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Strage DI STATO depistaggio politico PDF Stampa E-mail
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Scritto da Rosario Sardella   
Mercoledì 09 Febbraio 2011 14:27
“19 Luglio 1992 – Una strage di Stato” è il titolo del film-documentario realizzato da Salvatore Borsellino e Marco Canestrari. Un film promemoria che prende spunto dalla lettera aperta che il fratello del magistrato ucciso dalla mafia scrisse nel luglio del 2007. Da quel momento in poi è partita un intensa attività antimafia alla ricerca della verità di quella che probabilmente è l’indagine giudiziaria che scuote le fondamenta della cosiddetta “Seconda Repubblica”.


Sono le 18:00, l’aula Magna del Politecnico di Torino è stracolma. Sono quattro le aule collegate in video-conferenza per seguire il dibattito che avrà inizio subito dopo la proiezione del film. Gli ospiti invitati, oltre a Salvatore Borsellino, sono i magistrati Antonino Di Matteo e Giancarlo Caselli e i giornalisti Peter Gomez e Marco Travaglio del Fatto Quotidiano. Il tema del dibattito è la speranza, la volontà di lottare grazie alla rinascita della coscienza civile che purtroppo in Italia si è di nuovo assopita sotto il peso dell’indifferenza. «Quella che sembrava essere la volontà di riscatto dello Stato nella lotta alla mafia si è di nuovo spenta – dice Salvatore Borsellino. E’ sepolta da quella volontà di compromesso, di normalizzazione e di un altro tipo di lotta contro i giudici, non più con il tritolo ma con armi più subdole come la delegittimazione della stessa funzione del magistrato» – aggiunge ancora Borsellino.

Il film narra di un viaggio, il ritorno di Salvatore Borsellino a Palermo. «Ero andato via nel 1969 dalla Sicilia, avevo 27 anni. Tornai nel 1992. Ma dopo la morte di mia madre, nel ’97, rimasi a lungo lontano da Palermo» – racconta alla platea. In questo viaggio ad accompagnare Salvatore Borsellino c’è il movimento delle Agente Rosse e i ragazzi che hanno redatto un sito internet www.19 luglio1992.it ormai diventato un punto di riferimento per il popolo dell’antimafia. Sono movimenti che si pongono domande: dov’è finita l’agenda rossa? Cosa aveva capito Paolo Borsellino della trattativa? Sono domande che diventano movimenti che non smetteranno mai di chiedere verità e giustizia.

E’ un viaggio, ma anche un occasione per incontrare protagonisti e testimoni di quegli anni terribili. Ci sono i “giudici ragazzini” che hanno lavorato insieme a Borsellino; uno di questi è Antonio Ingroia. Ci sono il vicequestore Gioacchino Genchi e il giornalista-biografo di Borsellino, Umberto Lucentini. C’è anche il magistrato Antonino Di Matteo, uno dei titolari dell’inchiesta su via D’Amelio; un magistrato che con serietà persegue la ricerca della verità. «Dobbiamo sostenere i magistrati, soprattutto in un momento in cui la delegittimazione dei giudici è portata avanti dai vertici stessi dello Stato – afferma Di Matteo – Bisogna riaffermare il primato dell’autonomia e dell’indipendenza dei magistrati rispetto alla politica». Parole che tuonano e che sono fortemente di attualità visto i continui attacchi alla magistratura da parte del Presidente del Consiglio. «Lo stesso che cerca di imbavagliare l’informazione, di distorcerla a suo piacimento; che ha reso l’Italia, o gran parte di essa, oscurantista, dotata sostanzialmente di una sub-cultura e sottocultura che il suo impero televisivo ogni giorno diffonde – dicono i due giornalisti del Fatto Quotidiano.

