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Sebastiano Ardita: 'Di Matteo teme il Csm più delle minacce di Totò Riina' PDF Stampa E-mail
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Scritto da Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza   
Sabato 16 Novembre 2013 15:06
di Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza - 14 novembre 2013

ROMA - Totò Riina lo vuole morto, ma ”ciò che oggi più angoscia Nino Di Matteo (pm a Palermo, accusa nel processo Stato-mafia, ndr) è il procedimento disciplinare del Csm che risulta ancora in sospeso” rivela il procuratore aggiunto di Messina, Sebastiano Ardita, intervistato dal Fatto Quotidiano:

Dottor Ardita, lei che è il difensore di Di Matteo, può dirci come il pm della trattativa sta vivendo questo momento?
Lo sta vivendo ovviamente male perché deve condividere con la sua famiglia un disagio che, se potesse, riserverebbe solo a sé. Ma interiormente è tranquillo come sempre e vuole solo continuare il suo lavoro. Di Matteo è uomo di una foggia particolare, è un modello non più in produzione, perché per fortuna sono venuti meno gli eventi che l’hanno prodotto: appartiene alla generazione dei primi anni ‘ 90 arrivata a Palermo quando c’era Paolo Borsellino. Quella ‘ battezzata ’ col fuoco delle stragi. Avrà pensato tante volte che ci sarebbe stato un momento in cui il rischio si sarebbe fatto concreto. Ha scelto lui di seguire quella strada, e di certo nessuno vent’anni fa gli aveva garantito che fino a oggi non sarebbe morto più nessuno.

Per la sua esperienza di vicende relative a Cosa Nostra, cosa sta succedendo a Palermo?

Palermo sta rivivendo una strategia di tensione, dopo molti anni e in un mondo che non è più quello del 1992, ma nel quale la mafia continua a esistere e a coltivare interessi, pur senza dominare come un tempo. È come se fossimo a metà di un guado e la corrente volesse riportarci indietro. La cosa incredibile è che Di Matteo vive con grande serenità questa tragedia delle minacce, mentre vive con angoscia la vicenda del procedimento disciplinare ancora in sospeso nei suoi confronti.

Come mai il procedimento avviato dal Csm che accusa Di Matteo di aver violato “l’obbligo di riservatezza” nell’intervista concessa a Repubblica il 22 giugno 2012 sull’esistenza delle telefonate Mancino-Napolitano (peraltro già rivelata da Panorama) lo turba più delle minacce?
Perché è infinitamente innamorato delle istituzioni, come può esserlo solo chi è disposto ad andare avanti, anche quando il capo di Cosa Nostra giura che te la farà pagare. E quindi, mentre dei rischi che corre riesce a farsene una ragione, soffre all’idea che lo Stato, che serve in trincea come un soldato fedele, possa rimproverargli qualcosa. Forse questo è ciò che più d’ogni altra cosa lo fa soffrire.

Come mai questo procedimento disciplinare è ancora sub judice?
Fino a dopo l’estate, per quel che mi risulta, sono stati compiuti approfondimenti. Ma visto che adesso l’istruttoria appare conclusa, abbiamo chiesto che si proceda alla sua definizione. Non abbiamo mai chiesto – né ora né prima – nessun trattamento differente rispetto a quello che è riservato ad altri. Anche rispetto al merito del procedimento non vogliamo né favori né discriminazioni. Siamo disposti a difenderci davanti al Csm, e siamo fiduciosi che, se non ve n’è la ragione, chi di dovere non terrà sospesa invano la posizione di Di Matteo.

Perché Riina appare tanto innervosito dal processo sulla trattativa?
Perché evidentemente questa vicenda ha un enorme valore simbolico e anche i mafiosi a modo loro intendono tutelare la loro integrità dal sospetto di contaminazione con lo Stato.

Cosa pensa dell’analisi del procuratore di Palermo Francesco Messineo secondo cui le parole di Riina potrebbero essere utilizzate come un “alibi perfetto” da entità esterne a Cosa Nostra eventualmente interessate a promuovere azioni violente a Palermo?
Preferisco illudermi che si sia sbagliato clamorosamente. Ma lui è il procuratore di Palermo e se parla non può dire certo parole a caso. Ieri il vicepresidente del Csm Michele Vietti ha espresso solidarietà nei confronti Di Matteo. Ma a parte il governatore siciliano Rosario Crocetta, la presidente della Commissione antimafia Rosy Bindi e Rita Borsellino, nessun politico ha sentito il bisogno di fargli sentire la propria vicinanza.

Come giudica il silenzio delle istituzioni?
Non lo giudico. Io non giudico nessuno e quando nel mio lavoro devo dare giudizi, ogni giorno, lo faccio sempre senza confondere l’etica col diritto. Mi auguro solo che chi ha una coscienza oggi la faccia prevalere. Spero che quanti storcevano il naso dopo i primi allarmi di attentato, si accontentino di quel che ha detto Riina e non aspettino altre conferme per capire dove siamo arrivati.

Come valuta il fatto che il Cosp (Centro operativo soccorso pubblico) non ha ritenuto di dover rafforzare la scorta agli altri colleghi del pool sulla trattativa?
Non so quale livello di protezione abbiano, ma sicuramente quanto a pericolo stanno un po ’ tutti sulla stessa barca. E inoltre danno l’immagine di una squadra coesa, fatta di persone serie e determinate. Più volte l’aggiunto Vittorio Teresi nelle sue analisi pubbliche ha introdotto le categorie di uno Stato-Stato e di uno Stato-mafia che convivono all’interno delle istituzioni. Lei condivide questa analisi? Io credo nello Stato, uno laico e indivisibile. Ma credo anche che ci siano stati dei traditori, anche organizzati. Il risultato non cambia molto.


Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza (Il Fatto Quotidiano)












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