Impressioni su "Nel labirinto degli déi" di Antonio Ingroia Stampa
Rubriche - Libri
Scritto da Francesca Munno   
Giovedì 09 Dicembre 2010 12:42

Mentre scorrevo le pagine di questo libro avevo la sensazione di guardare un pittore che dipingeva il suo quadro.  Un labirinto con tanti sorrisi, tanti episodi, tante vite blindate, tante parole, tante storie che si intrecciano e tante altre che si spezzano, uomini di mafia, uomini dello Stato, tutti questi in un solo quadro, con tanti colori, ma una sola mano che racconta, che dipinge un pezzo personale della sua vita, ma anche pezzi di vita altrui che confluiscono in solo dipinto. La mano che dipinge ha un suo stato d’animo: ferma e decisa, forte e debole, coraggiosa ma anche con attimi di paura, è dolce e impetuosa, è ironica, è severa, è paterna, è triste e delusa …. È un’anima che parla, che spiega, che si apre agli altri per non blindare anche la sua anima della sua esperienza e ci accompagna in questo labirinto con all’interno tante camere, molte finestre e ogni stato d’animo ha un suo colore preciso e inconfondibile.  

Questo è il quadro della vita del Dott. Antonio Ingroia che si anima e viene alla luce, attraverso questo ultimo suo libro “Nel labirinto degli dèi”, attraverso buchi neri di questo nostro Paese,e attraverso squarci di verità che sembrano dividere in due il quadro.

13 capitoli, una, sola, profonda ed emozionante dedica “alla memoria di Paolo Borsellino mio indimenticabile maestro” .

 Ci sono vite segnate, ci sono vite che hanno percorsi contrassegnati da segni. Segni che si trovano lungo il percorso della propria esistenza, impronte che vanno riconosciute e seguite per dare un senso al nostro progetto su questa terra. Segni che come frammenti di un puzzle si compongono passo dopo passo  e danno vita ad un quadro.  Inoltrandoci in questo labirinto,  Ingroia in silenzio osserva ed impara da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino:  le tecniche, gli sguardi, le parole e anche i silenzi, le espressioni del volto, le pause. In una stanza di questo labirinto c’è la delicata storia, di una piccola “nuvola” color grigio scuro all’apparenza, che sembra non lasciar oltrepassare niente e nessuno, quella piccola nuvola abbandonata da tutti, che si chiude per difendersi, quella piccola nuvola chiamata Rita Atria, che Ingroia incontra. Quella piccola nuvola che si scioglierà solo davanti a lui, a quel sorriso raggiante, a quello sguardo paterno e protettivo di Paolo Borsellino,  attraverso di lui, lei credeva nello Stato e nella Giustizia, quella nuvola che non ce la fa a sopportare l’epilogo tragico di Paolo e si suicida all’età di 17 anni.

È un quadro che ha mille volti, mille colori che si innescano anche in un gioco di sfumature così come racconta Ingroia nel capitolo “Vite blindate” : è difficile capire cosa si prova a stare sempre sotto scorta per me. Eppure qui i colori sono diversi, sono di amicizia (con le scorte), di dolore (perdita di amici e colleghi nelle stragi), sono di paura (il dopo stragi ’92 ’93), “giorni di impotenza” scrive l’autore. Di rabbia e incapacità di capire fino in fondo cosa e perché stava succedendo tutto questo. E in questo capitolo troviamo l’Ingroia padre, marito: una vita privata da una passeggiata con la sua famiglia, traspare un uomo con la sua umanità. Ma che ha deciso di intraprendere una strada, scartando i “posti più tranquilli”.

 Un uomo sotto scorta, un uomo che cerca di capire dietro un omicidio, dietro un pentito, come faceva Falcone “aveva stima e rispetto per quell’ex mafioso che gli stava di fronte” , un rispetto che non significava essere dalla loro parte, ma che in qualche modo anche la mafia ha i suoi “principi” e suoi “valori”. Pentiti che hanno dato una svolta alla loro vita, e in certi casi anche alla Storia di questo Paese nel bene (quando ci sono dei veri pentimenti) e nel male (quando diventano feroci contro lo Stato e contro la società). Il pentito che sa e capisce cosa rischia il magistrato che si mette contro la mafia. Il magistrato che capisce, a sua volta, che il pentito ha fatto una scelta più pesante: mettendosi contro amici e famiglia.

