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Appaltopoli - Nella tana del Toro PDF Stampa E-mail
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Scritto da Edoardo Montolli   
Venerdì 19 Marzo 2010 18:08
Un imprenditore fiorentino, Valerio Carducci, teme di essere associato ad un'inchiesta che tocca la guardia di Finanza. E si rivolge a un magistrato...

C’è un «sistema gelatinoso» che, secondo il gip di Firenze ROSARIO LUPO, ha impregnato la macchina della Protezione Civile. Lo incarna un gruppo imprenditoriale finora sconosciuto. Un gruppo che si nutre di appalti di Stato, che è immune ai cambiamenti politici, e che allunga una larga rete di conoscenze a generali della finanza e a magistrati. E che magistrati: l’ormai ex procuratore aggiunto di Roma  ACHILLE TORO, indagato per fuga di notizie, favoreggiamento e corruzione, ma già leader della più numerosa corrente delle toghe, Unicost; l’uomo che aveva aperto nella capitale i fascicoli paralleli a Parma e Milano sui più grandi scandali degli ultimi anni, da Cirio alle scalate bancarie. Un contatto nevralgico nella procura che un tempo i maligni chiamavano «il porto delle nebbie».




«A DISPOSIZIONE»

Ma chi sono questi imprenditori dalle amicizie ramificate in ogni stanza del potere? Per capirlo bisogna seguire un filo che da Firenze scende a Catanzaro, a poco prima che la famigerata inchiesta Why Not venisse avocata a LUIGI DE MAGISTRIS e ne fosse allontanato il consulente GIOACCHINO GENCHI, fino ad allora considerato il massimo esperto informatico delle Procure. A guidarci è una frase che ricorre spesso nell’ordinanza di Firenze: «A disposizione». E che risuona nella prima conversazione tra il funzionario chiave dell’inchiesta, ANGELO BALDUCCI, e l’imprenditore VALERIO CARDUCCI. «Domani come sei?», chiedeva Balducci. «A tua disposizione». Già. Ed è a questo punto che occorre portare indietro il calendario di tre anni.


SALADINO, PERCHE' NO?

De Magistris nella primavera 2007 cercò di verificare il racconto di una testimone, CATERINA MERANTE, che aveva parlato della rete di strani rapporti che un leader della Compagnia delle Opere, ANTONIO SALADINO, avrebbe creato intorno a sé, allungandosi fino a un misterioso comitato d’affari di San Marino. Chiese a Genchi di acquisire i tabulati dell’uomo. E gli affidò pure l’ascolto di centinaia di intercettazioni che i carabinieri di Lamezia Terme avevano registrato un anno prima, quando Saladino aveva denunciato di essere stato minacciato: gli avevano messo sotto controllo il cellulare, ma delle minacce nessuna traccia. In compenso erano emersi particolari importantissimi proprio su di lui: dentro alle intercettazioni c’era un mondo. Magistrati che andavano a pranzo con i loro indagati, avvocati stretti conoscenti dei giudici dei loro processi, rilevanti frequentazioni con GENERALI DELLA FINANZA e un viavai di rapporti che, incrociati coi tabulati, portava a Roma. Politici. Servizi segreti. E imprenditori. Proprio  come l’indagato odierno di Firenze Valerio Carducci. Ma in autunno, mentre Genchi stava stilando la relazione su Carducci, l’incarico gli fu revocato. «Si parlava di appalti di Stato della Guardia di Finanza — sostiene oggi Genchi —: penso che sia stato per questo che l’indagine saltò». Tra le vecchie intercettazioni di Saladino con Carducci, ce n’era infatti una che il consulente considerava di rilievo. Perché oggi Carducci è sotto inchiesta per l’appalto dell’albergo alla MADDALENA, ma lui è un costruttore poliedrico: caserme, questure e, dice Genchi, strutture coperte da segreto di Stato. Uno che vanta rapporti di lavoro ventennali con le Fiamme gialle.


Nicola Di Girolamo. Ex senatore del Pdl accusato di essere stato eletto con voti della 'ndrangheta Giancarlo Capaldo. È il magistrato che indaga su riciclaggio e frode fiscale nella telefonia. Guido Bertolaso. Capo della Protezione  Civile.



