Barcellona Pozzo di Gotto, il buco nero del crimine mafioso in Italia Stampa
Documenti - I mandanti occulti
Scritto da Fabio Repici e Marco Bertelli   
Sabato 28 Febbraio 2009 17:23
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La regione della Sicilia nord-orientale
 

undici febbraio 2009 si é svolta a Barcellona Pozzo di Gotto (Me) la cerimonia di commemorazione della morte di Attilio Manca, giovane urologo morto in circostanze ancora poco chiare l´undici febbraio 2004 nella sua casa di Viterbo.  Invitiamo gli utenti del sito www.19luglio1992.com ad ascoltare con attenzione gli interventi di tutti gli oratori  presenti alla commemorazione presso questo link, dal primo all´ultimo, perché meritano davvero soprattutto in questo momento di informazione negata.

Dalle parole di Angelina Manca a quelle di Sonia Alfano passando per le denunce di Biagio Parmaliana emerge una richiesta fortissima di veritá e giustizia, due parole che sono state cancellate dal vocabolario della provincia di Messina.  Allo stesso tempo risulta evidente come si stia esportando con successo un metodo sperimentato nella realtá barcellonese in altre regioni e vicende d´Italia. Si tratta di un metodo impiegato per coprire le responsabilitá di soggetti appartenenti alle istituzioni che traggono benificio e forza grazie alla trattativa e allo scambio di favori con appartenenti alla criminalitá organizzata, in particolare Cosa Nostra.

 

Per capire come funziona questo metodo e come agiscono i suoi protagonisti, riteniamo sia indispensabile ascoltare l´intervento pronunciato dall´avvocato Fabio Repici, legale della famiglia Manca.
Nella prima parte dell´intervento l´avv. Repici ricostruisce i passaggi dell´inchiesta giudiziaria sulla morte di Attilio Manca e sottolinea le gravi inerzie investigative della procura di Viterbo, titolare delle indagini, inerzie che hanno pesantemente compromesso l´accertamento della veritá.  
Nella seconda parte l´avv. Repici mette in relazione i dubbi e le anomalie sulla morte di Attilio Manca con la  patologia della realtá di Barcellona Pozzo di Gotto, dove sono emersi e continuano tuttora ad emergere fatti che dimostrano una consunstazialitá tra Cosa Nostra e pezzi delle istituzioni senza la quale la parte militare dell´organizzazione criminale sarebbe stata cancellata da lungo tempo.  Nonostante alcune persone coraggiose come l´avv. Repici, Sonia Alfano,  Adolfo Parmaliana ed il capitano dei carabinieri Domenico Cristaldi abbiamo denunciato in modo forte e chiaro queste connivenze, le Istituzioni locali e centrali continuano a mostrare una colpevole indifferenza. Nel migliore dei casi la risposta é il silenzio e se questo non basta si passa alla denuncia del dito che indica la luna, come dimostra l´attacco portato dall´associazione nazionale magistrati di Messina all´avv. Repici in seguito alle sue dichiarazioni rilasciate durante una puntata della trasmissione televisiva Rai BLUNOTTE (“Messina, un enigma da decifrare”, 5 ottobre 2008).  

 

L´avv. Repici disegna inoltre un quadro delle complicitá di pezzi delle Istituzioni che hanno protetto la latitanza di Bernardo Provenzano e Benedetto Santapaola nella zona di Barcellona Pozzo di Gotto e dintorni. La ricostruzione fatta dall´avv. Repici risulta di incredibile attualitá in quanto alcuni degli individui sospettati di aver favorito la latitanza di Provenzano hanno ricoperto un ruolo chiave nella trattativa che é intercorsa fra Cosa Nostra e pezzi dello Stato negli ultimi sedici anni, dalle stragi del 1992 ad oggi.
Questo stesso contesto di collusioni fra singoli appartenenti alle Istituzioni ed altre entitá tra le quali l´organizzazione criminale Cosa Nostra é vivo oggi piú che mai e fa da sfondo anche alla campagna di delegittimazione che ha colpito negli ultimi mesi i magistrati di
Salerno titolari delle indagini sulle denunce del PM Luigi de Magistris ed il consulente Gioacchino Genchi, che continua a pagare anche per la coerenza dimostrata nelle indagini sulle stragi di Capaci e via D´Amelio. "E l'attacco che viene fatto (oggi, ndr) nei miei confronti - dice il dott. Genchi - parte esattamente dagli stessi soggetti che io avevo identificato la sera del diciannove luglio del 1992 dopo la strage di via D'Amelio, mentre vedevo ancora il cadavere di Paolo Borsellino che bruciava e la povera Emanuela Loi che cadeva a pezzi dalle mura di via D'Amelio numero diciannove dov'è scoppiata la bomba, le stesse persone, gli stessi soggetti, la stessa vicenda che io trovai allora la trovo adesso!" (intervista al dott. Genchi del 27 febbraio 2009).


