"Oggi, il generale
Mori e il colonnello
De Donno parlano di raffinata operazione di polizia giudiziaria a proposito dei colloqui con l'ex sindaco Vito Ciancimino, nel 1992. Fino a ieri pomeriggio, l'ha ribadito in un'intervista il capitano Ultimo. Ma nel 1998 dicevano ben altro i carabinieri davanti ai giudici di Firenze, parlando esplicitamente di trattativa". E' un avvio a sorpresa quello del pubblico ministero
Roberto Tartaglia che stamattina ha iniziato la seconda parte della requisitoria contro l'ex ministro
Calogero Mannino, imputato nel
rito abbreviato del processo per la trattativa Stato-mafia.
A Mannino viene contestato di avere avviato la trattativa con i boss, dopo l'omicidio dell'eurodeputato Dc Salvo Lima (marzo 1992): temendo di essere ucciso, si rivolse ai carabinieri del Ros (il maresciallo Guazzelli e il generale Subranni). Questa la tesi dei pm
Nino Di Matteo, Francesco Del Bene, Roberto Tartaglia e del procuratore aggiunto
Vittorio Teresi.
Dice Tartaglia davanti al giudice Marina Petruzzella: "Ai giudici della corte d'assise di Firenze, che si occupavano delle stragi del 1993, il generale Mori riferì le parole dette a Ciancimino. 'Ormai c'è un muro contro muro, da una parte Cosa nostra, dall'altra lo Stato'". Il pm commenta: "Mori aveva quasi i toni del buon padre di famiglia". Il generale proseguiva così a Firenze: "Non si può parlare con questa gente?". E la risposta di Ciancimino fu chiara: "Si può fare". Mori concluse in aula, era il 27 gennaio 1998: "Restammo che volevamo sviluppare questa trattativa".
Insiste il pubblico ministero: "Oggi dicono che fu una raffinata operazione di polizia giudiziaria, con un obiettivo dichiarato, arrendetevi senza condizioni. Non fu così. Ancora più chiare sono le parole che l'allora capitano Giuseppe De Donno riferì nel corso dello stesso processo, era la prima occasione in cui i carabinieri ne parlavano dopo che il boss Giovanni Brusca, appena pentito, aveva parlato dell'esistenza di una trattativa".
"De Donno fu meno prudente di Mori", chiosa il pm. "Disse: proponemmo a Vito Ciancimino di farsi da tramite per nostro conto con i vertici di Cosa nostra, per trovare un punto d'incontro. Ciancimino accettò con delle condizioni". All'epoca, fu lo stesso De Donno a dire che "al quarto incontro, Ciancimino portò notizie da Cosa nostra, spiegando che era stata accettata la richiesta di trattativa. Vogliono sapere cosa volete, questo disse Vito Ciancimino". All'epoca, De Donno precisò che di quei colloqui con Ciancimino "Mori ne parlò solo con il generale Subranni (il comandante del Ros)".
Tartaglia cita anche la sentenza dei giudici di Firenze, che stigmatizza la "trattativa" del Ros. E dice: "L'iniziativa del Ros non fermò le stragi, ma la deviò dai suoi obiettivi. Non più i politici, ma i magistrati". Il pubblico ministero definisce l'iniziativa del Ros come una iniziativa di "matrice politica occulta. Non fu di certo un'attività di polizia giudiziaria, non è neanche un'attività scriminata dal codice. Altro che presunta trattativa".
Secondo la procura, la prova di tutto ciò sta nel fascicolo di Vito Ciancimino trovato nell'archivio del comando Ros. "Non c'è un solo appunto, neanche criptato, sui colloqui fra i carabinieri e Ciancimino. Dall'aprile del 1992 a dicembre non c'è nulla. Poi, all'improvviso, il 18 dicembre, il giorno dell'arresto dell'ex sindaco compaiono degli articoli dei giornali".
