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Home Documenti Altri documenti Marcello, lo stalliere e le leggi 'ad mafiam'
Marcello, lo stalliere e le leggi 'ad mafiam' PDF Stampa E-mail
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Scritto da Marco Travaglio   
Domenica 16 Marzo 2008 22:17
Ancora poche settimane e Marcello Dell’Utri conoscerà la sua sorte. Nel silenzio dei grandi media, ma anche di quelli piccoli, è in corso da un anno a Palermo il suo processo d’appello, frutto dei ricorsi presentati dalla Procura e dai difensori del senatore forzista contro la sentenza di primo grado che l’11 dicembre 2004 l’aveva condannato a 9 anni per concorso esterno in associazione mafiosa: troppo pochi per la Procura, che ne aveva chiesti 11; troppi per la difesa, che aveva chiesto l’assoluzione completa.
 
Diversamente da altri processi d’appello, che sostanzialmente si limitano a verificare “sulle carte” le prove esaminate dal Tribunale, questa volta i giudici sono chiamati ad esaminare alcuni elementi nuovi portati dall’accusa, sostenuta dal sostituto Procuratore generale Antonino Gatto.
I più interessanti, anche dal punto di vista storico-politico, riguardano i movimenti di Dell’Utri nel 1994, quando non era ancora parlamentare ma aveva già creato Forza Italia e sosteneva, dalla sua scrivania in Publitalia, il primo governo Berlusconi. Movimenti che, secondo l’accusa, sarebbero avvenuti in sintonia con quelli di Cosa Nostra, interessata a leggi più blande in materia di giustizia, in controtendenza con quelle varate dallo Stato appena un anno prima sull’onda emozionale seguita alle stragi di Palermo, Roma, Firenze e Milano.
E chi faceva da trait d’union tra Cosa Nostra e Dell’Utri? Il solito Vittorio Mangano, già “fattore” nella villa di Arcore dal 1974 al ’76, poi arrestato nel 1980, condannato a 11 anni nel maxiprocesso istruito da Falcone e Borsellino e poi tornato in libertà all’inizio degli anni ’90, giusto in tempo per capitalizzare il contraccambio del suo lungo silenzio in carcere.
Promosso dai boss Leoluca Bagarella e Giovanni Brusca al rango di capo reggente della famiglia mafiosa di Porta Nuova (quella di Pippo Calò) dopo l’arresto di Salvatore Cancemi, Mangano faceva la spola tra Palermo e Milano2 già nel novembre ’93, mentre Dell’Utri e Berlusconi davano gli ultimi ritocchi al progetto Forza Italia (i due appuntamenti risultano dalle agende sequestrate alla segretaria di Dell’Utri a Publitalia).
Ma - secondo la ricostruzione del Pg Gatto, basata sull’incrocio tra dichiarazioni di pentiti e riscontri oggettivi, compresi i verbali dei lavori parlamentari e i calendari di alcune leggi sulla giustizia – le sue missioni chez Dell’Utri proseguirono anche nel ’94, in pieno governo Berlusconi. E andarono a buon fine, partorendo la famosa “riforma della custodia cautelare”, approvata dopo molte polemiche e rinvii nell’agosto del 1995 da centrodestra e centrosinistra (esclusa la Lega Nord e pochi verdi sciolti).
Un Salvaladri-2. Una legge – se l’ipotesi fosse confermata – non ad personam. Ma direttamente ad mafiam.

 