"PARLERO' CON RINO"

Nei primi mesi del 2006 Carducci chiese a Saladino come fare per «mettersi a disposizione» di «MASTELLONE» in previsione della vittoria elettorale del centrosinistra. Perché la frase è sempre quella: «A disposizione», del politico di turno. Ma forse, rispose l’altro, era meglio mettersi a disposizione di «RUTELLONE», perché tanto Saladino conosceva bene entrambi. Con Rutelli, avrebbe raccontato poi Genchi ai magistrati salernitani, Saladino contava infatti numerosissime telefonate e in quattro agende diverse aveva segnato numeri di cellulari, di casa e ben nove riferimenti diretti di vari segretari e capi di gabinetto. «Ma l’aspetto più importante di quell’intercettazione — spiega Genchi — stava nel fatto che Carducci si disse preoccupatissimo per la “stupidaggine” che aveva fatto “un ragazzino” amico di Saladino. Sostenne perciò che ne avrebbe parlato con tale  “RINO”. E io cercai di capire a cosa si riferisse». Incrociò le intercettazioni coi tabulati di Carducci, che era stato indagato (e che poi sarà archiviato) e di cui Genchi aveva analizzato le memorie del telefono, trovando già allora i riferimenti di FABIO DE SANTIS, il dirigente della Ferratella arrestato nell’inchiesta sulla Protezione Civile. E cerca, cerca, Genchi identificò «Rino» nel sostituto procuratore di Roma SETTEMBRINO NEBBIOSO, capo di gabinetto alla Giustizia di questo e di due precedenti governi Berlusconi. Uno che con Carducci vantava centinaia di chiamate. Ora anche il Ros ha potuto verificare la loro amicizia nell’inchiesta sulla Protezione Civile. Una telefonata poco dopo la mezzanotte del 28 maggio 2008: Nebbioso aveva chiamato De Santis che,  tramite Carducci, aveva chiesto informazioni al magistrato in merito a un TRASFERIMENTO D'UFFICIO. «Le farò sapere», aveva concluso Nebbioso prima di ripassargli al telefono l’imprenditore. Che ovviamente al rapporto con De Santis teneva, tanto che il successivo 26 giugno gli aveva assicurato di aver «ricordato la cosa a Rino», e che lo avrebbe visto a cena.





Antonio Saladino. È il principale imputato dell’inchiesta Why Not, condannato a due anni di carcere (con pena sospesa) per abuso d’ufficio. Settembrino Nebbioso. Magistrato, capo di gabinetto del Ministero della Giustizia.





QUELLA STUPIDAGGINE

Da una parte le frequentazioni con i funzionari che si occupano di appalti di Stato, dall’altra quelle con un magistrato. È il background di Carducci fin dai tempi di Why Not, dove appunto, oggetto della relazione, era invece la «stupidaggine». E che cos’era allora, quella «stupidaggine»? Genchi, per uno scherzo del  destino, in Why Not aveva incrociato le indagini sulle stragi del 1992, a cui Genchi aveva lavorato come vice del gruppo Falcone-Borsellino prima di abbandonare in rotta con chi dirigeva l’inchiesta. Racconta il consulente: «Un importante DIRIGENTE della compagnia delle Opere era stato intercettato all’aeroporto di Palermo mentre parlava con Vincenzo Paradiso, amministratore delegato di Sviluppo Italia Sicilia. Di Paradiso mi ero occupato per una chiamata arrivata sul suo numero da uno degli stragisti di via D’Amelio. Indagato e archiviato a CALTANISSETTA, era ancora seguito dalla procura nissena per le indagini sui mandanti occulti. All’aeroporto il discorso intercettato tra lui e il dirigente amico di Saladino riguardava probabilmente gli appalti della Guardia di Finanza. I magistrati di Caltanissetta avevano chiesto spiegazioni al “ragazzino”. E quello aveva fatto la “stupidaggine”, e cioè il nome di Carducci».
C’era così un’indagine presumibilmente sugli appalti della finanza. Carducci si diceva certo che i magistrati prima o poi lo avrebbero convocato per la «stupidaggine». E voleva parlarne con Rino. Poi, a Roma, il «ragazzino» lo aveva incontrato. Ma non solo. «Il giorno dell’incontro — continua Genchi — ci fu una successione di contatti telefonici in cui risultavano le chiamate e gli avvicinamenti di cella fra i cellulari di Carducci, Settembrino Nebbioso e del generale delle fiamme gialle MICHELE ADINOLFI. Il che mi fece supporre che tra loro si fossero visti». Di certo, venti giorni dopo la preoccupatissima chiamata a Saladino, il 16 marzo 2006, Carducci gliene aveva fatta un’altra: «Senti, no ti volevo… per quanto riguarda quella stupidaggine di quel ragazzino… tutto bene eh?!». Chi gli avesse spiegato che tutto era andato a posto resterà un mistero, perché a Genchi giunse la revoca dell’incarico. «Mi risulta però — racconta oggi — che il pm di Caltanissetta inviò l’indagine a Roma per competenza e che la Dia nissena stia attendendo da anni l’acquisizione dei tabulati e il via libera alle altre indagini che aveva sollecitato per ciò che era emerso nel discorso tra Paradiso e il dirigente della Compagnia delle Opere e nei successivi interrogatori». La storia dell’incrocio di intercettazioni tra Catanzaro e Caltanissetta è stata così raccontata nelle memorie difensive di Genchi depositate alla  PROCURA DI ROMA. Perché questa vicenda ha un finale sorprendente.