Tartaglia porta a supporto della sua ricostruzione la testimonianza dell'allora comandante generale dell'Arma dei carabinieri, Viesti: "Disse che né lui, né il comando generale avevano mai saputo nulla dell'iniziativa di Mori". Anche l'allora direttore della Dia, il generale dei carabinieri Tavormina, ha confermato alla commissione antimafia: "Neanche noi sapevamo nulla. Se ne avessimo avuto sentore, avremmo fatto il diavolo a quattro, denunciando pubblicamente".
Di quel dialogo segreto con Ciancimino, i Ros non riferirono nulla neanche alla magistratura. "Però, intanto, il generale Subranni continuava a interloquire con Mannino - dice Tartaglia - E i carabinieri cercarono una sponda politica attraverso contatti con l'allora ministro della Giustizia Martelli e con l'allora presidente della commissione antimafia Luciano Violante".
Il testimone Massimo Ciancimino
Secondo la procura di Palermo, le dichiarazioni del figlio dell'ex sindaco che nel 1998 ha iniziato le sue rivelazioni sulla trattativa hanno "un'attendibilità parziale, ma significativa quanto all'oggetto perché testimone privilegiato". La procura annuncia che "riterrà attendibili le dichiarazioni di Ciancimino solo nei limiti in cui hanno avuto riscontri".
Lo smemorato Violante
Nel corso della requisitoria, il pm Roberto Tartaglia ripercorre le dichiarazioni tardive di alcuni uomini delle istituzioni a proposito di quei mesi del 1992. Solo dopo le dichiarazioni di Ciancimino, nel 2008, l'ex presidente della commissione antimafia Luciano Violante si è presentato alla procura di Palermo per riferire di un incontro con il generale Mori. L'ufficiale chiedeva un'audizione in Antimafia per Ciancimino. "Violante gli chiese se di quegli incontri con l'ex sindaco aveva parlato con l'autorità giudiziaria. Lui rispose in maniera netta: 'No, è stata tenuta all'oscuro, perché si tratta di un discorso politico'". Commenta il pm: "Neanche Violante all'epoca ritenne di dovere informare l'autorità giudiziaria". E sul testimone smemorato dice: "Questi sono gli uomini che gestiscono le transizioni politiche".
La dichiarazione di Violante fa dire alla procura: "Non ci possono essere più dubbi, i contatti del Ros non furono di polizia giudiziaria, ma di matrice e ispirazione politica".
Il ministro Nicola Mancino
"La catena dei ricordi tardivi si interrompe con l'allora ministro dell'Interno Nicola Mancino", dice Tartaglia. "E' una tomba della catena di recupero della memoria. E' il capolinea. Mancino dice di non sapere nulla di quella stagione, dice di non ricordare nulla. Però il 12 dicembre 1992 fece un'intervista al Giornale di Sicilia sostenendo che c'era una scissione in Cosa nostra, fra la corrente del violenti e quella dei morbidi, facenti capo a Provenzano". Tartaglia definisce l'intervista una "profezia" perché all'epoca nessuno sapeva di quella spaccatura. "Lo ha spiegato alla commissione parlamentare antimafia l'allora direttore della Dia Gianni De Gennaro, una vera autorità su questi argomenti. Ha spiegato che fra il 1992 e il 1993 Riina e Provenzano erano 'la stessa cosa', erano i 'corleonesi di Palermo' perchè all'epoca 'non c'era alcuna minima percezione di differenti posizioni fra Provenzano e Riina'".
Commenta il pm: "Nel 1992, solo Ciancimino sapeva di quella spaccatura, che aveva comunicato ai carabinieri del Ros".
La testimonianza di Pino Lipari
Chi invece ha ricordato con precisione, fin dal 2002, è stato uno dei più stretti collaboratori di Riina e Provenzano, Pino Lipari, un tempo era soprannominato il "ministro dei Lavori pubblici di Provenzano", oggi è un boss che ha fatto alcune dichiarazioni ai magistrati dopo il suo arresto. "Ha spiegato di aver saputo del papello da Antonino Cinà, il medico di Riina, e poi anche dallo stesso Ciancimino, durante una visita nella sua casa romana". Ciancimino spiegò a Lipari di aver consegnato l'elenco di richieste di Cosa nostra a un capitano dei carabinieri, Giuseppe De Donno. La stessa versione ha dato Massimo Ciancimino. I carabinieri sostengono invece di non avere mai ricevuto alcun "papello" da Ciancimino.