Le recenti vicende legate ai "casi" Forleo, de Magistris e Salerno hanno messo chiaramente in luce il rischio che la legge non sia piú uguale per tutti e che esistano soggetti dentro e fuori le Istituzioni il cui operato non possa neanche essere sottoposto al vaglio della legge esattamente come a Barcellona Pozzo di Gotto, dove una rete di complicitá di pezzi dello Stato si attiva in modo pervasivo per bloccare o deviare gli accertamenti investigativi non appena  alcuni "intoccabili" vengono attenzionati dalle forze dell´ordine. Non si tratta di bloccare un processo, ma di troncare sul nascere un qualsiasi tipo di indagine che possa anche solo sfiorare certi interessi.
In questo contesto gioca un ruolo essenziale l´informazione che nei "casi" in questione é stata in buona parte negata o manipolata. Proprio per questa ragione le parole dell´avv. Repici acquistano ancora piú valore perché tracciano in modo netto il quadro di consustanzialitá fra Cosa Nostra e pezzi delle Istituzioni nella provincia di Messina. La conoscenza e la comprensione di questi meccanismi é oggi un risultato giá di per sé non da poco.


Marco Bertelli

 



Barcellona Pozzo di Gotto, il buco nero del crimine mafioso in Italia

di Fabio Repici

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 L´avvocato Fabio Repici

"Buonasera a tutti,

io chiedo preventivamente scusa per il fatto che ho fatto davvero i salti mortali per essere qui stasera per varie ragioni. La prima di queste é il profondo affetto che nutro nei confronti del padre, della madre e del fratello di Attilio Manca e per il fatto di avere io l´onore di assisterli nelle loro vicende processuali. Giá solo questo sarebbe comunque bastato per farmi fare qualunque cosa per essere qui. Ci sono altre due ragioni che in linea di massima mi impongono di essere qui stasera e sono ragioni legate alle riflessioni che faccio sulla situazione attuale su questo tempo sbandato, in questo momento ed in questo luogo, Barcellona Pozzo di Gotto, ed anche, non é il caso di trascurarlo, un tempo sbandato nel quale si sta barcamenando l´intero paese. Il fatto che sia riuscito ad avere la possibilitá di essere qui presente purtroppo non mi consentirá di trattenermi fino alla fine. Quindi chiedo preventivamente scusa di questo a tutti coloro che interverranno allorché io saró giá andato via e a tutti voi.

 

Partiamo dalla situazione giudiziaria: c´é un procedimento penale in corso a Viterbo in fase di indagini preliminari, che in realtá sono scadute, e che vede dieci persone indagate per il reato di morte come conseguenza di altro delitto, laddove naturalmente la morte é quella di Attilio Manca e il delitto presupposto é la cessione o la somministrazione della droga con la quale materialmente é stata provocata la morte di Attilio Manca. Di queste dieci persone, vado a memoria, cinque sono vostri concittadini. Sono stati svolti in sequenza due incidenti probatori su alcuni accertamenti tecnici: l´ultimo riguarda le impronte digitali rilevate a casa di Attilio Manca a Viterbo in relazione alle quali essendo complessivamente 19 quelle completamente rivelate ed essendo 14 quelle attribuite ad Attilio Manca, residuava un dubbio sulle restanti impronte e l´incidente probatorio aveva come obiettivo di poterne fare materiale attribuzione ed individuazione. Di queste cinque impronte in realtá su quattro rimane il mistero, mentre una appartiene ad un barcellonese, peraltro un parente di Attilio Manca, il cugino Ugo Manca, un´impronta la quale solo con grande ritardo e solo in seguito alle sollecitazioni dei familiari di Attilio venne individuata. Inoltre solo dopo la giá tardiva individuazione ne venne fatta da Ugo Manca tardivissima giustificazione, sostenendo che quell´impronta sarebbe stata lasciata nel dicembre 2003, cioé circa due mesi prima della morte di Attilio Manca, in occasione di una sua trasferta a Viterbo per banalissimi motivi di salute.

