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Messina, la corte d’appello: Marchetta 'è inattendibile' PDF Stampa E-mail
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Scritto da Redazione loraquotidiano.it   
Giovedì 05 Febbraio 2015 22:55
di Redazione loraquotidiano.it - 5 febbraio 2015

Non chiesero il pizzo in rappresentanza della famiglia mafiosa di Barcellona Pozzo di Gotto. Per questo motivo i boss Carmelo D’Amico e Carmelo Bisognano, oggi entrambi pentiti, sono stati assolti dalla prima sezione penale della Corte d’Appello di Messina che ha cancellato la condanna di primo grado del processo cosiddetto ”Sistema”. Nelle motivazioni della sentenza, pubblicate stamane dalla Gazzetta del Sud, il presidente del collegio, il giudice Attilio Faranda, scrive che le dichiarazioni di Maurizio Marchetta, l’ex vicepresidente del consiglio comunale, sono ”inattendibili”. L’architetto barcellonese aveva dichiarato di aver dovuto versare regolarmente il pizzo ai due boss con l’impresa di famiglia, la ”Cogemar’‘ per una serie di appalti.

”Alla constatazione dell’inattendibilità delle accuse mosse dai Marchetta - scrive ora il giudice Faranda – devono poi innanzitutto aggiungersi le versioni di entrambi gli imputati che può dirsi da subito, sia pure con atteggiamenti diversi, hanno motivatamente e drasticamente negato ogni responsabilità in relazione a tutti i reato loro ascritti”. Sia Bisognano che D’Amico, già nel processo di primo grado, si sono autoaccusati di numerosi reati ma hanno sempre negato di aver chiesto il pizzo all’architetto Marchetta, da loro tra l’altro accusato di essere considerato ”vicino” al boss Salvatore Sam Di Salvo. E a questo proposito, nelle motivazioni della sentenza d’appello del processo ”Sistema”, si legge: ”Non è una mera ipotesi che costui, oltre che amico, possa essere stato con’azienda familiare, socio in affari di Salvatore Di Salvo, per tanti anni ai vertici della delinquenza organizzata di Barcellona”.

Ma chi è Maurizio Marchetta? A Barcellona, l’architetto è un personaggio conosciutissimo. Titolare di un’impresa di costruzioni, dall’inizio del Duemila ha ricoperto la carica di vicepresidente del Consiglio comunale, quota An, sotto l’ala protettiva di Maurizio Gasparri. Nel 2003 fu coinvolto nell’indagine denominata “Omega”, per concorso in mafia, inchiesta poi archiviata dalla procura di Barcellona. Nel 2009 si trasformò in un ”dichiarante”, provocando l’apertura dell’indagine ”Sistema” e facendo rivelazioni sulla presunta loggia massonica ”Ausonia” che, secondo le sue accuse, sarebbe stata coinvolta in un sistema di controllo di tutti gli affari pubblici. Marchetta denunciò appunto di essere vittima di estorsioni commesse, tra l’altro, dagli ex uomini d’onore Bisognano e dallo stesso D’Amico.

Nei giorni scorsi, il pentito Carmelo D’Amico testimoniando in aula nel processo d’appello all’avvocato Rosario Pio Cattafi, ha fatto il nome dell’ex vicepresidente del Senato Domenico Nania, già sottosegretario alle Infrastrutture, ex An, poi Pdl, come quello di un ”personaggio potente e misterioso”, ma soprattutto interno alle istituzioni, che avrebbe guidato una loggia massonica occulta, attiva tra la Sicilia e la Calabria, capace di condizionare le trame della politica e dei grandi affari, senza essere mai stato sfiorato dalle indagini. Nei suoi verbali, il neo-pentito aveva raccontato: ”Sam Di Salvo (boss italo-canadese condannato per associazione mafiosa, come uno dei capi del clan barcellonese, ndr) mi disse che Cattafi apparteneva, insieme a Nania, ad una loggia massonica occulta, di grandi dimensioni, che abbracciava le regioni della Sicilia e della Calabria. Sempre Di Salvo mi disse che Saro Cattafi insieme al Nania erano fra i massimi responsabili di quella loggia massonica occulta”.

Ma non solo. Ai pm della Dda di Messina Angelo Cavallo e Vito Di Giorgio, il pentito D’Amico aveva fatto anche un altro nome: quello di Giuseppe Gullotti, boss e mandante dell’uccisione del giornalista Beppe Alfano, nonché consegnatario (secondo il pentito Giovanni Brusca) del telecomando che nel ’92 servì ai corleonesi per commettere la strage di Capaci. ”Sam Di Salvo mi disse – racconta ancora D’Amico – che il Nania che apparteneva a questa loggia massonica, era un amico di Gullotti ma non in senso mafioso. Era cioè un conoscente di Gullotti ma non un soggetto organico della famiglia barcellonese; ciò a differenza di Cattafi. Aggiungo che Nania era un amico di Marchetta”.

D’Amico ha parlato di 45 omicidi, a molti dei quali avrebbe partecipato in prima persona, ma anche dell’uccisione di Alfano e dell’esecuzione dell’editore Antonio Mazza, autoaccusandosi di quest’ultimo delitto, e, a quanto pare, contraddicendo addirittura la sentenza della Corte di Cassazione, che ha indicato Antonino Merlino quale killer del giornalista. Ma la parte più ”blindata” delle dichiarazioni del pentito barcellonese riguarderebbe proprio il patto tra mafia e massoneria, con tutte le coperture istituzionali fornite al sistema criminale, che finora è stato solo sfiorato dalle indagini.


Redazione loraquotidiano.it







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