Le carte di Vito Ciancimino
Qualche dubbio c'è sulle rivelazioni di Massimo Ciancimino, la procura di Palermo non ha invece alcuna perplessità su alcuni scritti di Vito Ciancimino, ritenuti autentici dalla polizia scientifica, che ha fatto un esame sulla carta e la grafia. In quei documenti, consegnati da Ciancimino junior, l'ex sindaco di Palermo scriveva di Mori: "Mi ha detto di essere stato autorizzato". Annotava: "Sono ancora in attesa del passaporto promesso dal colonnello e dal capitano". Parlava di un incontro con Mori a giugno, quando invece Mori ha sempre sostenuto di aver parlato con Ciancimino solo dopo la strage Borsellino, dunque a fine luglio.
La trattativa di Paolo Bellini
Alla fine del 1992, un estremista di destra aveva iniziato ad avere contatti con un esponente del clan di Altofonte, Antonino Gioè, uno dei fidati sicari dei corleonesi. Attraverso di lui, fu proposto a un maresciallo del nucleo tutela patrimonio culturale la consegna di alcune opere d'arte rubate dai boss, in cambio dell'alleggerimento del carcere duro per alcuni capimafia. Quel maresciallo, ricorda Tartaglia, era Roberto Tempesta. Propose a Mori di proseguire i contatti con Bellini. Morì assicurò. Ma poi non se ne fece nulla. "E' la dimostrazione - dice Tartaglia - che la trattativa seguiva altri binari. Non quella degli infiltrati, per catturare latitanti o fermare le stragi. Era una trattativa che aveva mandanti e obiettivi politici. Anzi, il tentativo di infiltrazione di Bellini rischiava di mandare all'aria la trattativa vera, quella 'a più alto livello, con i potenti di Roma', come disse Gioè a Bellini". E dopo, Bellini temeva di essere ucciso. Lo riferì Tempesta nel 1997.
La requisitoria proseguirà il prossimo 11 dicembre. Il procuratore aggiunto Vittorio Teresi concluderà l'intervento della procura con la richiesta di condanna per Calogero Mannino.
A Mannino viene contestato di avere avviato la trattativa con i boss, dopo l'omicidio dell'eurodeputato Dc Salvo Lima (marzo 1992): temendo di essere ucciso, si rivolse ai carabinieri del Ros (il maresciallo Guazzelli e il generale Subranni). Questa la tesi dei pm Nino Di Matteo, Francesco Del Bene, Roberto Tartaglia e del procuratore aggiunto Vittorio Teresi.
Dice Tartaglia davanti al giudice Marina Petruzzella: "Ai giudici della corte d'assise di Firenze, che si occupavano delle stragi del 1993, il generale Mori riferì le parole dette a Ciancimino. 'Ormai c'è un muro contro muro, da una parte Cosa nostra, dall'altra lo Stato'". Il pm commenta: "Mori aveva quasi i toni del buon padre di famiglia". Il generale proseguiva così a Firenze: "Non si può parlare con questa gente?". E la risposta di Ciancimino fu chiara: "Si può fare". Mori concluse in aula, era il 27 gennaio 1998: "Restammo che volevamo sviluppare questa trattativa".
Insiste il pubblico ministero: "Oggi dicono che fu una raffinata operazione di polizia giudiziaria, con un obiettivo dichiarato, arrendetevi senza condizioni. Non fu così. Ancora più chiare sono le parole che l'allora capitano Giuseppe De Donno riferì nel corso dello stesso processo, era la prima occasione in cui i carabinieri ne parlavano dopo che il boss Giovanni Brusca, appena pentito, aveva parlato dell'esistenza di una trattativa".
