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'Provenzano? E' ancora il boss' PDF Stampa E-mail
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Scritto da Umberto Lucentini   
Sabato 03 Agosto 2013 11:05
di Umberto Lucentini - 1 agosto 2013

Il «no» secco è della Procura nazionale antimafia: la richiesta di revoca del 'carcere duro' per Bernardo Provenzano, il capo dei capi di Cosa Nostra, non può essere accolta.

I motivi del diniego sono legati a diversi aspetti, ma tutti con un unico denominatore comune: «E' assolutamente certa la pericolosità del Provenzano e l'esigenza che lo stesso debba rimanere sottoposto al vigente regime ex articolo 41 bis» dell'ordinamento penitenziario.

Le condizioni di salute dell'anziano boss, che hanno spinto più volte i suoi legali ad avanzare la richiesta di misure di detenzione più blande, sono molto precarie: Provenzano, condannato a più ergastoli per la caratura criminale di capo di Cosa Nostra, è entrato in coma più di una volta e ha sempre più rari momenti di lucidità durante in quali biascica poche parole.

Che il boss sia in precario stato di salute lo hanno certificato i medici nominati dai legali della famiglia e i periti della procura di Palermo che lo deve processare nel dibattimento sulla "trattativa" (la posizione di Provenzano al momento è infatti sospesa).

L'ultima parola sullo stato di detenzione di Provenzano - dopo l'ok dato nei giorni scorsi dai capi delle procure di Firenze, Caltanissetta e Palermo alla revoca del 'carcere duro'- va ora al ministro della Giustizia che dovrà decidere anche sulla base di una relazione del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria.

Sulla decisione peserà di sicuro il parere negativo della superprocura.

Un «no» motivato in tre punti. Il primo: «Il profilo criminale del Provenzano è ben delineato dalle numerose sentenze con le quali, in diversi processi, le corti di Assise di Palermo, Caltanissetta e Firenze lo hanno condannato alla pena dell'ergastolo, per un davvero rilevante numero di omicidi e per il delitto di strage, riconoscendolo come soggetto posto al vertice dell'organizzazione mafiosa denominata Cosa Nostra».

Fuori dal virgolettato, la Dna parte dal presupposto fondamentale del ruolo rivestito per anni da "Binnu" dentro l'organizzazione criminale.

Il secondo punto su cui la Superprocura fonda il suo parere contrario alla revoca del 'carcere duro' a Provenzano è che «tutti i principali processi istruiti dopo la sua cattura hanno, tra l'altro dimostrato come le attività dell'intera organizzazione mafiosa Cosa Nostra sono tutt'ora in atto sull'intero territorio della Sicilia occidentale; come le stesse siano ispirate in modo unitario ed, in particolare, come l'organizzazione mafiosa tenda costantemente alla ricostituzione dei suoi organi di vertice».

Una considerazione che sembra elementare ma che presuppone una certezza: Provenzano è, e rimane, il capo indiscusso delle cosche che ?€“ come dimostrano le indagini più recenti - sostituiscono solo momentaneamente i 'capi' quando vengono arrestati e ne riconoscono il loro ruolo un secondo dopo la loro scarcerazione.

La terza considerazione della Dna va poi all'attualità: «Rimane latitante il più importante esponente mafioso vicino a Bernardo Provenzano, vale a dire Matteo Messina Denaro, soggetto in relazione al quale risultano evidenti gli strettissimi rapporti con il Provenzano, alla luce della documentazione sequestrata al momento della cattura nel covo di Montagna dei cavalli», la masseria di Corleone dove il boss è stato catturato dalla polizia l'11 aprile del 2006 dopo trent'anni di latitanza.

Al momento Provenzano di trova nel carcere di Parma, dopo essere stato trasferito da quello di Novara dove aveva tentato di comunicare con l'esterno con dei messaggi in codice. Un video trasmesso nel maggio scorso da 'Servizio Pubblico' lo mostrava durante un colloquio con il figlio in apparenti pessime condizioni di salute e di lucidità.

Secondo Salvatore Borsellino, fratello di Paolo e fondatore delle Agende rosse, «la revoca del 41 bis a Bernardo Provenzano sconvolgerebbe chi dei delitti di questa belva umana porta ancora nell'anima incisi profondamente i segni. Non si può parlare di perdono o di comprensione o di pietà umana verso chi non ha mai capito neanche il significato di queste parole, verso chi ha ordinato stragi, come quelle di via dei Georgofili in cui delle vittime innocenti sono state sacrificate soltanto per alzare il prezzo di una altrettanto scellerata trattativa».

Per Borsellino, «in carcere Provenzano è sottoposto a tutte le cure mediche che gli necessitano e non c'è ragione per interrompere questo regime che è necessario per impedire assolutamente che possa riuscire a comunicare in qualche modo con latitanti come Matteo Messina Denaro».

Tanto più che «c'è purtroppo un precedente: Bruno Contrada veniva descritto come un uomo in stato dei demenza senile, vicino alla morte e questo gli valse l'interruzione gli arresti domiciliari, per giunta a Palermo, nella sua città. Oggi Bruno Contrada è vivo e vitale, partecipa a  incontri e trasmissioni televisive per presentare il suo libro, mentre mia sorella Adele, che ha dovuto sopportare di vederlo libero affacciato al balcone di una casa a pochi metri da casa sua, ha finito la sua vita per un tumore che la ha distrutta nel corpo come la strage del'92 la aveva fiaccata nello spirito.


Umberto Lucentini (L'Espresso, 1 agosto 2013)


























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