La Casa di Paolo |
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Scritto da Rino Giacalone | |||||||||
Sabato 27 Giugno 2015 10:40 | |||||||||
Parla l’ing. Salvatore Borsellino e a stento tiene a bada l’emozione, poi si riprende e aggiunge: “Io sono un ingegnere ma non uno di quelli che usa righelli, matite, goniometri, sono un ingegnere informatico e allora cercherò di insegnare ai giovani che verranno l’uso del computer, dell’informatica, cercherò di dare loro una mano per entrare nel mondo del lavoro utilizzando al meglio i computer”. L’inaugurazione è prevista per il 17 di luglio prossimo. L’appuntamento sarà al civico 57 di via Vetriera. “Sono stati raccolti tanti fondi, mi dispiace – ha ancora detto Salvatore Borsellino – che una parte di questi li ho dovuti stornare per pagare una multa per avere protestato che a Marsala l’eredità del lavoro di mio fratello sia stata presa da chi è stato toccato dal sospetto di essere stato l’autore degli anonimi in una delle stagioni più buie della storia giudiziaria palermitana, per avere detto questo ho dovuto pagare. Nei mesi a venire – ha detto rivolto all’uditorio che lo ha più volte interrotto applaudendolo – vi chiederò ancora una mano d’aiuto per far crescere il sogno diventato realtà della casa di Paolo”. Questa, e lo hanno ricordato Di Matteo e Palazzolo, è la terra dove si nasconde il super latitante Matteo Messina Denaro che probabilmente non si prende ancora perchè magari un giorno si dirà che il suo mancato arresto non è altro che il capitolo odierno della infinita storia delle trattative tra Stato e mafia. O meglio magari un giorno si scoprirà che quel pezzo di Stato che nel tempo è stato individuato essere come organico di Cosa nostra ha cercato di rimettere lacci e lacciuoli ai cani, come raccontò anni addietro il pentito Nino Giuffrè che parlando della mafia trapanese degli anni passati spiegò che qui a Trapani si rifugiavano tanti latitanti della mafia, perchè qui “c’erano i cani attaccati”. Già Matteo Messina Denaro. Salvo Palazzolo ha raccontato dei familiari del boss che oggi conducono splendide attività commerciali, ha raccontato della sorella del boss, Bice, che ha scritto al quotidiano La Repubblica per rivendicare a se “una sana imprenditoria”, ha raccontato di commercianti castelvetranesi che in forma anonima hanno denunciato la supremazia commerciale della holding dei Messina Denaro. Ma parliamo pur sempre di quella Castelvetrano che ha preferito il silenzio quando ad un consigliere comunale, Pasquale Calamia, è stata bruciata per vendetta la casa, per punirlo di quel suo auspicio detto in pieno consiglio comunale di una imminente e veloce cattura del latitante, che, ecco il virus della diffidenza che emerge sempre, ha ammantato di sospetti vari la denuncia dell’imprenditrice Elena Ferraro contro quel cugino del boss che era andato a proporle di pagare l’estorsione con tanto di fattura, una società che non ha protestato quando fu fatto il sequestro della catena commerciale dell’imprenditore Grigoli, anzi furono raccolte firme di solidarietà, una società che non ha provato nemmeno a balbettare qualcosa di diverso quando l’attuale sindaco appena insediato trovò subito la maniera di dire che “Matteo Messina Denaro non è il primo dei problemi”. Ben vengano le segnalazioni anonime quando servono a individuare il malaffare, ma ci sono situazioni e vicende che senza remore dovrebbero suscitare sdegno ed essere contestate. C’è chi lo ha fatto e lo fa ma passa per “professionista dell’antimafia”. A Trapani l’antimafia non è più un germoglio, ma è una pianta cresciuta alla quale qualcuno sta cercando in tutti i modi di fare una forte potatura, tagliando rami fioriti dicendo che sono secchi. Forse di questo non si è poi così tanto parlato a margine della presentazione del libro “I Collusi”, ma è ora di parlarne e a chiare lettere. Perchè qui a Trapani c’è una antimafia, quella cresciuta con gli insegnamenti di don Luigi Ciotti, che ogni giorno registra una vittoria ma deve affrontare il dileggio, la delegittimazione. Ci provano ogni giorno sempre con nuove forme, d’altra parte siamo a Trapani, terra di venti, e la calunnia, come cantata nella famosa opera rossiniania del Barbiere di Siviglia, da Basilio, trova spesso modo di correre velocemente. E se non c’è la mano della mafia, Cosa nostra lesta è pronta a ringraziare…e magari a prendersi pure gli applausi. L’altra sera la Trapani che non vuole sentire più la mafia come presenza costante le mani le ha battute al pm Di Matteo, a Salvatore Borsellino e poi a tutti gli altri che con loro hanno raccontato della nuova mafia, la mafia 2.0. Targata sempre Matteo Messina Denaro. Rino Giacalone da: alqamah.it Comments:
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