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Piemonte, deposistato in Regione un odg per Di Matteo, Lari e Gozzo PDF Stampa E-mail
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Scritto da Fabrizio Biolé   
Sabato 13 Aprile 2013 15:46

di Fabrizio Biolè

9 aprile 2013. Anche in seguito al partecipato sit-in posto in essere davanti al Tribunale di Torino nel pomeriggio di lunedì 8 aprile nel quale decine di cittadini hanno voluto esprimere la propria solidarietà e vicinanza a pubblici ministeri minacciati da lettere anonime, ho depositato oggi un Ordine del Giorno per chiedere una presa di posizione di solidarietà verso i Pubblici Ministeri Nino Di Matteo, Sergio Lari e Domenico Gozzo, da parte del Consiglio Regionale, in seguito ai gravi episodi intercorsi nei giorni passati. Come risaputo, Di Matteo è il magistrato della Procura Antimafia di Palermo che sta occupandosi dell’indagine sulla cosiddetta “trattativa Stato-mafia”. Lari e Gozzo sono invece impegnati nella Procura di Caltanissetta a sbrogliare la matassa sugli attentati ai giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Tutti e tre sono stati minacciati di morte. Cosa Nostra avrebbe in progetto una serie di attentati stragisti nei loro confronti: questo è quanto emerge dal contenuto delle due lettere anonime recapitate al Procuratore della Repubblica di Palermo Francesco Messineo. Poche righe che riportano con precisione e fedeltà i luoghi e gli orari consueti della vita lavorativa e privata dei tre magistrati.

A Torino, nel 1983 un altro magistrato fu ucciso dalla criminalità organizzata: Bruno Caccia, Procuratore della Repubblica di Torino. Le indagini da lui promosse e condotte riguardavano l’intrecciato, brulicante mondo dei rapporti tra i mondi della politica, degli affari e della mafia, che non sempre sono popolati da individui che ricercano il progresso e il benessere comune.
 

Individui che invece spesso tramano per il proprio personale profitto e potere. Il risultato della loro azione, all’epoca non del solo Bruno Caccia, ma dei tanti, troppi “Bruno Caccia” è stato la “strategia della tensione”: il regresso democratico della Prima Repubblica, che aveva comunque garantito al Paese anni di ricostruzione, boom economico e servizi sociali.

La Prima Repubblica terminò proprio con una serie di stragi, di matrice apparentemente non solo mafiosa, non solo “meridionale”: una su tutte, quella del giudice Giovanni Falcone, che il 23 maggio 1992 a Capaci morì saltando in aria con l’auto sulla quale stava viaggiando con altre persone, a causa di un’esplosione che dilaniò l’intera sezione autostradale.

Siccome la storia insegna che il nostro Stato non ha mai cambiato ordinamento (dalla monarchia alla Repubblica) o assetto (dalla Prima alla Seconda Repubblica) senza una “guerra”, calda o fredda, sempre violenta, ho suggerito al Consiglio Regionale di impegnarsi a suggerire al Presidente della Repubblica e al Ministro dell’Interno una ferma reazione tramite misure urgenti in contrasto con il contenuto delle due lettere.


Fabrizio Biolé (9 aprile 2013)






 

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