Mangano e Cucuzza, i due reggenti

Il Pg Gatto parte dalle dichiarazioni del mafioso collaborante Salvatore Cucuzza, che di Mangano sa tutto, perché era l’altro “reggente” del clan di Porta Nuova. Infatti il Tribunale l’ha ritenuto pienamente attendibile e riscontrato. Dunque, nel ’94, “il Mangano aveva detto al Cucuzza di avere avuto due incontri a Como (dove Dell’Utri aveva una villa sul lago, ndr) con l’imputato (Dell’Utri) per propiziare un alleggerimento legislativo delle disposizioni contro la criminalità organizzata. In tali incontri – a uno dei quali l’imputato si era recato in elicottero – Dell’Utri aveva promesso che a gennaio del ’95 sarebbero state adottate misure legislative favorevoli alla mafia, mentre un precedente tentativo consistente in ‘una correzione del decreto Biondi dopo che l’aveva firmato Moroni’ (il ministro dell’Interno Roberto Maroni, ndr) non era andato a buon fine e il decreto ‘non venne mai approvato perché Moroni si ribellò e, non so, forse pure il Capo dello Stato, comunque ci fu una grossa polemica’...”. Secondo Cucuzza, il tentativo fatto e fallito col decreto Biondi nel luglio ’94 “riguardava il 416 bis (associazione mafiosa, ndr)… una piccola modifica” apportata – gli avrebbe detto Mangano – dopo che era stato firmato da “Moroni”, che sosteneva di essere stato imbrogliato dagli alleati forzisti. “Nella circostanza – ricorda il Pg, riassumendo il racconto di Cucuzza - l’imputato (Dell’Utri) aveva esortato (Cosa Nostra) ad astenersi da azioni delittuose di grande clamore perché ciò sarebbe stato controproducente ai fini delle emanande favorevoli disposizioni: in conseguenza di ciò – e nonostante l’impellente necessità di danaro per far fronte alle esigenze dell’organizzazione criminale – era stato abbandonato il progetto di sequestro di una personalità del Palermitano, per non mettersi sotto i riflettori ed evitare le negative ricadute che ne sarebbero conseguite. Il primo giudice – corretto quello che ritiene un lapsus del collaborante, secondo il quale “prima di arrivare a dicembre del 1994” Mangano aveva avuto dei rapporti con Dell’Utri – colloca detti incontri alla fine del 1993 e afferma che ‘con Cucuzza il cerchio si chiude’, perché le sue rivelazioni da un canto riscontrano quanto sin qui da esso giudice accertato, dall’altro sono suffragate da una prova munita di autonoma efficacia dimostrativa, costituita dal rinvenimento nell’agenda dell’imputato di annotazioni relative a due incontri con il Mangano proprio nel novembre 1993”.

La difesa Dell’Utri contesta la ricostruzione del Tribunale: “Il dato temporale ipotizzato dal Collegio trova diverse smentite”. E ha ragione: infatti il decreto Biondi, detto anche “Salvaladri”, fu varato il 14 luglio ’94 e poi ritirato dallo stesso governo per la ribellione di Maroni, di tutta la Lega e di An. Dunque gli incontri Mangano-Dell’Utri per parlarne devono essere successivi all’estate del ’94. Ma qui sbaglia il Tribunale, non il pentito. Quando i pm gli domandano: “Senta, per riuscire a comprendere, rispetto alla data in cui poi ci fu il discorso del decreto Biondi di cui lei stesso ha parlato poco fa, questi incontri furono precedenti o successivi?”, Cucuzza risponde secco: “Successivi”. Tant’è che – ricorda – Bagarella voleva eliminare Mangano e aveva incaricato dell’esecuzione Tony Calvaruso, ma nell’estate del ’94 lo risparmiò, dicendo al killer: “No Tony, per ora aspetta perchè ancora ci serve”; e spiega che si rese utile proprio quelle due gite a Como.

 

Il Salvaladri-1

Fino al decreto Biondi, l’articolo 275 del codice di procedura penale prevedeva che “…quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti di cui all’art. 416 bis... ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo... è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari”. In pratica, mentre per gli altri reati la custodia cautelare era l’extrema ratio, per i reati di mafia era una scelta obbligata fino a prova contraria.

L’articolo 2 del decreto Biondi modifica quella norma: nel senso che anche per i delitti di mafia il giudice, prima di applicare la custodia in carcere, avrebbe dovuto cercare e illustrare le esigenze cautelari, prima date per scontate. E restringe ulteriormente la possibilità di arresto preventivo in caso di pericolo di fuga: non basta più il “concreto pericolo che l’imputato si dia alla fuga”, ma occorre provare che l’indagato “stia per darsi alla fuga”. In pratica, il mafioso può essere arrestato solo quando viene trovato con la valigia in mano, il biglietto in bocca e un piede sulla scaletta dell’aereo. Dunque - osserva Gatto - “quanto riferito da Mangano a Cucuzza - la modifica “riguardava il 416-bis, per quanto riguarda l’arresto sul 416-bis” - è risultato perfettamente riscontrato perché scolpito addirittura sulle tavole della legge. Cucuzza è riscontrato persino nella indicazione della ribellione di Roberto Maroni, che aveva dato il proprio concerto all’adozione del decreto, ma ebbe a dichiarare (…) che aveva ‘parlato con alcuni magistrati in prima linea contro la mafia e ho scoperto, per esempio, che questo decreto è diverso da quello che ci era stato prospettato la sera in cui l’abbiamo approvato’ e che il problema non riguardava solo i reati di corruzione e concussione, ma ‘ci sono altre parti del decreto che complessivamente depotenziano l’azione dello Stato contro la criminalità organizzata’”.

