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Salvate il soldato Mancino - Nicola Biondo PDF Stampa E-mail
Documenti - I mandanti occulti
Scritto da Nicola Biondo   
Martedì 26 Giugno 2012 17:21

"La galleria di personaggi che esce fuori dall' inchiesta di Palermo, Caltanissetta e Firenze, è insieme spaventosa e ridicola, degna di questo buffo e crudele paesePaese, e a farla apparire tale questa galleria di personaggi, sono gli avvenimenti di questi ultimi giorni di cui tutti abbiamo sentito parlare, ne abbiamo scritto per chi fa questo mestiere e ognuno di noi si è fatto un’idea, proviamo a focalizzare però l’attenzione su alcuni incontri." Nicola Biondo

Intervista a Nicola Biondo, giornalista

 

Buongiorno a tutti, mi chiamo Nicola Biondo sono un giornalista siciliano, autore di “Il patto la trattativa stato – mafia” e proprio di questo oggi parleremo. Le polemiche le abbiamo seguite tutti in questi ultimi 10 giorni, riguardante l’inchiesta palermitana sulla trattativa Stato – mafia.
Proviamo a fissare dei punti, ci sono 12 indagati e è la storia di un accordo che i magistrati raccontano nell’ arco di 20 anni ttraverso parecchie testimonianze. Perché questo accordo? L’accordo Stato – mafia avrebbe avuto una serie di obiettivi: sicuramente quello di chiudere la stagione delle bombe, sicuramente quello di proteggere alcuni politici che erano finiti nel mirino di Cosa Nostra, ma l’orizzonte sembra essere molto, molto più ampio, più vasto. Da una parte era quello di concedere da parte dello Stato protezione alla leadership moderata di Bernardo Provenzano che tra il 1992/1993 si faceva strada dentro Cosa Nostra. Chiudere quindi il periodo della dittatura imposta dall’organizzazione Cosa Nostra da parte di Salvatore Riina e dei suoi uomini più stretti, dall’altra stabilire un nuovo accordo politico , elettorale, economico con nuovi referenti, ma qualcosa questo lo racconta la storia di questo Paese e anche le inchieste, qualcosa nella politica e nell’economia stava cambiando tra il 1992 e il 1993, qualcuno che da tempo aveva rapporti con Cosa Nostra provò a ribaltare l’intero panorama, l’intero status quo di quel momento.
Sicuramente tra il 1992/1993 si fecero delle prove, poi andate a buon fine, nel tentativo di fondare una nuova repubblica, quella che noi chiamiamo la seconda repubblica, al cui interno, e questo lo raccontano le inchieste, sarebbe cresciuta una nuova mafia, un nuovo modo di interloquire tra poteri criminali e poteri legali con una battuta potremmo dire che tra i padri fondatori di questa seconda repubblica ci fu sicuramente Bernardo Provenzano.
Abbiamo detto ci sono 12 indagati, due sono i nomi di spicco, uno è Conso e l’altro è Nicola Mancino. Chi sono Conso e Mancino per chi non lo ricorda? Sono i ministri degli Interni e della Giustizia che subentrarono ad altri loro colleghi tra il 1992 e il 1993. Mancino subentrò a Scotti nel giugno del 1992, Conso subentrò nel febbraio 1993, entrambi sono indagati. Conso è legato alla nota vicenda del 41 bis, e cioè a quella decisione che Conso assume essere stata presa solo e esclusivamente da lui, per la quale oltre 300 mafiosi nel novembre 1993 uscirono dal carcere duro. Proprio in queste settimane è stato pubblicato un elenco dei personaggi, dei mafiosi usciti dal 41 bis per volere di Conso, ci sono, non soltanto picciotti semplici, manovali di Cosa Nostra, ma anche pezzi da 90 di Cosa Nostra, addirittura uno in particolare verrà poi condannato per essere membro della Cupola che decise le stragi tra il 92/93.
