Il sopravvissuto, di Pippo Giordano: recensione Stampa
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Scritto da Claudia Bertanza   
Giovedì 14 Febbraio 2013 20:53
di Claudia Bertanza - 14 febbraio 2013

Qualche mese fa intervistai Pippo Giordano (ecco l’intervista), ex poliziotto, per anni in prima linea nella guerra a Cosa Nostra. Oggi parlo nuovamente di lui e del suo libro “Il sopravvissuto”, scritto con la collaborazione di Andrea Cottone, uscito nel luglio 2012, edito da Castelvecchi editore.
“Il sopravvissuto” è un pugno nello stomaco, anzi una serie di pugni nello stomaco: Falcone, Borsellino, Cassarà, Lillo Zucchetto, Montana e tanti, tantissimi altri sfilano davanti ai nostri occhi, lasciando dietro di loro una scia di sangue. Quel sangue che per troppi anni ha sporcato le strade di Palermo e della Sicilia. Corpi crivellati, fatti a pezzi, famiglie precipitate nel dolore. Questa è la mafia, questa è Cosa Nostra: terrore, distruzione e morte, regole ben precise, nessun rispetto nemmeno per la vita di donne e bambini.
In questa atmosfera che sembra irreale, in questa girandola impazzita di spari, esplosioni e cieca violenza, si muove Pippo Giordano assieme ai suoi colleghi. Con lui viviamo gli appostamenti, i depistaggi, le catture sfumate all’ultimo minuto, la mafia s’infila nelle istituzioni, lo Stato e l’anti-Stato diventano una cosa sola.
“Muto dovevo stare” così ripete Pippo in diversi punti del libro: così gli avevano insegnato e così riesce a contribuire alla cattura di molti latitanti: muto, confondendosi tra gli altri, a tu per tu con i mafiosi. Una storia che sembra un romanzo, ma che è purtroppo vita vera. Vita privata e professionale coincidono, s’intrecciano: da una parte il pensiero della famiglia, la paura di essere ucciso, dall’altra l’amore per il suo lavoro, il credere in una Sicilia migliore, il desiderio di avere giustizia per i colleghi e gli amici uccisi, di catturare i loro assassini.

Sullo sfondo della vicenda, una Sicilia lacerata e sofferente,a volte omertosa, spesso spaventata. E la sensazione di solitudine contro un nemico terribile. E infine il senso di colpa, la colpa di essere vivo.
La colpa di essere il sopravvissuto di una lunga stagione di mafia.
L’unico sopravvissuto.

Claudia Bertanza (laspeziaoggi.it, 13 febbraio 2013)

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