 

Quel ramo del lago di Como

Cucuzza insiste sul luogo degli incontri tra Mangano e Dell’Utri nel ’94: che non è più Milano, come nel ’93, ma Como. Osserva Gatto: “Eclatanti sono i riscontri ritrovati anche in ordine alle circostanze che il luogo degli incontri era Como e che l’imputato una volta vi si recò in elicottero, circostanze che, prima facie, sarebbero potute apparire cervellotiche a fronte del fatto certo che era Milano la sede degli affari e degli interessi” di Dell’Utri. Quali riscontri? Dalle indagini della Dia, risulta che “con atto del 2 luglio 1991 Marcello Dell’Utri ha acquistato a Sala (Como) un fabbricato. Ha acquistato, altresì, numerose abitazioni in epoca successiva al 1994 a Torno (Como), dove dal 6 ottobre 2001 ha fissato la propria residenza. Dalle medesime indagini nulla è emerso - né poteva emergere,l’imputato essendo stato sottoposto a tutela da parte della Polizia di Stato a far data dal 7/10/2003 - circa spostamenti con elicottero nel 1994 in quel di Como. E’ però emerso che Silvio Berlusconi svariate volte vi si è recato a bordo di elicottero privato: dal che deriva che Dell’Utri aveva la possibilità di servirsi dell’elicottero privato dell’amico, alla cui ascesa politica egli aveva prestato un determinante contributo sia appoggiandone la decisione di scendere in politica sia mediante la creazione di Forza Italia”.

 

Il Salvaladri-2

L’8 agosto 1995 viene pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale la legge n. 332 “Modifiche al codice di procedura penale in tema di semplificazione dei procedimenti, di misure cautelari e di diritto di difesa”, figlia legittima del decreto Biondi, di cui recepisce tutto il meglio, anzi il peggio. Qui il Pg si limita a citare i comunicati dell’Ansa sull’iter della legge. L’8 settembre ‘94 il ministro della Giustizia, Alfredo Biondi di Forza Italia, sollecita un vertice di maggioranza sulla giustizia per elaborare “un testo unico ispirato ai medesimi principi che erano propri di quel ‘decreto’ la cui paternità ‘collegiale’ è stata da alcuni frettolosamente disconosciuta”. Il 16 settembre la forzista Tiziana Maiolo, presidente della commissione Giustizia della Camera, annuncia che la sua commissione sta esaminando una legge di riforma della custodia cautelare e insiste per il vertice di maggioranza. Il 19 settembre la stessa Maiolo, a capo di una delegazione in visita a San Vittore, dichiara: “Ormai non c’è più nessuno che lamenti tanto le condizioni di detenzione per questioni di salute o di igiene, ma solo per questioni di giustizia. Si lamentano per la custodia cautelare e il pessimo uso che ne ha fatto sinora gran parte della magistratura”. Ragion per cui si impegna “per l’abolizione dell’ergastolo” e per “l’annullamento dell’ordinanza di custodia se emessa in difetto dei requisiti minimi”. Il 28 settembre il comitato ristretto della commissione Giustizia approva la riforma della custodia cautelare, che dovrà poi essere approvata dalla commissione stessa: “Chiederò la sede legislativa – spiega la Maiolo - in modo da evitare l’aula e approvare il testo entro la prossima settimana”. Il 19 ottobre la Maiolo annuncia: “Il Parlamento sarà in grado nelle prossime settimane di approvare una legge che renderà più rigoroso il ricorso alla custodia cautelare e salvaguarderà le garanzie dei cittadini”. Ma il 27 ottobre il presidente della Camera Irene Pivetti decide per la sede redigente: l’aula si pronuncerà, ma solo per il voto finale, senza emendamenti”. Il 7 dicembre la commissione, riunita addirittura di notte, approva i primi 2 articoli della “riforma” e procede a tappe forzate fino al 20 dicembre, quando vengono approvati anche gli ultimi articoli (in tutto 22). L’Ansa annuncia che il testo “dovrà essere approvato dall’aula alla ripresa dei lavori parlamentari dopo la pausa natalizia”. Ma, a questo punto, accade l’imprevisto. La Lega Nord sfiducia il governo Berlusconi, che è costretto a dimettersi il 22 dicembre. Nel gennaio ’95 lo sostituisce il governo Dini, appoggiato da Sinistra e Lega Nord, con l’astensione di Forza Italia, An e Ccd. Avendo altro da fare – dalla fiducia al nuovo esecutivo alla manovra economica correttiva al Dpef - il Parlamento rinvia di qualche mese il Salvaladri-2, che sarà approvato solo ai primi di agosto, tra le proteste dei magistrati, soprattutto di quelli antimafia.