La domanda che i magistrati si fanno è questa: “Fu soltanto Conso a decidere?”. La risposta è assolutamente negativa, non fu solo Conso, e a dimostrarlo sono decine di documenti che le procure di Palermo, Caltanissetta e Firenze, quelle che indagano sulla trattativa, hanno recuperato nel corso di questi anni. Ci chiediamo un po’ tutti: “Quali responsabilità Conso sta proteggendo assumendosi lui, e lui soltanto, la responsabilità di questa decisione? Quali accordi Conso non vuole rivelare?”. C’è un particolare indicativo, un rapporto della Dia nel 1992 che afferma come la pericolosità di un accordo tra Stato e mafia che avesse contemplato anche l’uscita di mafiosi dal 41 bis, in questo documento della Dia che è rimasto sotterrato nelle carte della Commissione antimafia per circa 19/20 anni, si diceva chiaramente che se il Governo, le istituzioni avessero tolto il 41 bis, ciò sarebbe stato interpretato da Cosa Nostra come una tacita trattativa.
Chi era a conoscenza di questo rapporto stilato dalle teste d’uovo, dagli analisti della Dia? A conoscenza di questo rapporto era l’estensore, cioè Gianni De Gennaro , il ministro degli Interni Nicola Mancino e il Presidente dell’antimafia Luciano Violante, perfettamente a conoscenza di questo allarme. Anche Mancino sostengono i magistrati protegge qualcuno, su quali punti? Sul fatto che conosceva gli incontri tra i Carabinieri e Vito Ciancimino, il portavoce della cupola mafiosa, e sul fatto che era a conoscenza, anzi avrebbe anche dato per un certo verso il suo benestare all’uscita dei mafiosi dal 41 bis. Mancino su questo è stato messo alle strette dalla testimonianza di Claudio Martelli. C’è un dato, uno dei tanti, che mette alla berlina, in ridicolo, queste testimonianze vere, false, mezze vere e mezze false di questi supposti uomini di Stato e statisti, e cioè che tutto questo lungo romanzo sulla trattativa è venuto fuori perché c’è stato un signore che si chiama Massimo Ciancimino che, dopo 18 anni dai fatti, è stato chiamato a testimoniare nell’ambito dell’inchiesta dai magistrati di Palermo e ha iniziato a raccontare pur con mille dubbi, questa storia. Lo scandalo quindi non è che Massimo Ciancimino parla di questa storia, ma che. avendone lui parlato per primo, poi tutti questi uomini di Stato iniziano a parlare, chi dicendo delle cose vere, chi dicendo delle cose meno vere e questo lo decideranno dei giudici.

Avocazione delle indagini
La galleria di personaggi che esce fuori da questa inchiesta, quella di Palermo, Caltanissetta e Firenze, è insieme spaventosa e ridicola, degna di questo buffo e crudele Paese, e a farla apparire tale questa galleria di personaggi, sono gli avvenimenti di questi ultimi giorni di cui tutti abbiamo sentito parlare, ne abbiamo scritto per chi fa questo mestiere e ognuno di noi si è fatto un’idea, proviamo a focalizzare però l’attenzione su alcuni incontri, c’è una certezza. Nicola Mancino indagato per falsa testimonianza dalla Procura di Palermo chiede protezione, la chiede ai vertici della Cassazione e consigliere Giuridico della Presidenza della Repubblica, Loris D’Ambrosio, la chiede anche, lo dicono i brogliacci delle intercettazioni, anche a Giorgio Napolitano, al Presidente della Repubblica in carica. Mancino è spaventato, ammette anche alcune volte, quasi a voler “minacciare”, che ci sono altri personaggi, rimasti ancora nell’ombra ad avere avuto un ruolo in questa benedetta – maledetta trattativa. Non sfugge a nessuno che si tratta di una richiesta di aiuto, ma cosa veramente potevano fare? E uso il plurale perché non è solo Mancino che chiede aiuto al colle più alto, ai vertici della Cassazione, ma anche i vertici della Cassazione e il Quirinale si acconciano a questa richiesta, verrebbe da dire anche con gioia, con felicità e questo è evidente dalle intercettazioni, tutti i muovono, ma qui succede davvero qualcosa di spaventoso e