C’è una parte del quadro dove i colori diventano man mano più scuri; come se nel labirinto si tracciasse una sottile linea il percorso,  con colori forti: il capitolo “Amicizie e tradimenti”, una linea che percorre anni, mesi, giorni, minuti, frammenti di un’esistenza personale e globale. È in questo capitolo che ho scrutato la parte più faticosa, a volte più difficile da spiegare. È già complicato vivere una vita blindata, perdere un “maestro”, ma essere traditi da persone a cui dai la massima fiducia, persone che con il tempo diventano amici, con cui condividi le ansie, le paure, le soddisfazioni. Lo so è un’esperienza che tutti abbiamo provato, purtroppo. Ma vivere un tradimento per una persona che rischia la vita, che si mette a disposizione per la verità con anima e corpo, con dedizione, privandosi di tutto ciò che concerne la vita “normale”, per me questa esperienza per un uomo, un magistrato come Ingroia, ha il senso di sgomento. Come scrive lui “il Palazzo di giustizia di Palermo è stato a lungo il palazzo dei veleni”,   tanti sussurri in quei corridoi contro Falcone, il “tradimento“ di Carmelo Canale, tenente dei carabinieri (poi assolto). E poi c’è la vicenda anch’essa dolorosa, per Ingroia, quella del maresciallo della Guardia di Finanza Giuseppe Ciuro: suo collaboratore e amico, che mancò ad una promessa di fedeltà.

Il quadro prende un percorso ancora più tortuoso, prende un colore che per me è nero piombo: la mafia dei colletti bianchi non può che avere questo colore, nero, nero catrame, anche quando Ingroia inizia a dipingere con ironia e una sorta di severità “Un giorno a Palazzo Chigi” (Capitolo 10) io non riesco a non sentire quella rabbia nera, quella pagina tenebrosa che ancora oggi viviamo, sotto gli occhi di tutti. Si può anche prendere il colore dell’ironia, quando parla dell’interrogatorio con Dell’Utri, che alla fine il mafioso     (oggi condannato a 7 anni per associazione mafiosa) si avvicina al Dott. Ingroia per fargli gli auguri natalizi, e nell’accettare con stupore, gli dice “ …… in effetti un accanimento da parte di noi, Pubblici Ministeri di Palermo, nei vostri confronti c’è! …………. La questione è di che accanimento stiamo parlando”. Di che parla il Dott. Ingroia? Semplice lui, e il collega Gozzo sono interisti. E Dell’Utri con una sola parola dice: “Puru!”.

C’è questa sorta di ironia, c’è un’omertà colore ombrata che si perde nelle stanze ancora chiuse di questo labirinto, ma ci sono anche porte di omertà spalancate, anzi distrutte dalla voglia di uscire fuori, allo scoperto, pentiti convertiti, figli di mafiosi che spezzano le catene dell’omertà. Figli che spaccano definitivamente i legami di sangue con un rumore abbastanza assordante, non solo per chi è fuori e conosce le tante verità, ma soprattutto per una realtà, un nucleo familiare, dove si sono fondati anni e anni di criminalità, è lì che, spezzato il punto più importante del “regolamento mafioso” l’omertà,  fa più rumore la verità. 

Leggevo questi capitoli, scrutavo le parole, andavo oltre ad esse, e dietro questo quadro c’era un colore chiaro che veniva pian piano in avanti sempre più forte, il VERDE SPERANZA (non leghista!!!) perché in questo libro-quadro-labirinto, come scrive l’autore “La speranza comincia a nascere dalla fiducia negli uomini dello Stato”: quello Stato che da Paolo Borsellino, Giovanni Falcone, fino ad arrivare all’autore stesso Antonio Ingroia, per poi proseguire con Antonino Di Matteo, Giambattista Tona, Luca Tescaroli, Lari, Gozzo, e se mi permettete anche Salvatore Vitello, Pierpaolo Bruni, Nicola Gratteri, e credo come pochi altri, ci rappresentano nella maniera più corretta del termine STATO! E poi c’è la società civile, quella delle Agende Rosse e quella di tante altre associazioni, che avendo degli esempi di vita sane nello Stato come loro, sanno di poter lottare, sanno di poter credere che un mondo diverso è possibile, e ogni giorno questo colore, verde cresce, si allarga, emana quel fresco profumo di libertà. Una società a fianco a questi magistrati, una società che avanza, come il colore verde nel sottofondo del quadro, che ha il seme del senso di Giustizia e di Verità, lo stesso seme che Paolo Borsellino e Giovanni Falcone ci hanno lasciato. Questo libro è un turbine di sentimenti che pervade tutto il corpo e l’anima, una visione alternativa alla realtà, una porta d’uscita dal mondo così come lo vediamo, e ogni volta che lo apri, lo scopri, esci in mondo sempre diverso, differente da persone in persone, da giorno in giorno. È un cuore che parla, è un uomo che ci dona un pezzo della sua vita, è un uomo di Stato che vince la paura con il coraggio, è un magistrato che tocca i tasti dolenti di questo nostro Paese, i tasti macchiati di sangue con cui si è costruita questa seconda Repubblica, è un uomo  che ci insegna che rompere le catene delle mafie è possibile. 

“Paolo Borsellino non ha insegnato la rassegnazione, ma la resistenza. Non credeva nel martirio , ma nella lotta. Era un realista vero, che lottava per cambiare le cose” Antonio Ingroia.


Francesca Munno







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