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Stragi del ‘92, la mano di 007 e di “faccia di mostro” PDF Stampa E-mail
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Scritto da Giuseppe Lo Bianco-Sandra Rizza   
Venerdì 13 Settembre 2013 23:33
di Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza - 13 settembre 2013

Due fonti, un informatore e un pentito, Vito Lo Forte, accusano il misterioso agente “faccia di mostro”, protagonista di tanti misteri palermitani e oggi finalmente individuato: avrebbe agito anche a Capaci, dov’era allestito un doppio cantiere criminale, uno, sotterraneo, di Cosa Nostra, l’altro dei “servizi”, forse italiani, forse stranieri.
Sono elementi dell’ultima ipotesi sull’attentato che uccise 21 anni fa il giudice Giovanni Falcone tuttora al vaglio della Procura di Caltanissetta, emersa dalla discovery compiuta negli uffici della Dna di Roma il 19 e il 27 giugno scorso, quando il procuratore aggiunto Gianfranco Donadio, responsabile fino a pochi giorni fa del settore “stragi”, ha riassunto a sei sostituti il lavoro di indagine degli ultimi anni sulle esplosioni di Capaci e via D’Amelio.
Il contenuto di quel lungo resoconto, rigorosamente top secret, ieri mattina è finito sulle pagine del Sole 24 Ore, provocando, per gli addetti ai lavori, un “grave danno alle indagini”, al punto che ieri il comitato di presidenza del Csm ha inviato alla prima commissione e al Pg della Cassazione il contenuto della fuga di notizie, per valutare se vi sono gli estremi per un procedimento disciplinare. Ai suoi colleghi l’aggiunto della Dna ha detto che i “botti” siciliani avrebbero una matrice eversiva e che “in molte parti degli accertamenti”, sarebbe stata confermata “la presenza di elementi appartenenti ai servizi segreti, in particolare legati all’eversione di destra”.
Donadio insiste sulla figura del cosiddetto “mostro”, secondo lui coinvolto nella strage di Capaci, l’uomo che il pentito Luigi Ilardo aveva definito “un killer di Stato”, e che l’aggiunto della Dna ritiene di aver individuato in un agente (ora in pensione) sfigurato da un colpo di arma da fuoco. E per aver notizie sul suo ruolo l’aggiunto ha parlato di un colloquio investigativo compiuto con Francesco Marullo, un uomo con “precedenti per reati economici”, che riferisce di un ruolo dei servizi nella strage di Capaci. Si tratta di uno scenario che oltrepassa – e di molto – le conclusioni finora raggiunte dalla Procura di Caltanissetta che lo scorso 15 aprile ha individuato in un gruppo di fedelissimi del boss Giuseppe Graviano l’ultimo pezzo mancante del commando stragista: tra loro anche Cosimo D’Amato, il pescatore di Porticello che consegnò ai killer l’esplosivo recuperato da residuati bellici trovati in mare, come ha rivelato il pentito Gaspare Spatuzza la cui attendibilità sul punto è stata confermata proprio ieri dalla Cassazione.
Le conclusioni di Donadio, che su delega dell’ex procuratore nazionale Piero Grasso (oggi presidente del Senato) ha sviluppato negli ultimi anni numerosi colloqui investigativi, aprono adesso un inedito scenario, che ipotizza che le stragi siano – al contrario – il frutto di una raffinata strategia della tensione, collegata ad ambienti para-istituzionali. E da alcune indiscrezioni si apprende che molti sono gli approfondimenti in via di espletamento sulle notizie emerse – a quanto pare – in tempi successivi agli arresti dello scorso aprile, proprio in seguito agli aggiornamenti trasmessi dalla Dna.
Nulla si sa sulle ragioni dell’improvvisa discovery, l’unica cosa certa è che qualche giorno fa il nuovo capo della Dna Roberti ha assegnato a se stesso il coordinamento delle indagini sulle stragi e non è escluso che questa decisione abbia provocato malumori. D’altra parte, che Donadio avesse maturato convinzioni ben precise sulla matrice “alta” delle stragi non è una novità: “C’erano due cantieri – disse il 17 maggio 2012, in un’intervista a Rainews 24 – e c’è un’ipotesi di rafforzamento della bomba: cioè affiancamento di un esplosivo particolarmente nobile, forse militare, forse Semtex, a quell’esplosivo meno nobile largamente nella disponibilità dei mafiosi. In questo senso si può parlare di “doppia bomba”.

di Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza (Il Fatto Quotidiano, 13 settembre 2013)








 

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