Ora, se già era difficile pensare che Cucuzza sapesse di suo che Dell’Utri aveva una casa a Como, è ancor più arduo immaginare che abbia ricostruito l’iter di una legge per poter calunniare il braccio destro del Cavaliere. Insomma, è piuttosto evidente che quelle cose le ha sapute da Mangano. E quelle cose collimano con i fatti. Ricorda Cucuzza: “Mangano mi raccontò che prima del Natale dell’84 (’94, ndr) si incontrò a Como con Dell’Utri e che questi promise di presentare nel gennaio, parliamo del ’95, delle proposte molto favorevoli per la giustizia, una modifica del 41 bis, uno sbarramento per gli arresti per quanto riguarda il 416 bis, insomma di fare qualche cosa per la giustizia”. Come abbiamo appena visto, proprio nel dicembre ’94 la riforma della giustizia sembrava cosa fatta e sarebbe passata entro il gennaio ’95 se non fosse caduto il governo.

A questo punto - argomenta il Pg Gatto – occorre “accertare se le nuove norme fossero o no più favorevoli alla criminalità organizzata”. Il testo varato in quei giorni dal comitato ristretto della commissione Giustizia “teneva ferme le previsioni dell’art. 274 c.p.p., così abolendo la presunzione dell’esistenza di esigenze cautelari in materia di 416 bis, e in più introduceva un elemento di confusione e uno di ulteriore depotenziamento del contrasto al crimine organizzato, elementi che – nel prevedibile colossale contenzioso che si sarebbe instaurato – avrebbero potuto schiacciare l’apparato giudiziario”. L’elemento di confusione è un inciso: “salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari”. Che, nella norma precedente, aveva un senso, in quanto l’indagato di mafia andava arrestato automaticamente, salvo elementi concreti che provassero l’inutilità delle manette; ma nella nuova norma, che impone al giudice di motivare la necessità di arrestare il mafioso, non ha senso chiedergli di motivare anche la necessità di non arrestarlo. L’elemento di “ulteriore depotenziamento derivava, invece, dalla previsione che le concretamente ravvisate esigenze cautelari potessero essere soddisfatte con ‘misure meno gravi’ della custodia in carcere”, che prima invece era automatica fino a prova contraria. Non solo: per dimostrare il pericolo di inquinamento delle prove, non basta più l’esigenza di proteggere “le indagini”; ora si deve dimostrare che sono a rischio specifici “atti di indagine”, il che impone al magistrato “di svelare anticipatamente la pista seguita e comportato rischi, elevatissimi quando ci si muove nell’ambito della criminalità organizzata, per la salvaguardia dei testi e delle indagini: si pensi, per esempio, a un omicidio di mafia cui abbia casualmente assistito Tizio, riconosciuto dall’assassino e poi chiamato ad effettuare una ricognizione di persona”. Inoltre il Salvaladri-2 accorcia di gran lunga i termini di durata massima della custodia cautelare, cancellando la possibilità di sospenderli nei maxiprocessi di mafia, particolarmente lunghi e complessi: “Se approvato – osserva il Pg - avrebbe determinato, per il presente, la precoce scarcerazione di un cospicuo numero di mafiosi; per il futuro, una riduzione della durata del carcere preventivo”. Infine “l’articolo 22 uccideva, abolendolo, il neonato (era stato introdotto come misura d’urgenza antimafia con un decreto-legge del giugno 1992) reato di false informazioni al pm, con la conseguenza che l’omertà - linfa vitale di cui si nutre il crimine organizzato - non avrebbe potuto essere efficacemente perseguita dallo Stato”. Insomma, “a conclusione della disamina si può serenamente affermare che il nuovo assetto della custodia cautelare per i reati di criminalità organizzata era (ma per le organizzazioni criminali) più favorevole di quello vigente al momento degli asseriti colloqui e incontri in quel di Como tra Vittorio Mangano e Marcello Dell’Utri e che il detto di Cucuzza è stato, anche stavolta, documentalmente riscontrato”.