ridicolo, le parole d’ordine di questo intervento che Mancino chiede alle istituzioni più importanti del nostro paese, si giocano tutte su due parole, due termini quelli di: “coordinamento delle indagini” e quelli di “avocazione delle indagini”. Cosa significa? La “avocazione”, lo dice la parola stessa è la possibilità che il Procuratore nazionale antimafia, in questo caso Piero Grasso potesse avocare a sé, quindi scippare l’inchiesta ai suoi colleghi palermitani, se vi fossero le condizioni per farlo. Lo stesso Mancino ne parla, ma poi quasi intimorito di questo suo desiderio, detto chiaramente ai vertici dello Stato, dice: “No, no, la avocazione no, succederebbe un disastro”. Perciò tutti i protagonisti di questa storia, di queste pressioni, puntano sulla parola “coordinamento” tanto che su questo termine chiedono l’intervento del capo dello Stato, del suo consigliere giuridico, dei vertici della Cassazione.
Cosa significa coordinamento? Coordinamento significa che le procure che indagano su uno stesso fatto, hanno l’obbligo, per correttezza professionale per un’esigenza di coordinamento di passare atti di indagine, interrogatori e quant’altro ai loro colleghi di altre procure nel momento in cui queste altre procure si occupano dello stesso fatto, è una norma anche di buonsenso. Bene, ma leggendo le intercettazioni si capisce chiaramente che questi giuristi, non ci dimentichiamo che Nicola Mancino è stato non soltanto ministro, ma anche il numero due del Csm, tradiscono la loro volontà e la loro volontà. E’ evidente che non si tratta di un coordinamento, ma di un rendere omogenee le inchieste, cosa che nessuna legge prevede, nessuna direttiva del Csm prevede, nessuno può richiedere l’omogeneità di giudizio, di procure diverse o di corti di giustizia diverse. Scendiamo più nei particolari.
Mancino è scandalizzato del fatto che Gaspare Spatuzza venga ritenuto assolutamente credibile dai magistrati che indagano sulla strage di Via D’Amelio e non venga ritenuto credibile dalla Corte d’Appello che invece ha processato e condannato Marcello Dell’Utri, ma questo mischiare le cose è evidente che tradisce quella volontà di rendere omogenee le inchieste, cosa che nessuno può chiedere, al contrario questi giuristi un tanto al chilo. Non soltanto Mancino, il collaboratore del Quirinale, Loris D’Ambrosio, gli stessi vertici della Cassazione, ma anche molti, tanti, troppi commentatori dell’ultima ora, sostengono che il coordinamento fa parte dei diritti, dei doveri dei vertici del Quirinale, dei vertici della Cassazione, ma non si sta discutendo di questo, tanto che il coordinamento è sempre avvenuto tra le procure che indagano e allora davvero cosa volevano? Quali erano i desideri di Nicola Mancino? Quali erano i desideri del Quirinale? Quali erano i desideri della Cassazione?
Dietro questo paravento del “coordinamento” tra le procure c’è qualcosa invece di molto più oscuro, una voglia pervicace che si scontra con la realtà dei fatti, di torcere le inchieste, di utilizzarle questa volta sì a fini politici, di tacitarle, cercare di disinnescarle, perché al contrario la verità dei fatti è dura come le pietre, da anni le inchieste e le sentenze anche definitive, dicono che vi fu una trattativa tra Stato e mafia. Addirittura la sentenza passata in giudicato riguardante le bombe del 1993, dice chiaramente che gli ufficiali dei Carabinieri, oggi indagati a Palermo Mario Mori e Giuseppe De Donno che entrarono in contatto con Vito Ciancimino, hanno la responsabilità morale di quelle stragi, leggo dalla sentenza “l’iniziativa ebbe sicuramente un effetto deleterio per le istituzioni, confermando il delirio di onnipotenza dei capi mafiosi e mettendo a nudo l’impotenza dello Stato”, se questa è davvero la realtà dei fatti, proviamo a capire chi è il vincitore morale di questo scontro durissimo tra i vertici dello Stato e la magistratura palermitana.