 

Su quest´impronta ci sono almeno altre due cose che possono essere dette. Per prima cosa risulta dalle dichiarazioni del padre e della madre di Attilio che durante le vacanze di natale del 2003 e dunque dopo quella visita di Ugo Manca, essi furono a Viterbo a casa del loro figlio e come ogni madre siciliana che va a trovare il figlio fuori sede la prima cosa che fece prima ancora di salutare o almeno il primo impegno cui si dedicó fu naturlamente la pulizia di casa compresa la pulizia di quel bagno in cui fu trovata poi quell´impronta.
Il secondo dato che é molto rilevante e che non consente, come dire, di svilire le risultanze dicendo “queste sono le parole di un padre e di una madre che hanno visto morire il loro figlio”, é quello fornito dal perito che ha avuto l´incarico in corso di incidente probatorio.  Il perito ha spiegato che la durata delle impronte digitali é inversamente proporzionale al grado di umiditá dell´ambiente. Nel momento in cui fu ritrovato il cadavere di Attilio Manca, la casa aveva una temperatura elevatissima perché erano rimasti accesi gli impianti di riscaldamento e la temperatura fu rilevata subito dalle persone che entrarono come elevatissima. Per di piú si tratta di una stanza che in qualunque casa del mondo é naturalmente quella piú soggetta all´umiditá: vi lascio immaginare cosa accade in un bagno per altro molto piccolo al momento in cui ci si fa una doccia calda, si usa l´asciugacapelli, etc etc.

 

Ci sono alcune piccole precisazioni che vanno fatte riguardo alassoluta inerzia investigativa della procura di Viterbo possibilmente interpretabile nel senso che un ufficio giudiziario periferico di una realtá distante dai problemi di mafia od apparentemente distante dai problemi di mafia probabilmente non ha fatto dare la giusta attenzione al caso. Rimangono alcuni adempimenti nella primissima fase delle indagini e cioé l´audizione delle persone che conoscevano Attilio Manca, adempimenti che hanno portato ad un dato assolutamente univoco e sul quale ci sono posizioni assolutamente adesive fra tutte le persone che vennero sentite circa due fattori. In primo luogo Attilio Manca non solo non ha mai manifestato a nessuno intenzioni suicide ma Attilio Manca non aveva mai dato adito ad alcun sopetto tra le persone che piú gli erano vicine e gli volevano bene di poter avere quel tipo di intenzione. In secondo luogo tutte le persone che lo hanno frequentato nell´ultimo anno di vita a Viterbo hanno escluso che Attilio Manca facesse uso di sostanze stupefacenti. A questo si aggiunge la circostanza obiettivamente inspiegabile e del tutto anomala che il braccio nel quale Attilio Manca si sarebbe iniettato la droga é il sinistro. Essendo Attilio Manca un mancino puro e non essendo stata rinvenuta sulla sua pelle alcuna traccia di pregresse iniezioni, capite bene che l´enigma si ingigantisce.

 

A questo enigma, che giá in base alle risultanze investigative si sarebbe ingigantito, si assommano quelle che sono le anomalie barcellonesi riguardanti i comportamenti di alcune persone barcellonesi, in primis del cugino Ugo Manca. Quest´ultimo come voi tutti sapete é un personaggio di una certa evidenza nella ordinaria borghesia barcellonese ed é una persona pregiudicata per detenzione di un´arma con silenziatore a casa sua, non sono certo sul silenziatore ma sicuramente c´era una pistola. Inoltre é una persona che é stata arrestata in quell´occasione e poi sottoposta a processo per traffico di droga,  processo in corso in corte d´appello ed in cui ci sono formidabili tentativi di scardinare alcune fonti di prova. Tale processo ha visto come esito in primo grado la condanna di Ugo Manca, il quale comunque in base alle risultanze investigative acquisite da vari organi di polizia é sicuramente un personaggio con apicali frequentazioni mafiose nella mafia barcellonese.

 

Le piú grosse anomalie riguardano proprio il comportamento che Ugo Manca ebbe nell´immediatezza della notizia del rinvenimento del cadavere del cugino, cioé nel tentativo di entrare per forza nell´abitazione sequestrata di Viterbo e tante altre cose che vi risparmio perché in un quadro di sintesi sarebbero ultronee. 

 

L´elemento ingombrante é stato l´inerzia della procura che, fatta subito una richiesta di archiviazione, le uniche altre attivitá di indagine le ha fatte solo perché ordinate dal gip a seguito di rigetti costanti delle richieste di archiviazione in accoglimento delle richieste di opposizione che a quelle richieste di archiviazione avevano fatto i familiari di Attilio Manca.



