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Milano, tensione tra Bruti Liberati e Robledo: guerra in Procura su inchiesta Sea PDF Stampa E-mail
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Scritto da Marco Lillo   
Lunedì 17 Marzo 2014 22:08
di Marco Lillo - 15 marzo 2014

La pubblicazione delle carte dell’indagine per la turbativa d’asta sulla cessione della Sea, la società del comune che gestisce gli aeroporti di Milano, farà esplodere le polemiche che covano da tempo nella Procura di Milano. La spaccatura è profonda: da un lato il procuratore capo Edmondo Bruti Liberati e il procuratore aggiunto Francesco Greco, dall’altro il procuratore aggiunto Alfredo Robledo (nella foto, ndr), competente sui reati della pubblica amministrazione. Robledo si sente scavalcato dal suo capo che preferisce assegnare i fascicoli con i ‘suoi’ reati, contro la pubblica amministrazione, al pool reati finanziari diretto dall’aggiunto Greco. Le frizioni sono all’ordine del giorno: dal San Raffaele alla vicenda Ruby tris. L’indagine sulla presunta turbativa d’asta della Sea però ha tutti gli elementi della scintilla che scatena l’incendio. Quel fascicolo non solo è andato al procuratore aggiunto sbagliato ma è rimasto a dormire nel momento in cui avrebbe potuto dare grandi soddisfazioni ai pm. Tutto inizia il 25 ottobre del 2011 quando dalla Procura di Firenze arriva al protocollo per il procuratore capo di Milano un fascicolo con la trascrizione di un’intercettazione dell’amministratore di F2i Vito Gamberale che lascia intendere un tentativo di ottenere un bando di gara su misura per la gara Sea.


Il fascicolo non va a Robledo, competente sulle turbative, ma al procuratore aggiunto Greco che immediatamente lo affida al pm più esperto e stimato del suo pool: Eugenio Fusco e lo coaffida a sé stesso. Insomma i nomi dei pm e l’importanza della gara milanese (385 milioni) farebbero prevedere faville investigative. Il 6 dicembre, dopo che esce un’indiscrezione della Reuters sull’esistenza del fascicolo, Fusco, correttamente, se ne spoglia con una lettera a Bruti “al fine di valutare la competenza di altro dipartimento”. Bruti annuncia a Robledo che gli consegnerà il fascicolo, ma poi non lo fa. Eppure sarebbe il momento buono per fare le intercettazioni: sono i giorni della gara. Solo 3 mesi dopo, a seguito di una seconda fuga di notizie, il fascicolo plana finalmente sulla scrivania di Robledo . E’ il 16 marzo 2012, il giorno dopo la pubblicazione su L’Espresso di un articolo sull’esistenza dell’intercettazione dimenticata.


Ora che le carte sono pubbliche è molto probabile che la vicenda approdi al Consiglio Superiore della Magistratura. La trascrizione finora inedita del colloquio tra Gamberale e il suo braccio destro, Mauro Maia, carpita il 16 settembre, è stata trascritta in neretto dalla Finanza in questo passo:


Vito Gamberale (G)
: “Ecco ma fammi capire, dobbiamo capire come si aprirà questa gara”

Mauro Maia (M): “Sì ma eh, secondo me la gara sI aprirà che il comune dirà: faccio una gara per I’ingresso di un fondo”

G: ”Ecco ma bisogna capire che profilo chiederanno a questo fondo no?”

M: ”Si assolutamente dovranno…”

G: ”E secondo me questo lo devi… lo devi valutare con Roli (avvocato del comune di Milano, ndr) no?”

M: “Sì sì sì assolutamente”

G: ”Per vedere se noi possiamo rientrarci o come no?”

M: ”Sì sì ma questo lo faranno per noi insomma, è evidente che (incomprensibile)”

G: ”Sì però, però, ci devi lavorare Mauro eh!”

M: ”Sì sì sì ma questo è…”

G: ”Va bene?”

M: “Assolutamente assolutamente, non… io la farei restrittiva o istituzionale, italiano, non operativo, tutte quelle cose li no?”

G: ”Sì sì sì ma deve essere italiano, con soci istituzionali di lungo periodo, insomma che abbia un profilo tipo il nostro”

M: “Il nostro sì, uguale al nostro direi (ride, ndr)”

G: “Va bene”.


Secondo il pm Robledo l’intenzione di influenzare il bando per ritagliarlo su misura di Gamberale fallì per l’opposizione degli inflessibili dirigenti del comune. Anche se Gamberale, sempre per il pm, ottenne ugualmente il suo risultato intervenendo sui competitori. La Procura intanto si dimenticava di lui.


Marco Lillo (Il Fatto Quotidiano del 15 marzo 2014)