Mangano disse proprio così

Ultima questione: “verificare se Mangano abbia potuto mentire a Cucuzza o se Cucuzza lo abbia fatto innanzi al Tribunale”. Mangano millantò con Brusca, Bagarella e Cucuzza di aver incontrato Dell’Utri? “Ad escludere la tesi difensiva della millanteria di Mangano giovano non solo le argomentazioni del primo giudice, che ne ha posto in luce l’inverisimiglianza, ma anche altre, derivanti dalla collocazione degli incontri di Como nel 1994. Ammesso che Mangano abbia avuto notizia della ribellione di Maroni dai mezzi di informazione e l’abbia astutamente strumentalizzata per ingannare Brusca e Bagarella (quel Bagarella che lo aveva condannato a morte perché l’odiato Cancemi lo chiamava affettuosamente “sangue mio”; che lo avrebbe spellato vivo sol che avesse subodorato l’inganno; e alla cui presenza – come racconta Calvaruso – “tremava”), è da rilevare l’esistenza di elementi che segnalano anche una diversa fonte di conoscenza. Le cognizioni di Mangano sul ‘Salvaladri’ appaiono, infatti, munite di un tecnicismo e di una specificità (“Per quanto riguardava il 416bis, per quanto riguarda l’arresto sul 416bis c’era stata una piccola modifica...Mi aveva detto Mangano che c’è stato un tentativo, non so da chi, a fare in questo decreto, dopo la firma di Moroni, Maroni come si chiama, di modificare così nascostamente un articolo che Cinà (Gaetano Cinà, il mafioso amico sia di Mangano sia di Dell’Utri, ndr) ci doveva favorire. Ma poi accortosi di questa situazione...”) estranei all’intervista televisiva di Maroni (alla quale si richiamavano anche i giornali della carta stampata) e legittimano la conclusione che egli solo ad altra fonte poteva attingerli. (…) A proposito di modifiche ‘piccole’ il pensiero corre subito a quell’inciso ‘piccolo’, di cui si è detto a proposito della sostituzione operata dal decreto Biondi (…) capace di stravolgere a vantaggio del crimine organizzato la disciplina della custodia in carcere per il reato di associazione mafiosa e per i reati mafia in genere. Sembra allo scrivente che ce ne sia abbastanza per concludere che Mangano non mentì a Cucuzza e che tale conclusione, già intrinsecamente valida, venga ulteriormente corroborata dalla sinergia dimostrativa derivante, oltre che dalle complessive risultanze processuali, specificamente dai riscontri sul tema sopra evidenziati: gli interessi in quel di Como dell’imputato e la sua possibilità di servirsi di un elicottero”.

Lo stesso vale per le confidenze fatte da Mangano a Cucuzza sul Salvaladri-2, atteso per il gennaio del 1995. “Se si esclude che qualcuno lo abbia interessatamente informato di una riforma che doveva ancora maturare e della sua progressione, non si comprenderebbe in qual modo egli abbia potuto conoscere che presso la commissione Giustizia della Camera era in gestazione quella legge, conoscere genericamente il suo contenuto (‘proposte molto favorevoli per la giustizia, una modifica del 41 bis, uno sbarramento per gli arresti per quanto riguarda il 416 bis, insomma di fare qualche cosa per la giustizia’) e la data presunta del parto (‘promise di presentare nel gennaio, parliamo del ’95, delle proposte molto favorevoli per la giustizia’), che solo per l’imprevisto accidente della caduta del governo Berlusconi fu procrastinato”. Mangano è un mafioso esperto in droga e bestiame, non un fine giurista o politologo. Osserva ancora il Pg Gatto, nella sua memoria suppletiva alla Corte d’appello che sta giudicando Dell’Utri: “Ora, salva la dimostrazione che Vittorio Mangano fosse accreditato presso l’agenzia Ansa ovvero altra agenzia giornalistica ovvero che nel suo ‘stallone’ di contrada Altarello, oltre ad allevare mucche e vitelli, tenesse un computer e tramite login, password e simili diavolerie si tenesse passo passo informato dell’iter dei lavori della Commissione e fosse in condizione di comprendere, per esempio, che anche stavolta il piccolo inciso ‘Fermo quanto previsto dagli articoli...’ era la chiave che sbarrava l’ingresso al carcere preventivo agli accoliti di Cosa Nostra - il tutto per fare il capomandamento cavandosi il gusto di ‘far fessi’ Brusca, Bagarella, Cucuzza e, con tutto il rispetto, anche il Tribunale - salva la dimostrazione di tutto ciò, resta fermo che le notizie gliele fornì il suo amico Marcello Dell’Utri, così come gli fornì quelle sul ‘Salvaladri’” numero 1.

Già, Dell’Utri. Nemmeno lui era disinteressato all’argomento, anzi: già da qualche mese era indagato per mafia a Palermo (dopo le rivelazioni del pentito Cancemi). E inoltre, “oltre a un interesse, per così dire, politico per quella evoluzione legislativa, coltivava anche un pressante interesse personale perché, sottoposto a quel tempo a procedimento penale a Torino per false fatturazioni di Publitalia, se fosse entrata per tempo in vigore quella riforma, avrebbe evitato l’arresto, che invece si verificò nel maggio del ’95”.

