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'Nicola è molto cambiato. Non parla più con Giorgio' PDF Stampa E-mail
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Scritto da Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza   
Venerdì 10 Ottobre 2014 20:50
di Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza - 10 ottobre 2014

"Mio marito e Napolitano non si sentono più, dopo che si è saputa la storia di quelle intercettazioni, che pure la procura diceva fossero irrilevanti, mio marito si è sentito in imbarazzo". Parola di Gianna Mancino, moglie dell’ex presidente del Senato: dopo l’escalation delle richieste di aiuto al Quirinale, dopo le quattro telefonate con “l’amico Giorgio” distrutte per decreto della Consulta, e dopo la sua iscrizione nel registro degli indagati per falsa testimonianza, Mancino e il capo dello Stato hanno interrotto ogni rapporto. Col risultato che l’ex ministro, oggi imputato nel processo sulla trattativa Stato-mafia, si sente sempre più solo. 
ORA che il presidente della Corte d’assise di Palermo Alfredo Montalto gli ha impedito persino l’accesso al Quirinale per assistere alla deposizione di Napolitano, trattandolo alla stregua dei boss Riina e Bagarella (che come lui avevano fatto richiesta di partecipare all’udienza quirinalizia), Mancino, attraverso il suo legale, ha reagito chiedendo la nullità dell’ordinanza di Montalto, un’ordinanza emanata dalla Corte d’assise solo ed esclusivamente a tutela della testimonianza del capo dello Stato.
Dalla “corrispondenza di amorosi sensi”, lunga decenni, fino alle quattro telefonate tra Avellino e il Colle distrutte su ordine della Consulta, alla dissociazione processuale preceduta dalla richiesta, inascoltata, di entrare al Quirinale. Finisce così l’idillio tra Mancino e Napolitano dopo che sono cadute nel vuoto le richieste di aiuto dell’ex ministro dell’Interno, che oggi probabilmente si sente “scaricato” al punto da attaccare processualmente una decisione della Corte certamente apprezzata dal Quirinale, anche se il suo avvocato, Nicoletta Piergentili Piromallo, con i cronisti mette le mani avanti: “Il presidente Mancino ha chiesto di andare al Quirinale per rispetto istituzionale”. E anche la moglie Gianna prova a giustificarlo: “Ma Nicola non la voleva fare l’eccezione di nullità. È stato l’avvocato a chiedergli di farlo”. Ma appare sempre più evidente che, dopo l’avvio del processo sulla trattativa, privato della “copertura” istituzionale, Mancino senta franare il terreno sotto i piedi: “Mio marito – ammette la moglie – da quando è cominciata questa storia è sempre arrabbiato, non è più lo stesso”. Sembra svanito nel nulla quell’atteggiamento con cui Mancino due anni fa telefonava al Quirinale in cerca di protezione. Oggi Gianna dice: “Mio marito a Napolitano non chiedeva protezione: chiedeva coordinamento delle indagini. Si sentiva accerchiato: il fratello di Borsellino lo attaccava, ma lui non lo conosceva Borsellino, non lo conosceva sul serio e l’avete messo in croce. Gli avete cambiato carattere”. Oggi l’ex titolare del Viminale, incupito e preoccupato, non può che constatare come siano lontani i tempi in cui Re Giorgio si faceva in quattro per esaudire le sue richieste, al punto da chiedere al suo segretario Donato Marra di scrivere al procuratore generale della Cassazione Vitaliano Esposito (e poi di contattare il successore Gianfranco Ciani) per esortarlo a stimolare l’allora procuratore nazionale antimafia, Piero Grasso, a muoversi per invocare il coordinamento delle indagini sulla trattativa, avviate da tre procure (Palermo, Caltanissetta e Firenze) con esiti giudiziari diversi. CON LA SPERANZA di “scippare” l’indagine ai pm di Palermo, gli unici a mettere sotto processo i politici coinvolti nel negoziato tra lo Stato e i boss di Cosa nostra. Altri tempi, insomma, quando Mancino, parlando al telefono con D’Ambrosio, poneva l’accento sulla necessità di garanzie istituzionali quando un politico assume decisioni per la sicurezza del Paese: “Va bene... ma anche per la storia del Paese ma... ma che razza di Paese è... se tratta con le Brigate rosse ... le Brigate rosse... se non tratta con le Brigate rosse fa morire uno statista. Tratta con la mafia e fa morire vittime innocenti. Non so... io anche da questo punto di vista vedo che... insomma... o tuteliamo lo Stato oppure tanto se qualcuno ha fatto qualcosa, poteva anche dire: ma io debbo avere tutte le garanzie, anche per quanto riguarda la rilevanza statuale delle cose che sto facendo”. Era il 13 marzo 2012. Sono passati due anni e a Mancino, l’imputato più eccellente del processo sulla trattativa, l’amico di Re Giorgio, Montalto, sbarra le porte del Quirinale, “anche per ragioni di ordine pubblico di sicurezza nazionale”. Uno smacco che oggi fa dire a Gianna: “Nicola? Non è più lui. A casa mia è proprio cambiato il clima”.

Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza (Il Fatto Quotidiano)





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