"De Donno fu meno prudente di Mori", chiosa il pm. "Disse: proponemmo a Vito Ciancimino di farsi da tramite per nostro conto con i vertici di Cosa nostra, per trovare un punto d'incontro. Ciancimino accettò con delle condizioni". All'epoca, fu lo stesso De Donno a dire che "al quarto incontro, Ciancimino portò notizie da Cosa nostra, spiegando che era stata accettata la richiesta di trattativa. Vogliono sapere cosa volete, questo disse Vito Ciancimino". All'epoca, De Donno precisò che di quei colloqui con Ciancimino "Mori ne parlò solo con il generale Subranni (il comandante del Ros)".
Tartaglia cita anche la sentenza dei giudici di Firenze, che stigmatizza la "trattativa" del Ros. E dice: "L'iniziativa del Ros non fermò le stragi, ma la deviò dai suoi obiettivi. Non più i politici, ma i magistrati". Il pubblico ministero definisce l'iniziativa del Ros come una iniziativa di "matrice politica occulta. Non fu di certo un'attività di polizia giudiziaria, non è neanche un'attività scriminata dal codice. Altro che presunta trattativa".
Secondo la procura, la prova di tutto ciò sta nel fascicolo di Vito Ciancimino trovato nell'archivio del comando Ros. "Non c'è un solo appunto, neanche criptato, sui colloqui fra i carabinieri e Ciancimino. Dall'aprile del 1992 a dicembre non c'è nulla. Poi, all'improvviso, il 18 dicembre, il giorno dell'arresto dell'ex sindaco compaiono degli articoli dei giornali".
Tartaglia porta a supporto della sua ricostruzione la testimonianza dell'allora comandante generale dell'Arma dei carabinieri, Viesti: "Disse che né lui, né il comando generale avevano mai saputo nulla dell'iniziativa di Mori". Anche l'allora direttore della Dia, il generale dei carabinieri Tavormina, ha confermato alla commissione antimafia: "Neanche noi sapevamo nulla. Se ne avessimo avuto sentore, avremmo fatto il diavolo a quattro, denunciando pubblicamente".
Di quel dialogo segreto con Ciancimino, i Ros non riferirono nulla neanche alla magistratura. "Però, intanto, il generale Subranni continuava a interloquire con Mannino - dice Tartaglia - E i carabinieri cercarono una sponda politica attraverso contatti con l'allora ministro della Giustizia Martelli e con l'allora presidente della commissione antimafia Luciano Violante".
Il testimone Massimo Ciancimino
Secondo la procura di Palermo, le dichiarazioni del figlio dell'ex sindaco che nel 1998 ha iniziato le sue rivelazioni sulla trattativa hanno "un'attendibilità parziale, ma significativa quanto all'oggetto perché testimone privilegiato". La procura annuncia che "riterrà attendibili le dichiarazioni di Ciancimino solo nei limiti in cui hanno avuto riscontri".
Lo smemorato Violante
Nel corso della requisitoria, il pm Roberto Tartaglia ripercorre le dichiarazioni tardive di alcuni uomini delle istituzioni a proposito di quei mesi del 1992. Solo dopo le dichiarazioni di Ciancimino, nel 2008, l'ex presidente della commissione antimafia Luciano Violante si è presentato alla procura di Palermo per riferire di un incontro con il generale Mori. L'ufficiale chiedeva un'audizione in Antimafia per Ciancimino. "Violante gli chiese se di quegli incontri con l'ex sindaco aveva parlato con l'autorità giudiziaria. Lui rispose in maniera netta: 'No, è stata tenuta all'oscuro, perché si tratta di un discorso politico'". Commenta il pm: "Neanche Violante all'epoca ritenne di dovere informare l'autorità giudiziaria". E sul testimone smemorato dice: "Questi sono gli uomini che gestiscono le transizioni politiche".
La dichiarazione di Violante fa dire alla procura: "Non ci possono essere più dubbi, i contatti del Ros non furono di polizia giudiziaria, ma di matrice e ispirazione politica".