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Attilio ed i genitori Gino ed Angelina Manca (fonte: www.attiliomaca.it)
 

A questo che é il quadro strictu sensu procedimentale e giudiziario si aggiungono delle altre cose che non sono state fatte neanche oggetto di tentativo di acquisizione da parte della procura di Viterbo nononstante siano state espressamente sollecitate da parte dei genitori di Attilio. Tali cose riguardano la possibile causale di un delitto che avrebbe visto vittima Attilio Manca rinvenendo una possibile causale che, come scritto nello stupendo libro di Joan Queralt ("El enigma siciliano de Attilio Manca",  vedi la recensione di ggv84, ndr), si lega alle radici malate di una cittá come Barcellona Pozzo di Gotto, un vero e proprio buco nero del crimine italiano, un buco nero che purtroppo ad oggi rimane completamente sottovalutato da parte di tutti gli organi centrali dello Stato ed anche da parte di quasi la totale interezza della classe politica salvo singole ed ammirevoli eccezioni. Una abbiamo il piacere di averla qua stasera e si tratta del senatore Lumia.

 

Ma le radici malate di quel vero buco nero criminale d´Italia che é Barcellona Pozzo di Gotto hanno portato i genitori, ricordando vicende della vita di Attilio, a sostenere la loro opinione anche sulla scorta di atti giudiziari ordinariamente letti sui giornali. Naturalmente si tratta di atti di altri procedimenti, intercettazioni di un boss della provincia di Palermo che parlava di un urologo. I genitori di Attilio hanno poi preso spunto da obiettive lacune che nella storia della latitanza di Bernardo Provenzano sono rimaste a tutt´oggi aperte anche per colpa degli organi istituzionali.

 

Perché vedete nell´aprile del 2006 in coincidenza con la vittoria del centrosinistra a quelle elezioni é stato mandato in onda uno strepitoso film di cui lo sceneggiatore meriterebbe di suo il premio Oscar perché sono riusciti con uno sforzo massiccio e la possibilitá di utilizzare casse di propaganda che neanche il grande fratello orwelliano, sono riusciti a convincere gli italiani che un personaggio, che dal 1963 era latitante, era stato latitante in una stamberga di Montagna dei Cavalli mangiando pane e cicoria ed avendo come unici sostegni della sua perdurante latitanza quattro capraii e tre parenti. Ora se questo fosse vero il nostro paese altro che repubblica delle banane sarebbe! Non so veramente, neanche in un film di Woody Allen sarebbe possibile rappresentare la consistenza di questo paese, ma certo é invece che questo é il film che é stato sceneggiato da ben precisi personaggi che in quel momento ricoprivano incarichi determinanti. Ma é un film che naturalmente é l´esatto contrario della veritá e non c´é dubbio che ci sono abbondantissime risultanze giudiziarie circa gli appoggi che lo Stato, lo Stato nel senso di appartenenti allo Stato e pezzi delle Istituzioni, hanno dato alla latitanza di Bernardo Provenzano.

 

Apro una singola parentesi: c´é un processo, come ha raccontato Marco Travaglio sull´ultimo numero di MicroMega, di cui non si deve parlare. É un processo di cui voi nei telegiornali non troverete mai notizia, ma é in atto: due importantissimi ufficiali, l´ex comandante del ROS, il mitico generale Mario Mori, ed il colonnello Mauro Obinu, sono imputati davanti al tribunale di Palermo per il reato, roba da poco, di favoreggiamento aggravato della latitanza di Bernardo Provenzano. Chiusa questa parentesi.

 

Rientrando nella latitanza di Provenzano appoggiata da parti dello Stato c´é un´affermazione che io so di poter fare e cioé che Bernardo Provenzano é stato anche a Barcellona. La storia di questa cittá dalle radici malate dimostra come le frazioni piú comode delle latitanze di tanti boss si sono sempre svolte qua. Da queste parti la storia purtroppo criminale ci insegna che in coincidenza ed in conseguenza delle latitanze dorate da queste parti nascevano omicidi. É la storia di Graziella Campagna, di Beppe Alfano. Guardate che non esistono casi in nessuna parte d´Italia di latitanze fatate come quella che poté trascorrere Gerlando Alberti junior a Villafranca o Benedetto Santapaola tra Barcellona e Terme Vigliatore.  Il problema é che Santapaola poi nel ’93 venne arrestato e naturalmente la struttura barcellonese non venne meno e si adoperó anche con Provenzano. Sul punto non ci sono solo, come dire, le congetture di questo stravagante avvocato che vi parla, ci sono dei dati che sono risultanze di processi.  A Messina c´é un pentito che non era un killer o un trafficante di droga, era un piccolo appaltatore. Poiché a Messina nulla é piu mafioso del ciclo del cemento, il piccolo appaltatore apparteneva a un grumo di mafia e questo piccolo appaltatore ha dichiarato di aver incontrato ripetutamente Bernardo Provenzano a casa del boss, anche lui naturalmente imprenditore, Michelangelo Alfano, bagherese adottato a Messina.

