Via D'Amelio, il Csm apre un fascicolo sui magistrati del depistaggio Scarantino Stampa
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Scritto da Salvo Palazzolo   
Martedì 26 Settembre 2017 21:03
di Salvo Palazzolo - 26 settembre 2017

A luglio, nell’anniversario della strage di via d’Amelio, l’audizione alla commissione antimafia. L’urlo di dolore di Fiammetta Borsellino: «Troppe nefandezze compiute nelle indagini e nei processi sulla strage del 19 luglio». Due giorni fa, Fiammetta, Lucia e Manfredi Borsellino hanno scritto al consiglio superiore della magistratura, chiedendo che sviluppi abbia avuto la nota del consigliere Aldo Morgigni, che a luglio sollecitava un’iniziativa della prima commissione del consiglio superiore, quella che si occupa delle incompatibilità dei magistrati a seguito di comportamenti particolari. Il consiglio di presidenza di Palazzo dei Marescialli fa sapere che è stata già aperta una pratica sul caso di Vincenzo Scarantino, riguardante i magistrati che seguirono la sua collaborazione con la giustizia. Per entrare nel merito delle valutazioni, al Csm attendono le motivazioni della sentenza dell’ultimo processo Borsellino, che ha ripercorso tutte le anomalie nelle prime indagini, basate sul falso pentito.
 
«Troppe anomalie», ha ribadito questa mattina Fiammetta Borsellino, intervistata da Radio Uno, nella trasmissione “La radio ne parla”. «Il nostro obiettivo è cercare la verità su quanto accaduto, fare luce sull’operato dei magistrati all’epoca in servizio alla procura di Caltanissetta, Giovanni Tinebra, Carmelo Petralia, Anna Maria Palma, Nino Di Matteo, quest’ultimo arrivato nel novembre 1994. Bisogna fare luce anche sull’operato dei poliziotti del Gruppo d’indagine sulle stragi Falcone e Borsellino, tutti hanno fatto una brillante carriera».
 
La figlia del giudice Paolo tiene a precisare: «Una parte del mondo giornalistico ha voluto semplificare il senso delle mie denunce riducendo tutto a un alterco fra me e il dottore Di Matteo. Una semplificazione che fa comodo a qualcuno che si nasconde nell'ombra. Una semplificazione che distoglie l’attenzione sul nostro urlo di dolore, ben più alto. Vogliamo addivenire a una verità che non sia qualsiasi, vogliamo trovare le ragioni della disonestà di chi questa verità doveva trovarla».


Salvo Palazzolo (La Repubblica)






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