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Editoriali - Lettere da Via D'amelio
Scritto da Patrizia Vindigni   
Martedì 31 Luglio 2012 09:46

 

In via D’Amelio, quel giorno, hanno tentato di uccidere la speranza

Il volto segnato dalla stanchezza, dai pensieri che sembravano solcare la fronte, mentre il fumo dell’ennesima sigaretta, stretta tra le dita, impediva per un attimo la vista, sfiorando gli occhi. Sono stati giorni di dolore, di concentrazione, alla ricerca di una disperata verità, con la consapevolezza che un amico importante come Giovanni (Falcone), era stato, alla fine, ucciso, com’era stato, da lui stesso, previsto.

Paolo Borsellino voleva essere ascoltato dalla procura di Caltanissetta subito dopo la morte di Giovanni Falcone. L’amicizia e l’importante rapporto di collaborazione sul lavoro, lo scambio costante di opinioni e idee, gli permettevano di avere un quadro più approfondito e chiaro delle situazioni che avevano portato all’attentato del 23 maggio 1992. Voleva parlarne ai magistrati che si trovavano ad indagare sulla morte dell’amico. E’ probabile che nell’Agenda rossa, sparita dalla sua borsa il 19 luglio 1992, egli annotasse quanto sapeva, per riferirne. E’ molto probabile che in quell’agenda fosse riportato anche il nome di chi lo ha tradito. Un tradimento difficile da superare, in un ambiente ostile, dove i due magistrati sapevano di poter contare su pochi. Un tradimento scoperto pochi giorni prima della strage.

Sappiamo tutti bene che l’agenda rossa è poi sparita nel nulla, subito dopo l’attentato di via D’Amelio. Sappiamo tutti che, ancora oggi, se ne vuole negare l’esistenza, nonostante la moglie e la figlia di Paolo Borsellino hanno sempre confermato che il giudice la portava sempre con sé, compreso il giorno della strage.


Della sua intenzione di conferire con i magistrati sull’attentato di Capaci, Paolo Borsellino fece chiaro riferimento nel discorso tenuto il 25 giugno 1992, a meno di un mese dalla sua morte. Le sue parole: “Sono testimone perché, avendo vissuto a lungo la mia esperienza di lavoro accanto a Giovanni Falcone, avendo raccolto, non voglio dire più di ogni altro, perché non voglio imbarcarmi in questa gara che purtroppo vedo fare in questi giorni per ristabilire chi era più amico di Giovanni Falcone, ma avendo raccolto comunque più o meno di altri, come amico di Giovanni Falcone, tante sue confidenze, prima di parlare in pubblico anche delle opinioni, anche delle convinzioni che io mi sono fatte raccogliendo tali confidenze, questi elementi che io porto dentro di me, debbo per prima cosa assemblarli e riferirli all'autorità giudiziaria, che è l'unica in grado di valutare quanto queste cose che io so possono essere utili alla ricostruzione dell'evento che ha posto fine alla vita di Giovanni Falcone”

Paolo Borsellino era consapevole anche in quei momenti del ruolo che poteva essere chiamato a svolgere, sapeva e voleva utilizzare gli elementi che erano a sua disposizione da magistrato. Raccogliere ogni traccia per comprendere, per aiutare a trarre delle conclusioni che potessero portare alla verità.

Non gli hanno permesso di realizzare la sua ricerca di Giustizia. Per impedirglielo hanno usato il tritolo, cancellando una memoria storica dell’Antimafia e i cinque agenti di scorta Emanuela Loi, Claudio Traina, Vincenzo Li Muli, Eddie Walter Cosina ed Agostino Catalano, gli angeli custodi di Paolo Borsellino.

Non dobbiamo dimenticare che oggi, come nel 1992, il lavoro dei magistrati continua presso le procure di Palermo e di Caltanissetta, che si muovono tra continui attacchi e tentativi di delegittimazione, che non hanno un suono diverso da quelli di venti anni fa, perché la rivelazione dei segreti sulla trattativa stato-mafia fa paura, tanta paura, a chi se ne è macchiato.

 



Patrizia Vindigni (www.stampacritica.it, 30 luglio 2012)




NOTE:
Il numero speciale 13/2012 che Stampa Critica dedica a Paolo Borsellino




 

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