 

Ma oltre quello c´é anche un´altra risultanza e questa é addirittura, come dire, inequivoca. Perché data da una fonte assolutamente genuina ed impreparata: un´intercettazione raccolta nell´operazione “Vivaio”, il procedimento riguardante la mafia della discarica di Mazzarrà S. Andrea. Infatti c´é un secondo apparato economico che possiamo dire assolutamente intriseco agli affari di mafia. Chi fa soldi nel ciclo dei rifiuti é la mafia. Uno é il ciclo del cemento, l´altro é il ciclo dei rifiuti e chi formalmente gestisce il ciclo dei rifiuti lo fa per conto della mafia. L´operazione “Vivaio” riguardó il ciclo dei rifiuti della zona di Mazzarrá Sant´Andrea. Fu arrestato pure il cosiddetto “barone”, naturalmente poi scarcerato dal tribunale del riesame, tale Michele Rotella. In quel procedimento fu intercettata la sorella del boss Carmelo Bisognano, la quale, senza sapere naturalmente di essere ascoltata dagli investigatori, confermó il fatto che Bernardo Provenzano era stato latitante in questa zona e di averlo addirittura visto lei stessa. Riferiva della presenza di Provenzano anche a Portorosa.

 

Dopodiché ci sono dati inconfutabili. Inoltre dobbiamo considerare la situazione circa la mafiositá di questa cittá. Questo non é un modo per dire che tutti i barcellonesi sono mafiosi, perché solitamente parte il refrain “ah si butta fango sulla cittá”. No, sulla cittá fango lo buttano i mafiosi di questa cittá. Ma se per non buttare fango su Barcellona bisognerebbe evitare di parlare dei mafiosi e dei loro potentissimi protettori istituzionali, allora sarebbe meglio sbaraccare e scappare da questo posto. Ma l´unico modo per liberare questa cittá dalla mafia é se possibile additarli sia i mafiosi sia i loro protettori istituzionali. E poiché la cifra mafiosa della cittá é quella che da anni mi ripeto nel raccontare, mi permetto di fare un´altra riflessione. Prendetela con il benificio di inventario dovuto quando si ascoltano le parole di una persona indagata, nel senso che io sono stato querelato per diffamazione, forse mi fa compagnia la signora Angela, da un frate.

 

Barcellona é una cittá strana. A Villafranca mi ha querelato l´ex sindaco oggi consigliere provinciale dell´UDC Vincenzo La Rosa a proposito dei rapporti che egli servava con l´allora latitante ingegnere Cannata, qui a Barcellona invece mi ha querelato un frate. Io per caritá non sono come dire un praticante, peró ho grande rispetto per le istituzioni religiose e per le singole persone che in quelle istituzioni hanno il loro ruolo. Quindi mi sentirei giá in imbarazzo personalmente ad essere un soggetto querelato da un frate perché l´immagine di un frate che magari uno si fa é quella di una persona che cammina scalzo, bravo, dice la messa, che so. Naturalmente é pure possibile che la persona che mi ha querelato abbia queste caratteristiche e sia una persona strepitosamente di altissima dignitá umana e religiosa, peró ognuno di noi ha un cognome e perdonatemi la dico brutalmente.  Al momento in cui il frate che mi querela si chiama Ferro, mi dispiace per lui perché ció che eventualmente ha fatto il padre o li cugino o il fratello non é colpa sua. Stiamo parlando, capirete bene, di uno stretto congiunto di don Antonio Ferro, il piú potente capo mandamento della storia di Cosa Nostra di Canicattí, uno stretto congiunto di Salvatore Ferro, il principale aiutante della latitanza di Bernardo Provenzano, di uno stretto congiunto di Giuseppe, Roberto, Gioacchino Ferro, cioé i successori della garanzia e dell´appoggio della latitanza di Provenzano. Giusto giusto avendo efflato religioso,  essendo divenuto frate anziché essere spedito in Alto Agide a fare legittimamente il frate, giusto giusto doveva farlo nel buco nero della criminalitá mafiosa d´Italia. Allora a me, perdonatemi, pare una cosa che non dovrebbe essere consentita, tanto piú non dovrebbe essere consentita se, cosí come é stato e come ognuno di voi ricorderá, prima che ci venisse imposto il film “11 aprile 2006, Montagna dei Cavalli”, una delle principali piste di indagine circa i luoghi nei quali poteva trascorrere la latitanza Bernardo Provenzano erano proprio i conventi. Legittimamente tanti film venivano supposti perché con indagini giudiziarie e giornalistiche tante persone si adoperavano per cercare di capire chi fosse il latitante Bernardo Provenzano, che vita facesse e dove fosse nascosto. Voi sapete esattamente come me che fino al giorno in cui fu arrestato Bernardo Provenzano, una delle principali piste di indagine circa i luoghi nei quali poteva trascorrere la latitanza Bernardo Provenzano erano proprio i conventi. Ora capite che se uno mette assieme queste cose, la conclusione che raggiunge ciascuno non lo so. Io vi dico quella che raggiungo io e cioé che solo a Barcellona poteva stare quel frate il quale probabilmente non ha fatto nulla peró é un uomo della famiglia di sangue piú vicina a Bernardo Provenzano nella storia della sua latitanza.
A questo aggiungo che un qualche cosa dovette succedere nel convento dei frati minori di Barcellona, perché un bel giorno tutti i frati ospiti in quel posto furono trasferiti in blocco e senz´altro un accertamento di polizia giudiziaria in quel luogo fu fatto. Capite allora che i sospetti - io sono giá sospettoso per natura mia - si ingigantiscono.

