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'Nell’omicidio Caccia coinvolti magistrati' PDF Stampa E-mail
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Scritto da Davide Milosa   
Giovedì 10 Marzo 2016 19:56
di Davide Milosa - 9 marzo 2016

La domanda del pubblico ministero è secca. Recita: “Chi ha ucciso il dottor Caccia?”. Chiara la risposta del collaboratore di giustizia Vincenzo Pavia: “Se parlo dell’omicidio Caccia devo coinvolgere carabinieri e magistrati, per il momento non mi sento sicuro”. È il 4 dicembre 1995. Bruno Caccia, ex procuratore capo di Torino, è morto già da 12 anni, ucciso la sera del 26 giugno 1983 in via Sommacampagna vicino casa.
VINCENZO PAVIA parla nel 1995, anno in cui il presunto boss della ’ndrangheta Mimmo Belfiore è già stato condannato in via definitiva all’ergastolo come mandante dell’omicidio. Trentadue anni dopo, l’Antimafia di Milano (Procura competente per i magistrati di Torino), coordinata dall’aggiunto Ilda Boccassini, arresta Rocco Schirripa detto Barca, medio calibro delle ’drine piemontesi. L’ordinanza riassume in 108 pagine il caso. Decisive le intercettazioni ambientali in casa Belfiore, una lettera anonima (scritta dalla polizia) dove si fanno i nomi degli esecutori (tra cui Schirripa), ma soprattutto gli interrogatori di Pavia, che è anche il cognato di Belfiore. Non tutti i verbali vengono riportati nell’ordinanza, ma solo quelli dove viene fatto il nome di Schirripa.
“Io – dice Pavia – non sono stato coinvolto nell’omicidio, avendo partecipato alle discussioni che lo hanno preceduto”. Tra gli esecutori materiali cita “Rocco Barca di cui non so dire esattamente il nome ma che potrebbe essere Rocco Schirripa”. Aggiunge che lo stesso temeva che dalle registrazioni (abusive) fatte in carcere da Ciccio Miano (collaboratore legato ai Servizi segreti) a Belfiore potesse uscire il suo nome. Tanto vale per la Procura e la Squadra mobile di Torino. Nessuna traccia, invece, del verbale in cui Pavia parla del “coinvolgimento di magistrati e carabinieri”. Di più: i contenuti di quell’interrogatorio (agli atti dell’indagine milanese) non saranno mai ripresi dai pm di Torino e nemmeno da quelli di Milano che 32 anni dopo ritengono Schirripa uno degli autori dell’omicidio. Eppure l’uomo del clan Belfiore già nel 1995 era stato chiaro: “Temo per la mia famiglia e non voglio far riaprire fascicoli chiusi, ci sono coinvolte molte persone, carabinieri e altri (...). Ho delle sorelle e dei fratelli, ho paura che gli succeda qualcosa”. E che Pavia possa sapere molto, lo conferma lui stesso: “Presi parte a discussioni per l’omicidio (...). E molti mesi prima ho partecipato a sopralluoghi per individuare Caccia”. Sopralluoghi fatti “anche con Placido Barresi”. Barresi, altro cognato di Belfiore, dal processo è uscito assolto.
I LEGAMI tra certi magistrati di Torino e l’entourage di Belfiore erano emersi all’inizio degli anni 80 con l’arrivo di Caccia a capo della Procura. In quel momento il milieucriminale è una rete che tiene dentro criminali locali, mafiosi e magistrati. Caccia lo comprende e oltre a tagliare i rami malati, avvia indagini che colpiscono interessi forti. Su tutti, quello che ruota attorno ai casinò e che apre la pista di Cosa nostra. Un’ipotesi che emerge dai fascicoli sul processo Caccia e dagli esposti dell’avvocato Fabio Repici (legale della famiglia del procuratore) che nell’estate 2015 danno avvio all’ultima inchiesta. Le parole di Pavia e il suo verbale dimenticato riportano così in primo piano queste piste, oltre a quella accertata giudiziariamente di Belfiore, per individuare i mandanti della dell’unico magistrato ucciso mafia nel Nord Italia.

Davide Milosa
























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