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Minacce e visite sospette ai pm della trattativa Stato-mafia PDF Stampa E-mail
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Scritto da Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza   
Giovedì 10 Ottobre 2013 21:58
di Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza - 10 ottobre 2013

Palermo. Prima hanno intercettato due mafiosi che parlavano di un progetto di attentato nei suoi confronti, poi un vicino di casa ha fotografato (e segnalato) uno sconosciuto fermo sul marciapiede davanti al suo portone di casa: oltre a Nino Di Matteo e Roberto Tartaglia, un altro pm della trattativa Stato-mafia, Francesco Del Bene (nella foto, ndr), è finito nel mirino di quel pesante clima di tensione che il procuratore aggiunto Vittorio Teresi non ha esitato a definire “guerra psicologica” e che ha come obiettivo la Procura di Palermo.
Tutto questo accade, rilevano a palazzo di Giustizia, mentre le indagini proseguono a ritmo serrato, portando a galla nuove acquisizioni dagli archivi dei servizi segreti. All’Aise, l’agenzia di informazioni per la sicurezza militare, i pm di Palermo sono entrati all’inizio dell’estate, con la richiesta formale di frugare tra gli schedari dell’ex Sismi per acquisire fascicoli classificati come top secret. Obiettivo? Ricostruire il segmento iniziale della carriera del generale Mario Mori che, tra il ‘72 e il ‘75, molti anni prima di diventare il capo del Sisde, era stato un giovane e promettente 007 in servizio al Sid, l’antenato del Sismi, presso l’ufficio D: quello specializzato nel controspionaggio.

FRUGANDO tra i fascicoli riservati, i pm scoprono che Mori arriva al Sid nel ’72 come pupillo di Gianadelio Maletti, capo dell’ufficio D, per poi passare sotto l’ala protettiva del generale Vito Miceli, direttore del servizio segreto militare dal ‘70 al ‘74. Un passaggio che generò uno scontro tra i due uomini dei servizi di allora. Ma i magistrati scoprono anche una serie di contatti riservati, risalenti a quegli anni, tra l’ex ufficiale del Ros, oggi imputato nel processo sulla trattativa, e alcuni tra i protagonisti tuttora in carica del patto sotterraneo tra mafia e Stato. Su quei contatti risalenti agli anni 70, Mori ha sempre taciuto, nei verbali resi alla procura di Palermo come a quella di Firenze, parlando di conoscenze occasionali avvenute solo vent’anni dopo, nella stagione delle stragi. Quell’incursione degli inquirenti palermitani nella memoria del servizio segreto militare, però, non è passata inosservata: rientrati a Palermo, i pm Nino Di Matteo e Roberto Tartaglia hanno ricevuto chiari segnali della massima attenzione con la quale qualcuno, nell’ombra, segue l’evoluzione dell’inchiesta che ha mandato in fibrillazione il cuore delle istituzioni.

RISALE A FINE giugno la lettera anonima, la quarta dall’inizio di quest’anno, recapitata a Di Matteo con l’ennesimo “amichevole” suggerimento di un Corvo che si qualifica come appartenente “alle istituzioni”: “Lascia
perdere, sei sempre più isolato”. E proprio il giorno dopo il ritorno dalla missione romana all’Aise, un raid di misteriosi visitatori ha fatto irruzione nell’appartamento di Tartaglia facendo sparire una pen drive con appunti sulla trattativa, compresi quelli appena memorizzati sul materiale raccolto negli archivi romani di Forte Braschi. Ora che il processo sulla trattativasta per entrare nella fase più calda - stamane in aula la Corte dovrebbe decidere sull’ammissibilità dei testi - arriva al Cosp (Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza) di Palermo una relazione della procura nissena che indaga sul blitz estivo in casa Tartaglia, con le sconcertanti conclusioni della Polizia secondo cui, in assenza di impronte e di altre tracce, i riscontri “all’irruzione nell’abitazione del magistrato” sono giudicati inesistenti: come se il pm dopo la sparizione della pen drive si fosse inventato tutto. Una relazione chiesta inspiegabilmente dal comitato riunito in Prefettura dopo che il procuratore generale di Palermo, Roberto Scarpinato, aveva sollecitato al Cosp il rafforzamento della scorta del giovane pm. I dati per decidere sulla sicurezza del magistrato, infatti, erano già tutti a disposizione del Cosp, e difficilmente le ulteriori indagini di Caltanissetta, peraltro ancora in fase embrionale, avrebbero
potuto aggiungere ulteriori elementi di valutazione sulla gravità del caso.

CHE QUALCUNO sia entrato a casa del magistrato, senza rubare nulla (tranne la pen drive) e a scopo intimidatorio, dovrebbe essere infatti un dato accertato, a meno di non tacciare il pm di gratuito allarmismo. Tartaglia non commenta, ma non nasconde la sua amarezza. Di Matteo e Del Bene si trincerano nel silenzio. Oggi saranno in aula, ad ascoltare gli ultimi interventi della difesa e, eventualmente, a replicare prima dell’ingresso della corte in Camera di consiglio. Con una domanda che resta sospesa sul processo: chi vuole tenere sotto pressione i pm della trattativa? E perché?


Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza (Il Fatto Quotidiano, 10 ottobre 2013)







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