Il ministro Nicola Mancino
"La catena dei ricordi tardivi si interrompe con l'allora ministro dell'Interno Nicola Mancino", dice Tartaglia. "E' una tomba della catena di recupero della memoria. E' il capolinea. Mancino dice di non sapere nulla di quella stagione, dice di non ricordare nulla. Però il 12 dicembre 1992 fece un'intervista al Giornale di Sicilia sostenendo che c'era una scissione in Cosa nostra, fra la corrente del violenti e quella dei morbidi, facenti capo a Provenzano". Tartaglia definisce l'intervista una "profezia" perché all'epoca nessuno sapeva di quella spaccatura. "Lo ha spiegato alla commissione parlamentare antimafia l'allora direttore della Dia Gianni De Gennaro, una vera autorità su questi argomenti. Ha spiegato che fra il 1992 e il 1993 Riina e Provenzano erano 'la stessa cosa', erano i 'corleonesi di Palermo' perchè all'epoca 'non c'era alcuna minima percezione di differenti posizioni fra Provenzano e Riina'".
Commenta il pm: "Nel 1992, solo Ciancimino sapeva di quella spaccatura, che aveva comunicato ai carabinieri del Ros".
La testimonianza di Pino Lipari
Chi invece ha ricordato con precisione, fin dal 2002, è stato uno dei più stretti collaboratori di Riina e Provenzano, Pino Lipari, un tempo era soprannominato il "ministro dei Lavori pubblici di Provenzano", oggi è un boss che ha fatto alcune dichiarazioni ai magistrati dopo il suo arresto. "Ha spiegato di aver saputo del papello da Antonino Cinà, il medico di Riina, e poi anche dallo stesso Ciancimino, durante una visita nella sua casa romana". Ciancimino spiegò a Lipari di aver consegnato l'elenco di richieste di Cosa nostra a un capitano dei carabinieri, Giuseppe De Donno. La stessa versione ha dato Massimo Ciancimino. I carabinieri sostengono invece di non avere mai ricevuto alcun "papello" da Ciancimino.
Le carte di Vito Ciancimino
Qualche dubbio c'è sulle rivelazioni di Massimo Ciancimino, la procura di Palermo non ha invece alcuna perplessità su alcuni scritti di Vito Ciancimino, ritenuti autentici dalla polizia scientifica, che ha fatto un esame sulla carta e la grafia. In quei documenti, consegnati da Ciancimino junior, l'ex sindaco di Palermo scriveva di Mori: "Mi ha detto di essere stato autorizzato". Annotava: "Sono ancora in attesa del passaporto promesso dal colonnello e dal capitano". Parlava di un incontro con Mori a giugno, quando invece Mori ha sempre sostenuto di aver parlato con Ciancimino solo dopo la strage Borsellino, dunque a fine luglio.
La trattativa di Paolo Bellini
Alla fine del 1992, un estremista di destra aveva iniziato ad avere contatti con un esponente del clan di Altofonte, Antonino Gioè, uno dei fidati sicari dei corleonesi. Attraverso di lui, fu proposto a un maresciallo del nucleo tutela patrimonio culturale la consegna di alcune opere d'arte rubate dai boss, in cambio dell'alleggerimento del carcere duro per alcuni capimafia. Quel maresciallo, ricorda Tartaglia, era Roberto Tempesta. Propose a Mori di proseguire i contatti con Bellini. Morì assicurò. Ma poi non se ne fece nulla. "E' la dimostrazione - dice Tartaglia - che la trattativa seguiva altri binari. Non quella degli infiltrati, per catturare latitanti o fermare le stragi. Era una trattativa che aveva mandanti e obiettivi politici. Anzi, il tentativo di infiltrazione di Bellini rischiava di mandare all'aria la trattativa vera, quella 'a più alto livello, con i potenti di Roma', come disse Gioè a Bellini". E dopo, Bellini temeva di essere ucciso. Lo riferì Tempesta nel 1997.
La requisitoria proseguirà il prossimo 11 dicembre. Il procuratore aggiunto Vittorio Teresi concluderà l'intervento della procura con la richiesta di condanna per Calogero Mannino.