Luigi de Magistris. Ex sostituto procuratore di Catanzaro, nel 2007 dà vita all’indagine Why Not. Nel 2009 viene eletto al Parlamento europeo con l’Italia dei Valori. Gioacchino Genchi. Consulente informatico dell’inchiesta Why Not.




ARRIVA IL COPASIR

De Magistris, allontanato da Catanzaro, aveva raccontato ai magistrati di Salerno che il centro delle sue investigazioni si era spostato sul mondo di FINMECCANICA, del quale aveva già indagato uno del cda nell’inchiesta Poseidon. E nel frattempo il lavoro di Genchi, dichiarato «inutilizzabile» dai nuovi titolari dell’inchiesta, era finito ai pm campani: un nutrito intreccio di chiamate tra politici, imprenditori e magistrati. Finì con la nota guerra tra Procure e il defenestrazione di tre pm di Salerno. Berlusconi disse che Genchi aveva intercettato 350mila persone. E il consulente fu così convocato dal COPASIR presieduto dallo stesso Rutelli. Da lì venne indagato a Roma per aver acquisito utenze di parlamentari. Filotto. Continua Genchi: «Per quanto l’amico di Carducci, Settembrino Nebbioso, non fosse inquisito in Why Not, essendo lui un pm di Roma, ritenni che quella Procura non potesse occuparsi di me. Perciò ho depositato la vicenda nelle memorie. È certo che non potesse indagarmi chi mi sequestrò l’archivio. E cioè Achille Toro che, all’epoca in cui Why Not indagò Prodi e Mastella, era capo di gabinetto al ministero dei Trasporti e suo figlio Stefano era tra i consulenti del ministro Mastella». Nell’archivio di Genchi sulle inchieste calabresi, da quanto emerge nelle memorie difensive, il nome di Toro ricorreva più volte: c’erano le sue conversazioni con il magistrato VINCENZO BARBIERI in un’informativa stilata dalla squadra mobile di Potenza a carico di quest’ultimo. E c’erano i suoi numerosi contatti del 2005 con GIANCARLO ELIA VALORI, di cui erano stati acquisiti i tabulati. Riguardavano il periodo delle scalate bancarie, quando Toro aveva aperto il procedimento parallelo a quello di Milano. Negli stessi giorni in cui Toro si sentiva con Elia Valori quest’ultimo era in contatto con diversi dei protagonisti delle stesse scalate, da Caltagirone a Gavio a Ricucci, fino a politici come Nicola Latorre. E a generali della finanza, quella finanza che coordinava proprio le indagini sulle scalate. «Mi apprestavo a relazionare — ricorda Genchi — ma mi sequestrarono i dati». Non solo quelli: Toro sequestrò tutto. Compresi i dati che riguardavano lui. E i dati dell’indagine che Genchi stava svolgendo per conto della Procura di Roma: «Quella del procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo che vede al centro Fastweb, Telecom Sparkle e NICOLA DI GIROLAMO ». Oltre alla Digint, 49 per cento di Finmeccanica e 51 di una società dietro alla quale starebbe, per gli inquirenti, GENNARO MOKBEL. Toro gli ha sequestrato tutto. Compresi i dati dell’ingegnere Mario Fecarotta. Altro uomo che appare nelle intercettazioni dell’inchiesta sulla Protezione Civile mentre dice ad ANTONIO DI NARDO — il funzionario del ministero considerato dal Ros in rapporti coi Casalesi — di essere entrato a Palazzo Chigi. Fecarotta fu arrestato nel 2002 insieme al figlio di Totò Riina. Analizzandone il pc, Genchi aveva trovato una sua lettera in cui scriveva dei disagi dei detenuti dell’Ucciardone. Recitava così: «Caro Francesco, apprezzandoti come amico, come cugino e come sindaco di Roma, ti invio queste fotocopie per farti capire quello che ho subito e chi è tuo cugino Mario che ti vuole sempre bene e ti abbraccia con grandissimo affetto insieme a Barbara, la famiglia e tutti». Destinatario era Francesco Rutelli. Che tenne a precisare: «Cugino di mio cognato».



Edoardo Montolli (articolo tratto dall'inserto mensile "IL" del quotidiano ILSOLE24ORE, 19 marzo 2010)



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