Senza dubbio il vincitore morale di questa partita, almeno fino a questo momento è Piero Grasso, il Procuratore nazionale antimafia che, intervistato in questi ultimi giorni, ha raccontato come a lui venne chiesto questo ipotetico coordinamento nell’ottica impossibile perché abbiamo detto non ce ne erano i presupposti, di avocare, scippare l’inchiesta. Grasso fa la figura dell’eroe, di colui che protegge l’inchiesta palermitana che a tante persone non piace, come minimo, Piero Grasso quindi assume una veste per lui inusuale, vedremo perché, inusuale perché difende i colleghi di Palermo dicendo: non ero d’accordo, i poteri di coordinamento li ho esercitati nei confronti dei miei colleghi che indagano e è tutto a posto, appunto ne esce come vincitore morale. Qualcuno però dimentica di raccontare chi è Piero Grasso, a parte ovviamente essere il procuratore nazionale antimafia, iniziamo a ricordarlo. Piero Grasso è asceso alla carica che ricopre tutt’oggi, perché una parte del Parlamento di centro-destra ha votato una legge contra personam, cioè contro Giancarlo Caselli che era l’altro concorrente con Piero Grasso per ascendere al vertice della Procura nazionale antimafia, un aiuto chiarissimo che Piero Grasso non ha mai rifiutato, anzi proprio grazie a questa legge, votata in corsa mentre il Csm doveva decidere chi sarebbe diventato Procuratore nazionale antimafia, lui ci diventa grazie a questa legge. Andiamo a tempi più recenti, chi è Piero Grasso? È la persona che proprio poche settimane fa, strabilia tutti dicendo che il governo Berlusconi merita una medaglia al valore per le politiche antimafia che ha messo in campo, su questo non c’è bisogno di commentare, lo capiamo tutti. Nella stessa intervista Piero Grasso dice che Antonio Ingroia uno dei magistrati impegnati nell’inchiesta Palermitana fa politica e questo non va bene, fa politica perché è intervenuto a un congresso di un partito dicendo chiaramente: “Sono un partigiano della Costituzione, i magistrati giurano sulla Costituzione”. Era una cosa lapalissiana che un magistrato è un partigiano della Costituzione, ma lo dice Piero Grasso che da anni frequenta legittimamente le feste di partito, almeno tre – quattro volte è stato ospite della festa nazionale del PD. Chi è Piero Grasso? È quello che dimentica per esempio di fare le domande giuste a Massimo Ciancimino quando viene interrogato dalla Procura di Palermo, domande giuste che gli faranno invece gli altri magistrati Antonio Ingroia, Nino Di Matteo, gli Asava, i titolari dell’inchiesta sulla trattativa. Insomma il vincitore morale è lui, senza alcun dubbio, vincitore morale che riesce in un’operazione impossibile, quella di diventare il beniamino dell’antimafia radicale, che infatti lo invita a un mese di distanza da quella incredibile frase sui meriti del governo Berlusconi, a partecipare al ventennale della strage di Via D’Amelio, lui che ha difeso i magistrati palermitani contro le incursioni che abbiamo raccontato.

La scatola nera di questa repubblica
Al contrario in passato, in un passato recente, c’è stato un tentativo di controllo di rendere omogenee le indagini, è pubblico questo tentativo. Nel 2009, proprio Piero Grasso provò a mandare a Caltanissetta come suo delegato, il giudice milanese Boccassini, era il 19 maggio 2009 e a questa precisa richiesta di Grasso,i magistrati nisseni si opposero. Si opposero sulla base di un principio assolutamente chiaro e cioè che la Boccassini aveva condotto le inchieste sulla strage di Via D’Amelio già nel 1992/1994 e che quindi era testimone dei fatti di quell’inchiesta su cui oggi si indaga perché ha portato al clamoroso depistaggio e all’allontanamento della verità.
