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Stragi ’92-’94. Individuato il vero responsabile: Nino Di Matteo PDF Stampa E-mail
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Scritto da Sandra Rizza e Giuseppe Lo Bianco   
Domenica 23 Luglio 2017 10:57
di Sandra Rizza e Giuseppe Lo Bianco - 22 luglio 2017

Venticinque anni di pentiti fantoccio, di insabbiamenti, di verbali dimenticati e altri nascosti, di riscontri mai compiuti, di colloqui investigativi autorizzati dopo il pentimento, venticinque anni soprattutto di indagini mai fatte e di un depistaggio che dura dal 20 luglio del ’92 nell’assoluto disinteresse di commissioni stragi e antimafia, e finalmente l’Italia si sveglia con il nome dell’unico, vero responsabile: il pm Nino Di Matteo.

‘’Non so se era alle prime armi, è certo che mio padre non si meritava un pm alle prime armi’’, ha urlato Fiammetta Borsellino e subito dopo si è interrogato Mattia Feltri sulla Stampa: ‘’Se il depistaggio fu un effetto della trattativa, come fa il maturo pm di Palermo, Di Matteo, a occuparsi del giovane pm di Caltanissetta, Di Matteo?’’.

Nella procura che oggi si scopre massonica, con cappucci e grembiulini sia maschili che femminili, tra gli ottanta magistrati che in tre gradi di giudizio di tre diversi processi hanno avallato le scempiaggini criminali di un ‘’orsacchiotto con le batterie’’, come si è definito Scarantino, indotto a mentire da agenti ancora senza volto, il capro espiatorio è servito su un piatto d’argento sul tavolo della partita tuttora in gioco, quella della trattativa Stato-mafia, che a distanza di 70 anni dal pianoro di Portella della Ginestra, è in grado per la prima volta di rispondere alla domanda elusa da tutte le commissioni antimafia: c’è uno Stato nello Stato che è sceso a patti con la mafia?

Come si è  declinato e chi sono stati i protagonisti?

E soprattutto c’è un sistema di potere collaudato che protegge dall’interno una verità indicibile che pochi magistrati coraggiosi, oggi in Italia, possono trasformare, come ha detto il 17 luglio a Palermo il pm Gianfranco Donadio, in una ‘’verità dicibile’’?

Il dolore sdogana il diritto di parola svincolandolo da ogni obbligo, e Fiammetta Borsellino è stata dura e precisa, sbagliando però bersaglio: Nino Di Matteo è arrivato a Caltanissetta nel novembre del ’94, quando il pentimento di Scarantino era già stato apparecchiato nel giugno di quell’anno a Pianosa nel primo interrogatorio condotto da Ilda Boccassini e Carmelo Petralia, cucinato nel luglio successivo durante i dieci giorni di colloqui investigativi autorizzati dalla Boccassini, ancora incerta sulla credibilità del picciotto della Guadagna, e definitivamente servito a settembre con i primi arresti.

Di Matteo è venuto dopo, e la sua partecipazione al disastroso Truman Show collettivo non lo assolve esattamente come non assolve nessuno degli ottanta e passa magistrati che su quelle decisioni poi riformate hanno apposto la propria firma, e, soprattutto, come le centinaia di parlamentari che in 25 anni non hanno mai sentito il bisogno di aprire alla Camera e al Senato una sessione sulla stagione stragista del ’92-’94, la più oscura della nostra storia recente.

E allora, scomodando un volgare ma saggio  detto siciliano, si spara ad un obbiettivo per colpirne un altro, si impala il pm utilizzando la rabbia sacrosanta di una donna giustamente indignata da 25 anni per l’ignobile partita istituzionale giocata sulla pelle di suo padre, puro e autentico servitore dello Stato, per bloccare ciò che in questo momento fa più paura ai tanti che occupano i piani alti del potere istituzionale: il processo della Trattativa Stato mafia.

Lo si fa colpendo mediaticamente Di Matteo, al quale, se fossimo stati i suoi addetti stampa, avremmo consigliato di chiedere scusa alle 9 vittime innocenti condannate all’ergastolo e adesso, fortunatamente, assolte e scarcerate, le uniche ad avere ottenuto giustizia in questi 25 anni di delirio processuale.

E’ secondo noi un atto doveroso per la sua quota, marginale e minima di responsabilità morale, ma attiene alla sua coscienza individuale,che nessuno è autorizzato a sondare.

Tantomeno due giornalisti che qui si limitano a ribadire come sia  incoraggiante che a distanza di 25 anni nella ricerca della verità si passi dall’etica dell’intenzione a quella della responsabilità: ma cominciare (e probabilmente finire) dal pm Nino Di Matteo non ci sembra solo terribilmente ingiusto ma anche davvero grottesco.



Sandra Rizza e Giuseppe Lo Bianco (www.articolotre.com)







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