Aggiungo l´ultima cosa; l´altra volta per battuta ad un amico dicevo che alla luce delle conoscenze odierne quasi quasi bisognerebbe chiedere scusa al piduista Umberto Federico D´Amato dell´Ufficio Affari Riservati perché forse erano quasi una casa di vetro e trasperenza rispetto a certe strutture di investigazione di oggi. Mi riferisco esclusivamente e naturalmente al ROS, il quale ROS é, per quanto é accaduto in provincia di Messina, lo stesso ROS che omise di catturare Santapaola pur avendo in diretta le intercettazioni ambientali di Santapaola e tante altre cose.  Al momento in cui gli accertamenti di polizia giudiziaria fatti in quel convento non hanno portato a nessun risultato e tali accertamenti furono fatti dal ROS - proprio da quel ROS - voi capite che sospetto piú sospetto piú sospetto Agatha Christi de “I dieci piccoli indiani” avrebbe scritto la sentenza di Cassazione. 

 

E allora all´esito di queste riflessioni che vi ho fatto: ma vi sembra proprio strano il sospetto manifestato dopo un po´ di tempo dai genitori di Attilio Manca circa il possibile legame con la vicenda di Attilio Manca che fu uno dei primi medici in Italia ad adoperare le pratiche chirurgiche che sono state impiegate nell´ottobre del 2003 a Marsiglia su Bernardo Provenzano? Prendiamo atto che Provenzano quando é stato operato aveva 71 anni e che, per caritá, Provenzano é stato operato in una clinica privata e la possibilitá di controllare chi ci fosse é assolutamente impossibile. Prendiamo atto che fu operato da un qualche casuale che casualmente prestava servizio in quella clinica privata di Aubagne. Prendiamo atto di tutto questo e della circostanza dimostrata ed incontroversa che dai primi del 2003 Bernardo Provenzano rientró in Sicilia e non si allontanó piú  fino a quando non fu arrestato a Montagna dei Cavalli. Voi pensate che una persona di quell´etá e con quei problemi non fu visitata da nessun urologo? La risposta é ovvia ed é no. Domanda che sarebbe da fare alla procura nazionale antimafia: e´ stato individuato questo urologo che avrebbe visitato eventualmente ex-post Bernardo Provenzano dopo l´intervento chirurgico? La risposta é ovviamente no. Se poi a tutto questo aggiungiamo le inerzie o gli errori grossolani commessi dalla procura di Viterbo... Ne cito uno perché é al centro dell´attenzione un po´ parossistica dei mezzi di informazione utilizzati come sempre come casse di propaganda delle false notizie. Fu sollecitata alla procura di Viterbo l´acquisizione dei tabulati telefonici. Avete tutti presente no? Alcuni tabulati telefonici furono acquisiti. I signori Manca riferirono di una particolare telefonata intercorsa fra Attilio Manca ed il cugino Ugo Manca. Fatta delega ai formidabili ufficiali di PG della squadra mobile di Viterbo da parte del PM per verificare se questa telefonata c´era stata, la risposta fu inequivoca: non risultano telefonate nell´anno 2004 dal 1 gennaio fino all´11 febbraio, giorno della morte di Attilio Manca, fra Attilio Manca ed il cugino Ugo Manca. Risposta lapidaria. Io dissi “boh, magari i miei clienti si saranno ricordati male, magari la telefonata era di tre mesi prima, invece loro si ricordano di 10-15 giorni prima della morte”. Dopodiché poiché io sono un poco tignoso, non solo perché mi mancano i capelli, nel senso che sono un po´ tenace,  allora ho fatto un controllo io che rispetto alla tecnologia sono piú o meno l´uomo di Neandertal. Mi sono controllato i tabulati telefonici ed ho trovato la telefonata.