 

Il cerchio si chiude

La conclusione che il Pg Nino Gatto trae da tutte queste premesse è logica: “Dal fatto che Mangano non mentì a Cucuzza deriva logicamente che Cucuzza non poté mentire al Tribunale. Se, invece, si vuol sostenere il mendacio del collaborante, che si sarebbe inventato di sana pianta tutte queste storie (che poi hanno casualmente trovato riscontro documentale), allora bisogna trovare una ragione del perché egli lo abbia fatto, visto che alle sue rivelazioni non può appiccicarsi nemmeno la foglia di fico della millanteria attribuita a Mangano. Se si vuole sostenere il mendacio di Cucuzza, i motivi già esposti per dimostrare la veridicità di Mangano a proposito del decreto Biondi, valgono anche per lui, così come quelli esposti a proposito della legge di riforma della custodia cautelare, con queste differenze relativamente a quest’ultima:

- che, mentre Mangano ne avrebbe seguito l’iter - per così dire - in diretta, Cucuzza, che parla a legge già approvata, lo avrebbe invece ripercorso all’indietro e sapendo cogliere – da giurista quale egli non è – le differenze tra il testo di legge vigente al dicembre ’94, quello alla stessa data approvato dal Comitato ristretto e quello effettivamente approvato e in vigore al momento in cui parlava;

- che, mentre Mangano era certamente in rapporti con Dell’Utri, dottore in Giurisprudenza, interlocutore competente e interessato che avrebbe potuto promettere, informarlo ed essere informato delle gestazioni legislative degli Organi parlamentari, Cucuzza – e la differenza non è da poco – non aveva a che santo votarsi e poteva fare solo l’autodidatta.

E a proposito della possibilità dell’imputato (Dell’Utri) di promettere ed essere informato, è da rilevare che, secondo quanto dichiarato all’udienza del 6/7/2007 dal neocollaborante Maurizio Di Gati, proprio il presidente della Commissione, Tiziana Maiolo, della stessa fede politica, era particolarmente gradita a Cosa Nostra. Infatti Giuseppe Cammarata, capomandamento di Riesi (che ‘nel ’94,è stato uno dei promotori lui … a fare votare anche lui nella sua provincia per il Centrodestra’ e che ‘dopo che Forza Italia vinse le elezioni disse: adesso incominceranno a cambiare tante cose e…sempre a livello di Giustizia’), ‘mandava avanti questa Tiziana Maiolo… gli sentii dire davanti a me … è una di quelle che…favorevole a noi in poche parole, per potere cambiare questa benedetta giustizia un po’ a favore alla Cosa Nostra siciliana’. ‘Mi ricordo che, dopo neanche sette mesi –un anno, il governo del ’94 cadde e non…e si potè fare più niente’. Evidentemente Di Gati, mafioso di provincia e all’epoca semplice ‘soldato’, non aveva le entrature di Mangano e non poteva sapere del ‘Salvaladri’, che almeno ci aveva provato a ‘cambiare questa benedetta giustizia’… Da qualunque angolo si riguardi la questione, non è possibile rinvenire uno straccio di plausibile ragione per cui l’uno o l’altro abbia mentito”.

E non basta ancora: il Pg elenca ”altri elementi di prova, che confermano la sua attendibilità e la fondatezza dell’accusa”. Quando, al processo Dell’Utri di primo grado, Cucuzza specifica che Mangano incontrò Dell’Utri a Como dopo il decreto Biondi, i pm Antonio Ingroia e Nico Gozzo gli domandano: “E prima del decreto Biondi vi furono altri incontri o no?”. Cucuzza risponde: “No, io non lo so, i rapporti c’erano, quando Mangano era fuori vicino a Salvatore Cancemi questi rapporti c’erano, lui i rapporti li ha tenuti dopo la sua scarcerazione, lui riuscii a tenere questi contatti, ad agganciare questi contatti, però che io ricordo il fatto specifico di quelle modifiche lui ne parlò prima o comunque immediatamente dopo che io uscissi, quando io non avevo ancora il mandamento in mano. I rapporti precedenti c’erano, per questo (i vertici di Cosa Nostra, ndr) tenevano Mangano (in vita, ndr), la perché era riuscito ad agganciare di nuovo questi rapporti (con Dell’Utri, ndr). Da quando sono cominciati io non lo so, ma so che c’erano per certo perché me ne ha parlato anche Bagarella, era uno dei motivi per cui si tenevano Mangano in quel mandamento (Porta Nuova, ndr)”. L’avvocato Enzo Trantino, difensore di Dell’Utri, incalza il pentito: “Questi incontri fra Mangano e Dell’Utri nel 1994, non abbiamo capito quanti sarebbero stati, secondo quanto le riferì Mangano”. E Cucuzza: “Ma io capii che erano più di uno, ma diciamo quelli più recenti. Poi lui era entrato in contatto con il dottor Dell’Utri anche prima.Io per quanto riguarda questa vicenda solamente ne parlai proprio perché ci fu un’occasione e lui mi disse che si era incontrato un paio di volte con Dell’Utri per questioni sempre..., ma non so se prima c’erano dei rapporti frequenti oppure no”.

