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'Un politico a disposizione di Cosa nostra' PDF Stampa E-mail
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Scritto da Rino Giacalone   
Venerdì 03 Maggio 2013 20:13
di Rino Giacalone - 3 maggio 2013

I pm Tarondo e Guido, della Dda di Palermo, hanno cominciato a parlare dinanzi al gup Francolini, esponendo la requisitoria nel processo dove è imputato di concorso esterno in associazione mafiosa il parlamentare del Pdl trapanese, sen. Tonino D’Alì, ex sottosegretario all’Interno, ex presidente della commissione Ambiente del Senato, oggi, tornato a sedere a Palazzo Madama e mandato, su designazione del presidente del Senato Pietro Grasso, che lo ha avuto proposto dal gruppo Pdl, a fare il vice presidente della commissione euro mediterranea. Il senatore D’Alì oggi era assente, non era in Tribunale a Palermo, almeno lui, al contrario di Berlusconi non ha invocato il legittimo impedimento per chiedere un rinvio del suo processo, l’udienza si è svolta senza l’imputato ma a porte chiuse. C’era una possibilità che l’udienza fosse pubblica, la stampa (un solo giornalista per la verità) aveva chiesto di potere assistere alla fase della discussione, requisitoria oggi e il 24 maggio, intervento delle parti civili e a seguire le arringhe, il 14 e 21 giugno, ma la difesa del senatore si è opposta, e la sua opposizione secondo il codice è vincolante per la decisione del giudice nel caso dei procedimenti di questo genere.
Il risultato di questo stato di cose è stato ovviamente a favore dell’imputato, del suo processo anche oggi i più tra i mass media, quando pure hanno deciso di parlarne lo hanno fatto ripetendo quello che sempre si è detto, e cioè il rapporto di lavoro intrattenuto dai mafiosi Messina Denaro con D’Alì e la fittizia vendita di un terreno, dando spunto alla difesa di diffondere un comunicato a ribadire che gli elementi così citati risultano smentiti, i titoli di tg e siti internet riguardanti Trapani per la maggior parte hanno trattato come rilevanti notizie della giornata la creazione di una maxi cassata, le regate veliche che tanto piacciono ai trapanesi, anche quando sono dei flop, la consegna di statuette a riconoscimento dell’impegno a favore della città, riconoscimento che nel tempo è stato attribuito a imprenditori che proprio di recente sono stati scoperti essere diventati potenti grazie alla mafia e non solo alla mafia. Anche nel loro caso, nel caso di questi imprenditori, come di altri, c’entra il senatore D’Alì, almeno a seguire quello che i pm dicono del processo in corso contro l’autorevole politico trapanese. Per il processo contro il senatore D’Alì solo silenzi, e tanti sono pure contenti.
E’ lo scenario trapanese che il pm Paolo Guido non ha mancato di evidenziare nella sua requisitoria. E’ lo scenario di una città che anche davanti ai morti ammazzati ha negato ieri l’esistenza della mafia mentre Cosa nostra stringeva alleanze di ferro con la politica, l’impresa, l’economia, avendo come amlagama la forte presenza della massoneria, e oggi la stessa città racconta che la mafia è sconfitta mentre invece questa alleanza è diventata inossidabile, ha portato grandi guadagni nelle casseforti dei boss, eppure dopo arresti, condanne e confische si sente dire che la mafia esiste perché esiste l’antimafia, e i boss magari mandano pure a ringraziare, agevolati come sono nell’opera di sommersione che qui, nel trapanese è riuscita benissimo, così bene che si conoscono i nomi dei mafiosi e dei loro complici ma ugualmente questi, se non fosse per magistrati e forze dell’ordine, potrebbero vivere indisturbati, grazie ad una società civile incredibilmente silenziosa nella sua larga maggioranza, e così l’ultima delle uscite a ridimensionare e ad escludere la presenza della