 

Questo ci dice due cose. Uno: io non ho alcun sospetto che i poliziotti abbiano scritto il falso pensando che scrivevano il falso. Io sono convinto che i poliziotti non avevano capito. Peró l´hanno scritto.  Questo ci fa capire che da un lato la polizia e la procura avevano fatto le indagini un po´ con i piedi. Dall´altro che forse certe affermazioni di certo ceto politico circa il fatto che certi controlli sui tabulati telefonici non vanno fatti da persone troppo esperte perché magari poi scoprono i contatti e vanno invece fatti da ufficiali di PG che si dovrebbero occupare in altre occasizioni di fare i pedinamenti ai trafficanti di droga e poi si dovrebbero occupare di controllare i tabulati telefonici, capite bene che quest´impostazione di certi apparati e certi poteri é in realtá un desiderio di impunitá. Quando sentite dire “Ah il controllo con le intercettazioni, i tabulati”, questo é il tempo sbandato a cui mi riferivo in relazione alle condizioni del paese.  Sono esclusivo manifesto di volontá impunitaria da parte della classe dirigente del nostro paese.

 

Ora le radici malate di Barcellona ve le ho in qualche modo rappresentate e riguardano soprattutto il rapporto fra mafia ed istituzioni. C´é una persona che l´anno scorso era qui fra di voi e sarebbe stata qui fra di voi anche quest´anno, ne sono certo. Peró  non c´é  piú dal 2 ottobre e si chiama Adolfo Parmaliana.

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Adolfo Parmaliana (fonte: www.illume.it)

Adolfo Parmaliana non c´é  piú per una bruttissima storia di intrecci fra mafia ed istituzioni che potremmo tradurre con il termine “Tsunami[1] in cui sono scritti nero su bianco comportamenti criminosi compiuti da appartenenti delle istituzioni. C´é uno scolastico caso di corruzione che coinvolge un ufficiale di PG, maresciallo della guardia di finanza, ed un ex-sindaco che naturalmente é oggi sindaco ed un episodio di favoreggiamento grande come una casa compiuto da uno che all´epoca era solo sostituo procuratore generale ed allora naturalmente é stato premiato ed é oggi il procuratore generale che tutti riveriscono. Ve lo posso dire con assoluta pacatezza e senza timore, nel senso che chi legge l´informativa “Tsunami” sa che lí il dottore Cassata fece favoreggiamento. Non é il primo episodio nel quale si é messo in luce il dottore Cassata: ha un lungo curriculum che nasce nel 1974 con un viaggio in macchina assieme a "Pino ‘u sceccu" (soprannome del criminale Pino Chiofalo: ‘u sceccu vuol dire l’asino) fatto da Barcellona a Milano, un curriculum che io l´altra volta segnalavo commentando il trasferimento d´ufficio dei magistrati di Salerno responsabili di aver fatto bene le indagini e redatto un atto dichiarato legittimo dall´unica autoritá competente. Pensavo che loro avevano sbagliato perché se loro anziché fare le indagini fondavano musei attraverso i quali percepivano finanziamenti pubblici, partecipavano a circoli culturali paramassonici nei quali far affratellare anche il boss mafioso o l´ex ordinovista al centro di traffici d´armi, o provvedevano ad aggiustare processi a favore dei suoi amici, allora a quei magistrati di Salerno, essendo temporaneamente occupata la poltrona di palazzo Chigi, come minimo un posto di procuratore generale di Messina non glielo avrebbe tolto nessuno.

 