Milano, il pm anti corruzione accusa il capo della procura

di Luigi Ferrarella - 17 marzo 2014

MILANO. Nella Procura di Milano il vicecapo «denuncia» al Csm il capo. E nella gestione di due segrete nuove inchieste di tangenti, che si starebbero danneggiando a vicenda a causa della violazione dei criteri organizzativi di specializzazione tra i pool di pm, il procuratore aggiunto Alfredo Robledo indica l’ultimo dei «non più episodici comportamenti» con i quali, a suo avviso, il procuratore capo Edmondo Bruti Liberati (in foto) «ha turbato e turba la regolarità e la normale conduzione dell’ufficio». Come? Svuotando il pool reati contro la pubblica amministrazione di Robledo, e privilegiando invece l’assegnazione dei fascicoli più delicati in questa materia (tra i quali il processo Ruby a Silvio Berlusconi per concussione, l’indagine su Formigoni-San Raffaele per corruzione, e il fascicolo sulla turbativa d’asta Sea-Gamberale) ad altri due procuratori aggiunti di sua maggior fiducia, il capo dell’antimafia Ilda Boccassini e il capo del pool reati finanziari Francesco Greco.
Al punto che Robledo, con una iniziativa senza precedenti nella Procura che fu di Borrelli e D’Ambrosio, giunge a denunciare l’asserita «violazione dei criteri di organizzazione vigenti nell’ufficio sulla competenza interna» al Consiglio superiore della magistratura vicepresieduto da Michele Vietti, alla diramazione distrettuale milanese e cioè al Consiglio giudiziario guidato dal presidente della Corte d’Appello Giovanni Canzio, e al capo della Procura generale di Milano, Manlio Minale.
Un profluvio di circolari e risoluzioni del Csm, complesse tabelle e dettagliati criteri organizzativi d’ufficio sono il denominatore comune della missiva in cui Robledo di fatto lamenta l’aggiramento o la violazione delle regole che dovrebbero far passare da lui le notizie di reato rientranti nella competenza specializzata del suo dipartimento.
È il caso ad esempio del difetto di coordinamento che Robledo addita appunto in una nuova misteriosa inchiesta avviata dall’antimafia nell’aprile 2012, poi coassegnata a due pm dei pool di Boccassini e Robledo, ma (lamenta Robledo) fatta «per opportunità» coordinare da Bruti a Boccassini benché ad avviso di Robledo sembri riguardare nulla di mafia e tutto invece di corruzione. E siccome il pool di Robledo avrebbe in corso una precedente indagine su persone nel mirino anche di quella di Boccassini, «evidente è il rischio che importanti informazioni, quali quelle emerse da intercettazioni telefoniche e ambientali, non potranno essere utilizzate ove non confluiscano nel medesimo procedimento».
Ma a ben vedere il vero motivo di attrito con Bruti appare una differente concezione dei limiti entro i quali abbiano asilo considerazioni di opportunità nelle tempistiche e modalità di trattazione dei fascicoli. Lo si intuisce dal riassunto delle divergenze nel luglio 2011 all’inizio del procedimento sul dissesto del San Raffaele di don Verzé, partito come fascicolo di bancarotta su Daccò e sfociato poi nel processo per corruzione al presidente della Regione Formigoni, sempre ad opera del pool finanziario di Greco. Robledo, di fronte ad articoli di stampa che già nel luglio 2011 collegavano un giro di fatture false alla creazione di disponibilità per un importante politico, dice che propose al pool di Greco di coordinarsi subito per indagini urgenti, ma che Bruti, preoccupato che esse potessero influire sulle trattative economiche in corso per scongiurare il fallimento dell’ospedale e il licenziamento di migliaia di persone, il 25 luglio gli ingiunse di non indagare alcuno e di non svolgere alcun atto di indagine «nel frattempo», e cioè «fino a una riunione in settembre» (poi non più fatta). Questa scelta per Robledo si è posta «in insanabile contrasto con il dettato costituzionale dell’obbligatorietà dell’azione penale», aprendo a «valutazioni di opportunità estranee allo specifico ruolo istituzionale del pm»: soprattutto perché questi «non consentiti spazi di discrezionalità» avrebbero potuto «contribuire a creare zone di opacità», a loro volta passibili di «consentire una strumentalizzazione del ruolo del pm, sia pure involontariamente subìta».
Robledo contesta anche che l’iscrizione di Berlusconi il 14 gennaio 2011 per concussione e prostituzione minorile nel processo Ruby sia avvenuta in un fascicolo assegnato (senza motivazioni) non al proprio dipartimento competente sul più grave reato di concussione, ma ai pm Boccassini (capo dell’antimafia), Forno (capo del pool reati sessuali) e Sangermano (che dal pool criminalità comune stava passando all’antimafia). E contesta che lo stesso stia accadendo adesso anche per il fascicolo (falsa testimonianza e corruzione in atti giudiziari) scaturito dalle motivazioni delle sentenze Ruby riguardo 30 testimoni, Berlusconi e i suoi avvocati, e assegnato ai pm Forno e Gaglio (pool reati sessuali).
Infine c’è il già noto (Corriere della Sera 16 marzo 2012) caso dell’intercettazione di Vito Gamberale il 14 luglio 2011 sull’asta Sea-Comune di Milano, che i pm fiorentini Turco e Mione inviarono per competenza a Milano il 25 ottobre 2011 perché pareva captare un tentativo di far disegnare il bando su misura per il fondo F2i di Gamberale. È già noto che il 27 ottobre 2011 Bruti lo assegnò a Greco, il quale lo registrò nel modello «atti non costituenti notizie di reato» coaffidandolo il 2 novembre nel proprio pool al pm Fusco, che il 9 dicembre (sei giorni dopo le indiscrezioni di Reuters e Sole 24 Ore ) segnalò a Bruti che poteva trattarsi di un’ipotesi (turbativa d’asta) di competenza del pool di Robledo. Quello che invece ora Robledo aggiunge al Csm è che, sebbene il 9 dicembre Bruti lo avesse chiamato per anticipargli che gli avrebbe girato il fascicolo (anche perché l’asta da cui potevano dipendere i conti del Comune di Milano del sindaco Pisapia si teneva di lì a poco, il 16 dicembre), egli ricevette il fascicolo solo a distanza di tre mesi, il 16 marzo 2012, dopo che l’ Espresso online e i quotidiani avevano scritto del fascicolo desaparecido. E Robledo afferma che, quando ne chiese la ragione, Bruti il 23 marzo gli avrebbe risposto di averlo «dimenticato in cassaforte».

Luigi Ferrarella (tratto da: Corriere della Sera del 17 marzo 2014)











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