mafia a Trapani è stata quella di chi, tra i politici, anche di nuova manifattura, come l’attuale sindaco Vito Damiano, ha chiesto di non parlare di mafia a scuola ed ha protestato contro i mass media che prendendo spunto dall’ultimo dei sequestri che hanno colpito le finanze di imprenditori cresciuti con la caratura mafiosa, hanno parlato non certo bene della città. Si è tornati indietro negli anni quando si diceva che i giornalisti raccontando della mafia trapanese facevano un danno alla città, negando l’evidenza che semmai è la mafia, ieri come oggi, a fare male a Trapani.
Al centro di questo scenario il pm Guido ha posto il senatore D’Alì. “E’ mancata la prova della sua organicità a Cosa nostra – ha detto – e quindi non si è potuti contestare l’associazione mafiosa, ma nel processo ci sono tutta una serie di elementi che provano la sua disponibilità, diretta o indiretta, a favorire la mafia trapanese”. Fatti che il pm ha genericamente elencato, dal sostegno elettorale alla vendita fittizia di un terreno per coprire una operazione di riciclaggio, dal favorire l’assegnazione di grandi appalti, all’acquisto di immobili da inserire nel patrimonio dello Stato, edifici comprati da imprenditori mafiosi diventati sedi di caserme dei carabinieri, il trasferimento nel 2003 da Trapani di un prefetto sgradito ai mafiosi, Fulvio Sodano, l’assegnazione di finanziamenti per la costruzione di residence turistici a imprese segnalate dalla mafia.
Il primo tema toccato è stato quello del sostegno elettorale. Nel 1994 ha riferito il pentito Sinacori, l’ordine di Messina Denaro fu quello di votare Forza Italia. Non ci fu bisogno di indicare il nome del candidato, all’epoca c’era il maggioritario e al Senato il candidato unico era Tonino D’Alì. Un altro pentito, Giovanni Ingrasciotta, ha raccontato che di notte c’erano squadre organizzate dai mafiosi che battevano la provincia in lungo e in largo per evitare che i manifesti elettorali del candidato D’Alì venissero coperti. La consegna di quei 300 milioni di vecchie lire fatta dal gioielliere e poi pentito Francesco Geraci ad Antonio D’Alì, all’epoca non ancora eletto senatore, per la compravendita di un terreno, che Geraci aveva comprato su ordine di Messina Denaro, il pm Guido l’ha inserita oltre che nel capitolo dell’episodio di riciclaggio di denaro, anche all’interno di un quadro elettorale. Ricostruendo questa circostanza non ha fatto meno di sottolineare al giudice una circostanza temporale, cioè quella che la consegna di denaro da parte di Geraci a D’Alì, avvenuta attraverso assegni a sua firma, avvenne in prossimità delle elezioni nazionali del 1994, quelle dove Tonino D’Alì fu candidato per la prima volta. Successivamente D’Alì restituì in diverse tranche quel denaro, la sua difesa ha sostenuto che ci si accorse che quel terreno era stato già pagato due volte, Geraci ha riferito che lui stesso è andato a prendere quei soldi, e talvolta andarono a prendere quei denari da D’Alì, o da suo fratello Pietro, anche i suoi fratelli Andrea e Tommaso Geraci, che non sono pentiti, anzi hanno rinnegato il fratello per la sua collaborazione con la giustizia, ma dinanzi ai pm che li hanno interrogati non hanno potuto negare l’evidenza.
Si continua il 24 maggio quando toccherà parlare al pm Andrea Tarondo, il magistrato che da 10 anni insegue le potente connessioni a Trapani, che di recente ha subito una strana intrusione nella sua blindata che sebbene posteggiata dentro al parcheggio del Palazzo di Giustizia ha subito una effrazione come se qualcuno avesse voluto piazzarvi dentro una cimice. Opera da menti raffinate, quelle che la mafia trapanese ha sempre avuto a propria disposizione.

Rino Giacalone (
www.malaitalia.it, 3 maggio 2013)












 

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