Peró dicevo i rapporti fra mafia ed istituzioni e soprattutto la devianza delle istituzioni e del potere da queste parti é una cosa che é stata di attualitá in questi giorni e nelle ultime settimane in relazione ad una neanche troppo grande operazione giudiziaria chiamata operazione “Pozzo”. Una cosa che voglio citare qui questa sera tanto piú approfittando della presenza del senatore Lumia perché vanno dette parole di chiarezza. Io non sono sopetto di simpatie destrorse e tutti voi sapete quello che ho detto e scritto sul mancato scioglimento per mafia del comune di Barcellona, che meritatissimamente meritava lo scioglimento per mafia e indebitamente non fu sciolto per mafia. Posto quindi ció che io penso di quello che é stata ed é l´amministrazione comunale di Barcellona e che ho piú  volte descritto, naturalmente non faccio sconti anche a chi manifesta idee politiche che possono sembrare un po´ piú vicine alle mie. Oggi sono rimasto letteralmente sconcertato leggendo la Gazzetta del Sud - si rimane sempre sconcerati per la qualitá editoriale - ma oggi ho avuto un sovrapprezzo di sconcerto leggendo un´articolo a pag. 37Messina tirrenica – Santa Lucia del Mela - Pandolfo indagato nell´operazione Pozzo” - Pandolfo é un ex sindaco di Santa Lucia del Mela – “Il PD solidale con l´ex sindaco”. E ci sono le dichiarazioni  di due buontemponi che rispondono ai nomi di Panarello e Rinaldi. Ora per intenderci, per chi conosce le cose di politica, Filippo Panarello é deputato regionale di provenienza DS e membro rilevante del PD. Rinaldi, il cui nome non conosco come quasi nessuno conosce ma la cui caratteristica é essere il cognato dell´onorevole Fracantonio Genovese, ha la provenienza Genovese, nel senso che lui é andato alla regione perché é il cognato di Genovese,  ma sicuramente non viene dal partito dei DS. Anzi é cronaca politica di tutti i giorni che c´é uno scontro furioso in atto a Messina all´interno del PD fra il gruppo Genovese da un lato ed il gruppo Panarello dall´altro. Chiunque legge i giornali sa questo. Su cosa trovano l´intesa il gruppo Genovese ed il gruppo di cui fa parte Panarello? Niente di meno che nella solidarietá che danno a uno per il quale é stata chiesta nientemeno che la cattura per mafia. E vi dico che il successore di quel sindaco Pandolfo indagato per concorso esterno in asociazione mafiosa dichiara che “l´indagine é in corso ed é pertanto arbitrario in questo momento fare delle affermazioni sull´esistenza di rapporti fra mafia e politica a Santa Lucia del Mela”. Questo é il sindaco ed in piú c´é il carico che viene portato dai deputati regionali Panarello e Rinaldi: “non é questo il paese dei patti scellerati con la mafia” - gli vorrei chiedere come loro ne hanno contezza – “all´unanimitá abbiamo ricusato quanto potrebbe apparire dalle cronache e riteniamo che prima del verdetto giudiziario nessuno possa indicare Santa Lucia del Mela come il luogo dove avvengono intrecci politico-mafiosi e quant´altro”. Loro dichiarano cosí, loro fanno finta di non sapere. Certo é che quell´amministrazione comunale diede una concessione abusiva per la quale é in atto un processo in un altro tribunale di Barcellona. La concessione venne data ad un boss mafioso di Santa Lucia del Mela che si chiama Pietro Mazzagatti.

 

Questo é il clima morale da queste parti che ottunde in pieno le coscienze della politica. L´altra volta in una conferenza il senatore Lumia é stato erroneamente etichettato come messinese perché l´unica personalitá antimafiosa di questa provincia conosciuta é il senatore Lumia, nel senso che in qualsiasi altro ambito di partito di questa provincia non é rintracciabile un soggetto che abbia voglia di fare battaglia contro la mafia e contro le collusioni istituzionali. Allora questo é il clima di questo paese, questo é il clima di questa cittá, questo é il clima che avvolge anche il procedimento nel quale ci si occupa della morte di Attilio Manca.

 

L´ho giá detto in altre occasioni ed é la cosa che riferisco sempre ai genitori di Attilio: la soluzione giudiziaria di tante cose, anche della morte di Attilio Manca, anche del suicidio di Adolfo Parmaliana, anche delle ragioni del delitto Alfano, anche di altre cose, noi la potremo scoprire solo quando saranno illustrate e additate come dal bambino della fiaba di Andersen le ripugnanti collusioni mafiose, anzi io direi quasi la consustanzialitá fra gli apparati del potere di queste parti - compresi gli apparati giudiziari - e gli interessi di mafia. Ci potranno essere altre querele, altri tipi di iniziative. Poco fa qui é stata messa in onda l´ultima puntata di BLUNOTTE che si occupó di Messina ("Messina, un´enigma da decifrare") e che parló dell´omicidio Campagna e dell´omicidio Alfano e credo dell´omicidio Bottari e nella quale venivano riportate anche mie affermazioni rilasciate in un´intervista. La reazione a quella trasmissione fu la seguente: fuori da Messina lo sgomento, perché chi vide quella trasmissione restó sgomento, perché non puó credere che possano capitare le cose che capitano in questa cittá. Solo che qui siamo cosí ottusi che la reazione quale é stata? Un provvedimento da parte dell´ANM la quale anziché prendersela contro i delinquenti se la prese contro chi denuncia i delinquenti, nella fattispecie la mia modestissima persona. Probabilmente il piccolo aneddoto é una cartina di tornasole di quale é lo sbandamento morale del paese.

 

Grazie"

 

Link:
www.attiliomanca.it 
www.illume.it

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