Per cui i magistrati nisseni hanno dovuto rispondere: “No grazie!”. Ma se questa applicazione della Boccassini fosse arrivata a buon fine, avremmo avuto un’inchiesta, quella di Caltanissetta sulla strage di Via D’Amelio in un certo senso con una bomba a orologeria piazzata, lì pronta a esplodere, perché qualsiasi avvocato, giustamente, avrebbe potuto contestare ai magistrati che indagano oggi su via D’Amelio che la presenza della Boccassini come indagatrice di un’inchiesta sulla quale lei in passato aveva lavorato avrebbe distrutto l’impianto dell’indagine odierna.
Questo tentativo voluto da Piero Grasso, fu appoggiato da altissime personalità istituzionali. Viene da domandarsi visto che ancora i nomi in un certo senso sono coperti: “Erano le stesse personalità che oggi si scagliano con inusitata durezza contro le inchieste sulla trattativa e contro il principio statuito dalla Costituzione che la legge è uguale per tutti?”. Perché è questo poi in fondo di cui stiamo parlando: ”E’ ammissibile che un indagato, per quanto eccellente, scambi il Quirinale e la Cassazione come una sorta di ufficio reclami?”. C’è una verità di fondo e cioè che questa guerra fa venire fuori l’anima più nera e gretta del potere di questo Paese
State sicuri che alla fine questa è una delle tante scosse che vedremo riguardante la trattativa Stato – mafia perché l’inchiesta appena chiusa dei 12 indagati, che ricordiamo essere ai vertici di Cosa Nostra, tre alti ufficiali dei Carabinieri, alcuni politici, questo è uno stralcio dell’inchiesta principale, altri nomi sono iscritti nel registro degli indagati, uomini delle istituzioni, sono uomini che hanno ricoperto cariche politiche, uomini che hanno fatto parte dei servizi di sicurezza. Violante è un altro di quegli smemorati che prende a un certo punto l’iniziativa di andare dai magistrati di Palermo a dire: sì io sapevo di questi incontri, solo dopo che Massimo Ciancimino li mette agli atti davanti ai magistrati, così come sempre su Luciano Violante ricordiamo essere uno di quei pochissimi politici che nel 1995, quindi tre anni dopo le stragi di Falcone e Borsellino, si dichiara a favore della dissociazione dei mafiosi, ricordiamo che la dissociazione per i mafiosi è uno dei punti più importanti su cui ancora i magistrati indagano, uno dei punti più importanti del “papello”, per essere chiari. Cos’è la dissociazione? La dissociazione se fosse stata messa in pratica, come voleva Violante, avrebbe comportato una cosa davvero incredibile. Immaginiamo Totò Riina che dice ai magistrati: “Mi dissocio dalla mafia, basta che non mi chiedete chi sono i miei complici e dove ho messo i soldi raggranellati in una vita di onesto lavoro da capo della cupola”.
Questa è la dissociazione, dare la possibilità ai mafiosi di dissociarsi da Cosa Nostra a parole, non dover accusare i complici come invece prevede la legge sui pentiti e tenere il patrimonio illegale nelle proprie mani.
Questa lunga trattativa sembra che sia partita ancora prima delle stragi e che ancora non sia finita, è indice probabilmente di un dato di fatto: che il potere italiano non desidera essere processato, intercettato, far sapere le modalità con le quali sono state prese alcune decisioni, se c’è una scatola nera di questa repubblica la possiamo ritrovare nelle inchieste che faticosamente vanno avanti, finalmente per capire di cosa veramente è fatto lo Stato e i nostri governanti.

da: BeppeGrillo.it

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