di Lorenzo Baldo - 3 marzo 2016
“Hanno vinto loro, si... hanno vinto loro”.
Angela Manca è affranta dalla notizia della decisione del Tribunale del Riesame di
lasciare in libertà l'eminenza grigia della criminalità mafiosa Rosario Pio Cattafi. Certo è che la scelta dei giudici peloritani (dopo la paradossale sentenza di appello) stupisce non poco. Mettendo assieme i dati salienti del “curriculum” di Cattafi è difficile credere alla “non attualità” del suo ruolo di capo della mafia di Barcellona Pozzo di Gotto. E allora forse ha ragione la madre di
Attilio Manca quando afferma che con questa decisione vince il potere. Che non è solo quello mafioso, ma è soprattutto quello “ibrido” di cui lo stesso Cattafi è una evidente manifestazione. “Qua non si tratta di una dichiarazione ma di una molteplicità di dichiarazioni misurate e anzi ridondanti provenienti da soggetti che non avevano bisogno di ulteriori accrediti – aveva dichiarato lo scorso 9 luglio il pg
Salvatore Scaramuzza durante la sua requisitoria, accompagnato dai sostituti procuratori della Dda
Vito Di Gregorio ed Angelo Cavallo, applicati
in appello al processo Gotha3 –. Davvero credete alla tesi del complotto? Non ritengo che vi siano dubbi sul ruolo apicale svolto da Cattafi che si è posto come uomo di vertice in grado di relazionarsi con le famiglie mafiose”.
“Un soggetto – aveva specificato il pg – che apparentemente vive nelle istituzioni ma che opera nella mafia come anello di congiunzione”. Quel giorno il procuratore generale aveva definito il boss una sorta di “motore apparentemente immobile”, in quanto considerato uomo chiave dei rapporti tra servizi, istituzioni e criminalità, accusandolo tra l'altro di riciclare denaro di Cosa Nostra. Non vanno dimenticate le pesanti minacce dello stesso Cattafi nei confronti dell'avvocato
Fabio Repici, difensore di numerosi familiari di vittime di mafia. Il 17 ottobre del 2015, durante un'udienza del processo Gotha3, il boss aveva chiesto di rendere dichiarazioni spontanee: “Avrei dovuto prendere a schiaffi l'avvocato Fabio Repici, mi pento di non averlo fatto. Auguro con tutto il cuore all'avvocato Repici di subire tutto quello che ha fatto subire ad altri”. Dichiarazioni che non avevano provocato alcuna reazione istituzionale, ma solo un'accorata solidarietà dai familiari delle vittime di mafia e dal mondo dell'associazionismo. Tra i collaboratori di giustizia che hanno parlato di Cattafi un occhio di riguardo va al pentito catanese
Maurizio Avola, killer prediletto di
Nitto Santapaola: “Tramite Cosa Nostra so chi è Saro Cattafi, ma di persona non lo conosco – aveva raccontato agli investigatori –. So, per quello che mi fu detto da
Calogero Campanella, che apparteneva ai servizi segreti, che scambiava favori con personaggi dei servizi, ci faceva dei favori, degli omicidi e loro ci facevano passare della droga, coprivano i reati, diciamo … questo io l’ho saputo nel febbraio 1994, tramite un trasferimento in aereo da Catania ad Ancona, ho viaggiato insieme a Calogero Campanella, che era il capo decina della famiglia Santapaola … eravamo tradotti tutti e due con l’aereo militare…”. Al di là della decisione del Tribunale del Riesame restano quindi le parole dell'avv. Repici che,
in un'accurata ricostruzione sul ruolo di Cattafi, ha contestualizzato la figura di quello che la stessa
Sonia Alfano, figlia dell'impavido giornalista ucciso nel '93, ha definito il “capo dell’organizzazione mafiosa che ha deciso ed eseguito l’assassinio di
Beppe Alfano”. “Fino a oggi Barcellona Pozzo di Gotto e il suo ruolo nel biennio stragista e trattativista di Cosa Nostra sono stati occultati da un incredibile cono d’ombra – ha scritto Repici qualche anno fa –. Vi hanno concorso soprattutto gli organi d’informazione, quella sedicente democratica e quella asservita agli apparati”. Quegli stessi “apparati” che, a detta del pentito
Carmelo D'Amico - in una sorta di collaborazione con lo stesso Rosario Cattafi -
hanno ucciso il giovane urologo barcellonese, Attilio Manca. “I poteri hanno vinto – scrive sulla pagina facebook
Gianluca Manca, fratello di Attilio –. Non credo più nella giustizia terrena, confido in quella divina che non mescola il puzzo della contiguità, del compromesso morale, dell'indifferenza, della complicità con la bellezza ed il fresco profumo di libertà”.
Lorenzo Baldo (AntimafiaDuemila)
In foto: i genitori di Attilio Manca, Angela e Gino
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