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Paola Caccia: 'Mio padre e la pista casinò, i veri mandanti nell’ombra' PDF Stampa E-mail
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Scritto da Paolo Griseri   
Giovedì 24 Dicembre 2015 16:56
di Paolo Griseri - 23 dicembre 2015

TORINO
- Rivela: "Non ci accontentiamo di un nome. I mandanti veri sono altri". Trentadue anni dopo Paola Caccia, la figlia maggiore del Procuratore ucciso dalla 'ndrangheta, non si placa per l'arresto di ieri: "L'omicidio di mio padre è sempre stato un po' trascurato. Penso che i calabresi possano aver agito su commissione".

Ha visto le immagini dell'arresto?
"Ho visto. È impressionante come quell'uomo assomigli all'identikit di trent'anni fa. E questo fa pensare".

Che cosa non la convince?
"Questo signore faceva parte dell'entourage di coloro che erano stati condannati come mandanti dell'omicidio di mio padre. Era uno di loro, era uguale all'identikit e ha sempre vissuto qui. Come mai non si è arrivati prima a lui?".

Come mai?
"Abbiamo dovuto chiedere per tre volte che i giudici di Milano riaprissero le indagini. Molte tracce sono state trascurate".

Quali?
"Poco tempo dopo l'omicidio il pm Di Maggio perquisendo l'alloggio di un mafioso, Rosario Cattafi, trovò una copia del falso volantino delle Br in cui si rivendicava l'assassinio di mio padre. Ma quella traccia non fu seguita. Eppure il pm che indagava era proprio lui".

Lei non crede che a uccidere suo padre sia stato il clan dei calabresi che operava a Torino in quegli anni?
"Io sono convinta che la catena delle responsabilità non si fermi lì".

Un omicidio eseguito dai calabresi su commissione?
"Vorrei che si capisse meglio questo punto".

Ha delle ipotesi da suggerire?
"Un mese prima di essere ucciso mio padre stava indagando sul riciclaggio di denaro sui tavoli verdi del casinò di Saint Vincent. Aveva guidato un blitz poche settimane prima".

Che cosa aveva scoperto?
"In quel periodo erano frequenti i sequestri di persona. Venivano pagati riscatti molto alti. Mio padre si chiedeva dove finisse tutto quel denaro. E aveva capito che la casse del casinò erano una lavatrice ideale".

Un omicidio commissionato dalla Val d'Aosta?
"Non necessariamente. Per poter pulire il denaro il casinò aveva a sua volta bisogno dell'appoggio delle banche. Mio padre aveva messo nel mirino i vertici della Banca Popolare di Novara di allora".

Lei dice che si sono trascurate delle tracce. Eppure dopo trent'anni un risultato sembra raggiunto. Non è soddisfatta?
"Penso che si sarebbe potuti arrivare prima a questa conclusione. Ora ho solo la speranza che la persona arrestata, se davvero è colpevole, racconti tutti i retroscena di quell'omicidio".

Lei come ricorda quel giorno?
"Era estate. Con mio marito eravamo andati a votare la domenica mattina. Al pomeriggio siamo partiti con i figli per la Toscana. Alle 5 del lunedì mattina sono stata svegliata dai carabineri: ho saputo della morte di mio padre mentre allattavo mio figlio. Per mia sorella è stato peggio. Era in casa: è corsa sul marciapiede quando ha sentito i colpi ".

Pensa che si sarebbe potuto evitare l'attentato?
"Mio padre rifiutava la scorta. Aveva organizzato il primo processo alle Br e la polizia accompagnava mia sorella a scuola. Lui andava a lavorare da solo. Temevamo i terroristi. Non ci aspettavamo che sarebbe stato ucciso dalla 'ndrangheta".



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