Cucuzza insomma si attiene a quel che gli risulta personalmente. Ma che Dell’Utri e Mangano siano amici dagli anni 60 lo sanno tutti e l’hanno sempre dichiarato i due stessi interessati. Commenta il Pg: “Che vi fossero rapporti precedenti al decreto Biondi e che Mangano li avesse riallacciato dopo la sua scarcerazione risulta – a tacer d’altro – inoppugnabilmente dalle annotazioni sull’agenda dell’imputato, relative ai due incontri del 2 e del 30 novembre 1993 le cui ragioni non sono mai state esaurientemente spiegate, che si inseriscono in un coacervo di contatti e rapporti sui quali ci si intratterrà nella opportuna sede (ad esempio, gli ‘agganci’ di cui parla Cannella e il suo ‘peccato di pensiero’ legato alla figura di ‘Nangano’ che vien fuori al momento di inserire qualcuno tra i candidati di Forza Italia; il viaggio - narrato da La Marca - di Mangano a Milano nei primi mesi del ’94, prima delle elezioni, per parlare con ‘certi politici’ e la sua esultanza al rientro: ‘era felice, contento, saltava’), e che hanno la peculiarità, ben messa in evidenza dal primo giudice, di cadere in un torno di tempo delicatissimo per la vita del Paese quando, disintegratasi a seguito dell’inchiesta Mani Pulite la classe politica al potere, andavano prendendo corpo nuovi assetti politici. Con Cucuzza ‘il cerchio si chiude’ – scrive il Tribunale – e si chiude per davvero con questi ulteriori elementi di vera e propria prova, che rafforzano il costrutto accusatorio e pongono una pesante ipoteca sulla responsabilità dell’imputato. Cucuzza, infatti, con i due incontri del 1994 ci ha detto, senza saperlo, che le promesse erano state mantenute: col decreto ‘Salvaladri’ e col progetto di riforma della custodia cautelare, che nelle parti salienti riproduceva il decreto; e che gli incontri del novembre 1993 (e quello narrato da La Marca), quando era ormai conclamato che Mangano fosse un grosso mafioso e Dell’Utri – se è consentito un termine un po’ colorito – ‘incinto’ di Forza Italia, ne erano la preparazione”.

 

“Mangano? Un omonimo”

In attesa di sapere come la Corte d’appello interpreterà le novità portate dal Pg Gatto, già si può intuire come le hanno prese Dell’Utri & C. Nel novembre scorso, al raduno dei suoi circoli a Montecatini, è apparso al fianco di Silvio Berlusconi, che ha arringato a lungo la folla cingendogli il collo con il braccio e tessendo le lodi non soltanto della sua luminosa figura, ma addirittura di Vittorio Mangano, dipinto come un sant’uomo “mai condannato per mafia” (falso: fu condannato per mafia nel processo Spatola, per droga al maxiprocesso e per tre omicidi a due ergastoli in primo grado poco prima di morire nel 2000) che “faceva il chierichetto e serviva la messa nella cappella di Arcore”. Intanto, negli stessi giorni di novembre (dopo il deposito della “memoria” del Pg), la difesa Dell’Utri innescava una precipitosa retromarcia rispetto a quanto aveva dichiarato ai magistrati lo stesso Dell’Utri, e cioè che nel 1993 – come da agende sequestrate - “il Mangano veniva di tanto in tanto a trovarmi a Milano per parlarmi dei suoi problemi di salute” e di imprecisati “problemi personali” (aggiungendo in tv nel ’96 che “lo incontrerei ancora oggi, se fosse ancora libero”). Ora, all’improvviso, la difesa sostiene che il Mangano segnato nelle agende non era il mafioso Vittorio, ma un omonimo imprenditore, tale Roberto Mangano. Una ritirata tanto disperata quanto strategica, vista l’importanza che assumono i due incontri milanesi nei giorni della nascita di Forza Italia, tantopiù alla luce dei due dell’anno successivo a Como illustrati dal Pg Gatto. Già il Tribunale, nelle motivazioni della condanna a 9 anni, scriveva: “E’ destituita di fondamento in toto la tesi sostenuta dalla difesa Dell’Utri secondo la quale Mangano avrebbe soltanto millantato con Brusca e Bagarella di aver ricevuto promesse politiche da Dell’Utri. Invece l’imputato quelle promesse le ha effettivamente prestate nel corso degli incontri del 1993-94 con il reggente del mandamento di Porta Nuova, come risulta peraltro confermato anche dagli incontestabili elementi di prova desumibili dai successivi e consequenziali sviluppi di quelle promesse; quando, qualche anno dopo, Dell’Utri aveva assunto cariche istituzionali e aveva preso personalmente ulteriori ‘impegni’ politici con altro importante uomo d’onore”. Se i giudici d’appello ritenessero convincente la ricostruzione del Pg, potrebbero spingersi addirittura oltre il Tribunale: avrebbero cioè la prova non solo degli “impegni” presi e delle “promesse” fatte da Dell’Utri con Cosa Nostra. Ma che poi li mantenne pure.

