di Yari Riccardi - 15 marzo 2017


Sala piena di studenti, che hanno applaudito e si sono emozionati. Perchè le personalità presenti sul palco del Teatro Imperiale di Guidonia hanno dato vita a un incontro denso di contenuti, significati e di ideali. Con un messaggio che resta nella mente e nel cuore: «Non siate indifferenti su questi argomenti, sulla questione mafiosa. È l’indifferenza delle persone comuni che ha ucciso Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e tutti gli altri che hanno dato la vita per il nostro Paese, ancora prima del tritolo». Sono le parole del Sostituto Procuratore della Repubblica di Palermo Antonino Di Matteo a dare il senso dell’incontro organizzato dal Movimento Agende Rosse a Guidonia e moderato dal bravissimo Francesco Agosti. Parole che raccontano fatti, azioni e giornate di una vita dedicata alla lotta alla mafia. A fianco dell’ex pubblico ministero di Palermo – colui che ha iniziato ad indagare sulle stragi di mafia in cui sono stati uccisi Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e gli agenti delle rispettive scorte – il Procuratore della Repubblica di Tivoli Francesco Menditto e il dottor Ugo Montella, Vice Procuratore della Corte dei Conti Lazio, titolare dell’inchiesta su Mafia Capitale per ciò che riguarda la parte erariale. «Siamo qui per continuare a interrogarci – apre il moderatore Agosti – e chiederci i motivi di quanto è accaduto. Il Movimento Agende Rosse ha riunito negli anni donne e uomini uniti dalla stessa rabbia, quella di vivere in un Paese che non ha saputo e non sa difendere i suoi figli migliori. Doveva essere qui con noi anche Salvatore Borsellino».


L’incontro è stato aperto da Montella, che ha parlato di corruzione, un tema decisamente attuale a Guidonia in questi mesi. Una corruzione «che non è solamente scambio economico, quello è l’ultimo gradino. Stiamo parlando di un decadimento dei costumi e dell’etica, che investe tutti, anche me».

La parola è andata poi al procuratore Francesco Menditto, che ha parlato del senso dell’incontro – ed ha salutato il commissario prefettizio Alessandra Nigro, che ha partecipato indossando la fascia tricolore – ed ha raccontato ai ragazzi il lavoro che giornalmente svolge in Procura. «È nostro compito controllare il rispetto della legalità insieme agli organi di polizia giudiziaria». Menditto ha poi parlato di infiltrazioni criminali nel territorio, specificando come «le indagini ci confermano la presenza di associazioni e organizzazioni criminali. Da parte nostra c’è la massima attenzione, ma deve arrivare anche da voi». Tre le tipologie di criminalità, quella “associativa”, quella economica e quella nella pubblica amministrazione. «In Procura lavorano magistrati che si occupano di questi reati. Ciò che è necessario è non pensare che questi fenomeni siano problemi di altri: siete voi – dice Menditto rivolto agli studenti – a scegliere da quale parte stare.  Serve investire su cultura, professionalità e responsabilità».

 



 

Arriva poi il turno di Antonino Di Matteo, che inizia parlando di bellezza. E non può essere un caso. «Sono qui per la passione civile dimostrata da Francesco e dal padre, che sono venuti in Sicilia per propormi questo incontro, per la stima che nutro per i colleghi qui al mio fianco e per la bellezza di questi incontri: vi chiedo di imparare a vivere le istituzioni e a percepirne la presenza attraverso le persone che le rappresentano». Di Matteo trasporta il dibattito in un viaggio nella storia italiana degli ultimi 25 anni, parlando della “questione mafiosa” che non è problema solo del Sud «ma dell’intera nazione, e rappresenta la più grave forma di compromissione della democrazia nel nostro Paese. Non dobbiamo perdere la virtù della memoria, perché senza memoria rischiamo di avere uno Stato senza futuro». Il magistrato definisce “atti terroristici” gli attacchi mafosi degli anni ’90 – «qui è accaduto quello che non è avvenuto da nessuna altra parte» – e inizia a parlare delle «sentenze passate in giudicato sui rapporti tra Stato e mafia, soffermandosi poi sull’importanza della consapevolezza. «Occorre comprendere la centralità del problema. Non stiamo parlando solo della mafia che spara, ma anche di quella che ha la capacità di rapportarsi con chi agisce all’esterno della Cupola». Ritorna l’argomento della corruzione, «altra faccia della stessa medaglia della criminalità organizzata», e poi Di Matteo si rivolge direttamente agli studenti. «Non siate indifferenti su questi argomenti, sulla questione mafiosa. È l’indifferenza delle persone comuni che ha ucciso Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e tutti gli altri che hanno dato la vita per il nostro Paese, ancora prima del tritolo. La questione mafiosa riguarda tutti noi, è una forma di compromissione della democrazia. Si combatte lottando contro il disimpegno e la rassegnazione, perché le cose sono cambiate e possono cambiare ancora». Parla di un guado da attraversare ancora per metà il magistrato, per arrivare a quel salto di qualità che comporta l’impegno di tutti. «Se la politica è una cosa che in molti percepiscono sporca, è perché tanta gente perbene l’ha lasciata in mano a personaggi senza scrupoli». Contro quel “metodo mafioso” ormai diffuso non solo nelle organizzazioni criminali ma in tutto il Paese e a tutti i livelli, la risposta di Di Matteo è quella di una «rivoluzione culturale, che contrappone la democrazia alla mafia, il diritto al favore, l’impegno al disimpegno, il coraggio all’indifferenza. Affermare la legalità è una lotta di libertà e democrazia: non rassegniamoci a quello che non va». L’ultima parte del convegno è stata dedicata alle domande di alcuni dei presenti. Sono ritornate le parole Cultura/Responsabilità/Partecipazione ed è stata occasione per ascoltare gli ultimi interventi dei magistrati ospiti del Movimento Agende Rosse – grazie a Di Matteo abbiamo scoperto che l’ergastolo è l’unica pena che effettivamente spaventa i mafiosi, e che le stragi del 93 hanno rappresentato un ricatto allo Stato per intimare l’abolizione del “fine pena mai” – e per i ringraziamenti del commissario prefettizio Alessandra Nigro, che ha salutato gli ospiti omaggiandoli con una copia in miniatura della Triade Capitolina. Il resto lo hanno fatto gli applausi dei presenti, e la sensazione dolce di vivere in un Paese normale, uno Stato che non nasconde la polvere sotto i tappeti e che sa difendere i suoi cittadini. Che non si rassegnano a quello che non va, ma che lo combattono con l’impegno e con il coraggio. Il bello è stato averlo ascoltato. Fuori dal teatro è sembrato possibile riuscirci. O perlomeno iniziare a combattere l’indifferenza.

Yari Riccardi (
www.romaest.org)