nell’ambito privato: il denaro non conosce differenza tra i due mondi, che in realtà costituiscono un tutto unico interconnesso) deve continuare a cercare di svolgere al meglio il proprio lavoro quotidiano, senza nessun cedimento, dando una risposta di onestà e di giustizia a chi la chiede.

Tutti dobbiamo continuare a batterci perché ogni servizio sia organizzato al meglio, sulla base della pari dignità di tutti .

Ma dobbiamo nello stesso tempo in primo luogo essere capaci di denunciare, con costanza e puntualità e senza alcun timore, le enormi difficoltà incontrate, la vergognosa condizione in cui talora si amministra la cosa pubblica e la stessa giurisdizione priva di mezzi, strutture, personale, sistemazioni logistiche adeguate; e subito dopo l'incongruenza e pericolosità di taluni interventi normativi, avendo sempre presente che di tutti questi aspetti negativi è la persona che attende aiuto e giustizia a pagarne per primo le conseguenze peggiori.
Dobbiamo avere la forza di chiedere a noi stessi prima di tutto e poi a tutti responsabili al livello civile ed istituzionale di essere un esempio virtuoso di efficienza, equità e correttezza.

Probabilmente un giorno ci verrà chiesto che cosa ha fatto ciascuno di noi e la cittadinanza nel suo complesso in un momento difficile come questo: dobbiamo essere in grado di dire che tutto il possibile è stato fatto e che noi abbiamo fatto fino in fondo la nostra parte.

Bruno Cellotto, il maresciallo Bruno Celotto, questa parte l’ha svolta e portata a termine, tutta.



Mario Vaudano
Magistrato italiano in pensione, all’epoca Giudice Istruttore del Tribunale di Torino







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