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Via D’Amelio: chi ruba? PDF Stampa E-mail
Editoriali - In evidenza
Scritto da Sergio Nazzaro   
Sabato 24 Luglio 2010 08:27
Oggi (venerdì 23 luglio 2010, ndr) sul sito de La Stampa compare un articolo di Guido Ruotolo: I mozziconi mai sequestrati, l’ultimo giallo di via D’AmelioSembra uno scoop, dovrebbe esserlo, ma non lo è. Nella strage che ha ucciso Borsellino, non solo non si sa chi sono gli autori, ma non si conosce neanche il luogo esatto da dove è stato premuto il comando per l’autobomba. L’articolo di Ruotolo, invece, parla proprio di quel palazzo vicino a via D’Amelio, a dei mozziconi di sigaretta mai repertati, di due poliziotti e di una relazione che è scomparsa per ben diciotto anni. Quindi l’articolo dovrebbe essere eclatante. Invece non lo è. Semplicemente perché riprende delle informazioni che già esistono. Nicola Biondo, autore del libro Il Patto (Chiare Lettere) ne parla diffusamente. Anzi il libro, che nelle prime pagine, ha una sezione definita “pretesti”, riporta proprio la scoperta di questo delicato passaggio.

Nicola Biondo, già nel marzo del 2009, attraverso un reale lavoro di giornalismo investigativo aveva trovato questa relazione smarrita e la storia dei due poliziotti. E porta la storia in procura a Caltanisetta. Quando il giornalismo investigativo aiuta le indagini. I magistrati chiedono il silenzio, devono indagare. Biondo avrebbe potuto fare uno scoop. Invece, obbedendo ad un codice deontologico rigoroso, ne scrive solo nel suo libro che esce a gennaio del 2010. Di poi compare
un articolo per l’Unità, sempre a firma di Biondo il 18 luglio del 2010: dove riporta la storia che ha scoperto.
 
Non me ne voglia Ruotolo, ma conosco troppo bene questa vicenda perché possa passare sotto silenzio. Addirittura leggo: dall’inviato a Palermo. E mi domando se in questa Italia così poco meritocratica, il giornalismo possa scendere a questo livello. Certo c’è chi ha contratti ben retribuiti, e i giovani (cosiddetti giovani) che consumano suole e hanno capacità investigative e non hanno contratti retribuiti. Ed è uno scempio che ci si basa sulle spalle dei giovani per il proprio lavoro stipendiato, che invece pretende un maggiore impegno. Segno dell’Italia odierna: chi può non fa, chi non può si sbatte per davvero. Altra legittima domanda: perché ne scrivo? Leggendo l’articolo, Ruotolo non cita una volta, dicasi una volta, la provenienza della notizia. Se si cita una fonte, quindi si riconosce il lavoro dei colleghi, è più che legittimo esprimere le proprie opinioni, conclusioni, deduzioni. Invece no. Certe volte, anzi anche di più, il giornalismo vive di scippi e copiature. Non è un reato, infatti l’Italia e questo mestiere, non è proprio affollato di gentiluomini.
 
Si pretende giornalismo investigativo, ma non lo si fa fare a chi ne ha le capacità. Non lo si paga adeguatamente, e ci si domanda il futuro dei (cosiddetti) giovani quale possa essere. Certamente non sopportare in silenzio le prevaricazioni della terza età. E siccome si tratta di mafia, quindi questioni serie, ma molto serie, che il giornalismo non cazzeggi, ma fatichi un poco. Lo so, faticare non è bello, ma è onesto.
 
Ps: Nell’articolo di Rutolo si citano i nomi dei due poliziotti. Biondo li conosce da molto tempo e in rispetto alla procura e al segreto istruttorio non sono mai stati rivelati. Perché scriverli per esteso i due nomi. Ecco un piccolo mistero nelle grandi questioni di via D’Amelio.


Sergio Nazzaro (
AgoraVox, 23 luglio 2010)



 

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kilo   |2010-07-24 12:55:41
Anch'io quando ho letto l'articolo ho sperato perlomeno che non si trattasse del
Ruotolo "serio" ma di quell'altro, il fratello. E infatti era così.
Fra
l'altro Ruotolo dà per scontato che si sa da dove è stato premuto il comando
della bomba. Perché falsificare in questo modo le notizie? Perché non dice una
parola sul castello Utveggio, sul monte Pellegrino?
Se non si tratta di un
"depistaggio" mediatico, allora si tratta di un pessimo esempio di
giornalismo da quattro soldi.

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