(articolo tratto da Micromega 1/2008 ed Antimafiaduemila)

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Massimiliano   |2008-03-17 23:15:18
Mi fa male leggere gli atti di questo processo
mi fa male sentore le udienze in
diretta su radioradicale.
Gli avvocati difensori di Don Marcello che fanno
ostacolo. Il 15 marzo il presidente (a me non sembra un cuor di leone, ma forse
mi sbaglio) si limitava a dire che era il caso di arrivare ad una conclusione
per la certezza del diritto e l'avvocato Mormino ( che seconod alcuni è uno
bravo........... tecnicamente può darsi) subito risponde: ma questo non deve
impedire la "certezza del processo", della serie, ogni ostacolo messo da
noi, va bene e se poi qualcuno parla di certezza della pena davanti alle
telecamere ci diciamo d'accordo. Così per darla a bere agli italiani cretini
che credono a tutto. Davanti alle telecamere si parla della certezza della pena,
se invece ci serve perdere tempo allora la certezza la mandiamo a farsi
benedire, e gli italiani fessi a crederci.

Mi fa male sentire a come certe
"strane" circostanze ed emergenze assolutamente aleatorie, rischino di
smuovere un assetto granitico.
Ed allora , dirà qualcuno se è granitico cosa
temi?
Ilusi. Il giudice che vuole assolvere non aspetta altro che l'appiglio
per svalutare ogni prova. Il giudice Agnello con Contrada insegna, Carnevale
con Madonia e Puccio insegna, il giudicie di Messina con Gerlando Alberti nel
1990 (caso Camapagna) insegna.
Il giudice che vuol compiacere i potente
troverà ogni modo per negare l'evidenza, ed avvocati e media compiacenti
faranno il resto.
Anche una prescrizione andrà bene, certi loschi figuri che
si dicono garantisti griderano vittoria, e diranno che "contro di Luinon
c'era niente", che è stata una montatura (magari di Travaglio, oltre che
di Caselli).
che razza di putridume ci tocca vedere.
salvatore  - Non prevalebunt   |2008-03-17 23:39:08
Hai ragione Massimiliano, certi comportamenti, certi Giudici che,nella migliore
delle ipotesi, pensano solo alla loro pensione o allo loro carriera rischiano di
far perdere la fiducia nella Giustizia, ma è sbagliato. Non dobbiamo perdere la
fiducia nella Giustizia ma solo in certi Giudici. Per ora non possiamo fare
altro che attendere per vedere a quale categoria appartengono questi. Alla
stessa maniera non bisogna perdere la fiducia nelle Istituzioni ma solo in
quegli uomini che le occupano indegnamente. Ricordo bene il Giudice Agnello e
allora gli scrissi quello che meritava in una lettera aperta, lettera aperta che
in tanti dopo, e amici non nemici, cercarono dopo di farmi smentire dicendo che
se questo giudice indegno mi avesse querelato avrebbe potuto rovinarmi. Non la
ritirai e purtroppo non ricevetti nessuna querela, così come non ricevo querele
da Mancino, nonostante non tralasci occasione di accusarlo di menzogna, o di
Mastella quando indegnamente ricopriva la carica di ministro.
Non
scoraggiamoci, facciamo crescere la nostra rabbia e la nostra voglia di
combattere fino all'ultimo. Alla fine la GIUSTIZIA riuscirà a prevalere su
tutto.

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