Le stragi del 1993 e l'entità esterna. "Non rassegnamoci all'oblio" Stampa
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Scritto da Tiziana Testa   
Martedì 08 Giugno 2010 17:29
La politica tace, sui sospetti che riguardano le stragi del '93. Carlo Azeglio Ciampi - raccontando a Repubblica il suo timore di un golpe 1 nella notte degli attentati di Milano e Roma - aveva chiesto una commissione parlamentare di inchiesta sui misteri di quelle ore. Walter Veltroni gli aveva dato ragione. Ma il centrodestra ha alzato un muro su quella richiesta. Un muro fatto soprattutto di silenzio. Oggi Repubblica Tv è tornata su quei sospetti, partendo dalle parole del procuratore nazionale antimafia Piero Grasso, 2 pronunciate durante la commemorazione della strage di Firenze in via dei Georgofili: "Le stragi mafiose del '93 erano tese a causare disordine, per dare la possibilità a un'entità esterna di proporsi come una soluzione", disse quel giorno Grasso.
Ma cosa sappiamo oggi di nuovo, in particolare su quell'entità esterna? Attilio Bolzoni, che per Repubblica segue le vicende di mafia, ha ricostruito le novità delle inchieste sulle bombe del '92 e del '93. "Da più di un anno ci sono nuove inchieste di tre procure: Palermo, Caltanissetta e Firenze", ha spiegato. "Da queste inchieste capiamo che la storia di quelle bombe  -  dal fallito attentato all'Addaura contro Falcone nel 1989, fino a quelle in continente del '93 - deve essere completamente riscritta. Non fu solo mafia. C'è il sospetto che pezzi dello Stato e dei servizi abbiano agito accanto a Cosa nostra. A partire dalle stragi Falcone e Borsellino. Due attentati di quella portata, così clamorosi, potevano significare solo una cosa: la fine della generazione mafiosa dei Corleonesi. I Corleonesi sono stati utilizzati e ora sono sepolti per sempre dal 41 bis". Ma perché pezzi di verità vengono a galla così tardi? "In questi anni", dice Bolzoni, "abbiamo assistito a veri e propri depistaggi. Sono stati istruiti processi in direzioni sbagliate. Protagonisti di quella stagione di indagini erano probabilmente personaggi, legati ai servizi, molto vicini a Cosa nostra. E ci hanno portato fuori strada". "Basti pensare", conclude Bolzoni, "che tutta la documentazione delle stragi di Falcone e Borsellino è stata abbandonata per oltre 15 anni in un deposito dello Stato vicino a Bagheria ed è stata ritrovata consumata, in parte perduta, coperta da escrementi di topi. E le indagini, fino a poco tempo fa, erano affidate a un unico funzionario della Dia".

Ospite della trasmissione anche Luigi De Magistris, europarlamentare dell'Italia dei valori, che è tornato sul tema dell'entità esterna evocata da Piero Grasso. "Nel '91", dice De Magistris, "c'era già stato l'omicidio del giudice Scopelliti, che doveva rappresentare l'accusa al maxiprocesso di Palermo ed evidentemente si era rifiutato di essere 'avvicinato'; intanto Falcone  -  al ministero della Giustizia  -  aveva deciso di far ruotare i processi in Cassazione, non più esclusiva dunque di Carnevale; nel gennaio '92, infine, al maxiprocesso di Palermo  arrivano le condanne definitive ai mafiosi". Insomma, secondo De Magistris, in quei mesi cambia del tutto il rapporto tra mafia e politica. "In quel momento", dice l'europarlamentare, "saltano i garanti politici, sfuma l'elezione di Andreotti alla presidenza della Repubblica e Cosa Nostra decide di penetrare direttamente nelle istituzioni. Probabilmente Borsellino aveva compreso, dopo la morte di Falcone, che una parte dello Stato stava trattando". "Non è pensabile", conclude De Magistris, "che a negoziare fossero solo alcuni ufficiali dell'arma dei carabinieri. A mio avviso,  leggendo soprattutto le carte del processo Dell'Utri, la nascita di Forza Italia segna lo sbocco finale della trattativa. Ma credo che le implicazioni siano molto più ampie. Vorrei sapere per esempio, da Nicola Mancino,  allora ministro dell'Interno, se è vero o no che ha incontrato Borsellino poco prima che fosse ucciso".   

Barbara Spinelli, con i suoi editoriali sulla Stampa, ha chiesto più volte la piena verità sugli attentati di quegli anni. E su Repubblica Tv torna a lanciare il suo appello: "Le frasi di Piero Grasso, durante la commemorazione in via dei Georgofili hanno provocato un certo scalpore, per quanto breve. Il procuratore, però, aveva usato parole ancora più dure nell'agosto del '98, quando chiese l'archiviazione per Berlusconi e Dell'Utri nell'inchiesta sulle stragi di Firenze, Roma e Milano. Allora parlò di elementi univoci sul rapporto tra Cosa Nostra e il soggetto politico-imprenditoriale rappresentato prima da Fininvest e poi da Forza Italia. Nel '98 scriveva testualmente che il rapporto tra la mafia e gli indagati Berlusconi e Dell'Utri non aveva mai smesso di dimensionarsi sulle esigenze di Cosa Nostra, vale a dire sulle esigenze di un'organizzazione criminale". Il giudizio di Spinelli è netto: "La classe politica avrebbe dovuto reagire fin da allora alle affermazioni di Grasso. Dopo frasi del genere, avrebbe dovuto espellere immediatamente il corpo malato. Perché per una condanna politica non serve la condanna dei giudici. Invece sono passati dodici anni e quella reazione non c'è stata". Sull'Italia Spinelli dice: "Da noi manca l'attivazione dell'anticorpo politico, civile, dell'informazione. Il vero giustizialista è chi non esige questo filtro politico e civile e dà ai magistrati il monopolio totale sul giudizio. La storia della politica italiana è la storia di una memoria regolarmente insabbiata, frantumata. Per quanto riguarda la stagione delle stragi di mafia è una memoria completamente assente". Ma quella di Spinelli non è una resa: "Rassegnarci all'oblio assolutamente no", dice. "Ci sono gli elementi che vengono dalle inchieste. C'è il lavoro dei magistrati, ma anche quello dei politici, dei giornalisti. La battaglia, insomma, continua".


Tiziana Testa da Repubblica.it (8 giugno 2010)


 

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