Nel film viene ripercorsa la storia giudiziaria di Paolo Borsellino. La storia del Pool Antimafia, di amici e colleghi di lavoro come Giovanni Falcone. Ma anche la storia di chi ha gettato ombre sui due magistrati simbolo della lotta alla mafia, coloro che hanno cercato di ostacolare il lavoro del Pool; chi come l’allora Procuratore Pietro Giammanco non ha disposto la bonifica e la zona di rimozione di via D’Amelio o chi come il Senatore Mancino in un suo intervento alla Camera ha detto: “Borsellino non era frequentatore abituale della casa della madre”. Ancora, chi per diciassette lunghi anni ha perso la memoria e oggi come per magia sembra ricordare “particolari” importanti. Oggi a parlare più di chiunque altro ( quest’altro è lo Stato) è un figlio di un mafioso, Massimo Ciancimino. Ci racconta di funzionari dello Stato in contatto con i boss di Cosa Nostra; racconta del “papello”, delle richieste della mafia allo Stato. E’ chiaro che Borsellino si sarebbe opposto ad una simile trattativa, anzi ragionevolmente c’è da pensare che avrebbe indagato su coloro che stavano portando avanti il dialogo con la mafia. E’ questa la causa principale della necessità di eliminare Paolo Borsellino, e di eliminarlo in fretta.

Dopo la strage, ma soprattutto dopo il terremoto politico di Tangentopoli, cessano le bombe, si ferma l’attacco frontale allo Stato. Forse (ma è più di un forse) perché si sono individuati nuovi referenti politici, quindi nuovi accordi. «La nascita di un nuovo partito popolare, nel 1994, – dice Giancarlo Caselli – fa presto aumentare il consenso verso chi ha probabilmente adoperato con capitali di provenienza mafiosa per creare il proprio impero industriale, oggi simbolo del degrado civile». La migliore risposta a questo degrado è la ricerca della verità, affinché via D’Amelio non diventi solo ricordo e luogo di Commemorazione.

Intervista a Salvatore Borsellino

Sig. Borsellino, sembra che il problema dell’illegalità e del sospetto sfiori i vertici stessi delle istituzioni siciliane. Mi riferisco all’ultima inchiesta giudiziaria che vede indagato il Governatore della Sicilia Raffaele Lombardo, reo secondo i magistrati di aver avuto frequentazioni con boss mafiosi. Alla luce di tutto ciò, pensa che la Sicilia sia cambiata dal ’92 ad oggi?

Io penso che le cose sono sicuramente cambiate. Dopo il ’92 credo ci sia stato, soprattutto grazie ai giovani, una reazione che ha portato alla nascita di movimenti giovanili che combattono la mentalità mafiosa. Tutto ciò era impensabile prima del ’92, quindi sicuramente le cose sono cambiate. Purtroppo per altri versi, invece, le cose continuano ad andare come prima. Lo dimostrano la condanna che ha già subito Cuffaro per concorso esterno in associazione mafiosa e le attuali indagini che coinvolgono un altro Presidente della Regione, Lombardo. Ritengo che a livello di giovani le cose siano cambiate, c’è tanto vento fresco e profumo di libertà. Penso, purtroppo, che le cose che riguardano l’estabhilischment e le generazioni più vecchie non siano tanto migliorate. In Sicilia c’è ancora tanta connivenza e in larga parte c’è accettazione di quello che è sempre stato e che purtroppo tanti non vogliono fare cambiare. Comunque penso che ci siano motivi, in Sicilia, proprio grazie a questi giovani per sperare anche che nella nostra disgraziata terra le cose possano davvero cambiare.

Lei ha parlato di accettazione di una parte della società civile dello status quo. Non le pare che ci sia anche accettazione da parte di chi ora riveste incarichi di potere. Il magistrato Massimo Russo, assessore regionale alla sanità, e Caterina Chinnici, figlia del giudice Rocco Chinnici, farebbero bene a prendere le distanze da Lombardo e da questo governo regionale?

Questo è un discorso abbastanza lungo, duro e difficile da fare. Bisognerebbe conoscere bene la realtà siciliana quotidiana ed io vivo lontano dalla Sicilia per poter giudicare questo aspetto delle cose. Sono costretto a lasciarla in sospeso. Ma non bisogna dimenticare che anche Lucia Borsellino, la figlia di Paolo, ha accettato di lavorare nello staff di Russo. Se lo ha fatto Lucia, che porta dentro i valori di Paolo e né è il suo testamento morale, vuol dire che si sta tentando dall’interno di cambiare il sistema. Vede, non si può sempre criticare il sistema dall’esterno, dire la politica è quella che è. Bisogna anche entrarci dentro la politica per cercare di cambiarla, non bisogna limitarsi a dire tutto è sbagliato. Questo non basta, le persone si devono impegnare per poterlo fare. Credo e spero, anzi voglio credere che Massimo Russo sia entrato in quella giunta per condizionarla dall’interno.

Rosario Sardella

da SudPress.it

 

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