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Cattafi, il perché dell'annullamento e del rinvio della sentenza del Riesame PDF Stampa E-mail
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Scritto da Nuccio Anselmo   
Martedì 05 Febbraio 2013 22:24
di Nuccio Anselmo - 5 febbraio 2013
Il tribunale del Riesame che il 10 agosto scorso confermò la misura custodiale a carico dell’avvocato Rosario Cattafi, arrestato nell’ambito dell’operazione antimafia “Gotha 3″ perché ritenuto il capo assoluto della mafi a barcellonese, è incorso in un”vizio di motivazione” su alcuni punti specifici che la difesa aveva prospettato nel suo ricorso: le sentenze del processo sull’autoparco di Milano, l’utilizzabilità delle dichiarazioni rese dai pentiti in relazione alla proroga delle indagini preliminari, il mancato incontro Bisognano-Cattafi, le dichiarazioni del collaborante etneo Di Fazio. Per tutto il resto invece, a cominciare dalle contestazioni difensive sulle esigenze cautelari e sulla violazione di legge, si è di fronte ad una adeguata trattazione e motivato, quindi il ricorso va respinto in questa parte. Ecco il “cuore” della sentenza con cui la prima sezione penale della Cassazione nel dicembre scorso ha accolto il ricorso di uno dei suoi difensori, l’avvocato Giovambattista Freni, che lo assiste insieme al collega Giuseppe Carrabba, ed ha annullato con rinvio il precedente pronunciamento del Riesame peloritano, che aveva confermato integralmente l’ordinanza di custodia cautelare “Gotha3″ a carico del legale barcellonese, siglata dal gip Massimiliano Micali su richiesta del pool della Distrettuale antimafia.
In ben quattordici pagine molto attese e dense di concetti giuridici che la “Gazzetta” ha letto, vengono esaminati i punti su cui il Riesame dovrà nuovamente pronunciarsi (ma la data del nuovo esame non pare sia stata ancora fissata). Scrive infatti il relatore del provvedimento, il giudice Massimo Vecchio, che “… il Tribunale, infatti, ha omesso di dar conto dei motivi della decisione sui punti investiti dalle deduzioni del ricorrente”. Ed ecco i punti in cui, secondo la Cassazione, il Riesame non ha adeguatamente motivato. Il primo è legato ” . . . alle preclusioni costituite dalla sentenze del giudice istruttore di Milano 30 luglio 1986 e, soprattutto, dalla Corte di appello di quella stessa sede 20 maggio 2009 (si tratta del famoso processo sull’autoparco di Milano in cui fu coinvolto, e poi assolto, Cattafi,n. d.r.), essendosi il Collegio limitato a negare affatto genericamente – e pertanto, con motivazione meramente apparente -, la sovrapponibilità (anche parziale) delle contestazioni, trascurando di analizzare i capi di imputazione delle sentenze de quibus in raffronto all’addebito associativo enunciato nella ordinanza coercitiva e di illustrare la ritenuta diversità del fatto accertato, sul piano della gravità indiziaria, nella sede delpresente incidente cautelare”.
Secondo la Cassazione sussiste il vizio di motivazione anche in relazione ad altri punti trattati dal Riesame: alla verifica sulla utilizzabilità delle dichiarazioni rese dai pentiti nel corrente anno (si tratta del 2012, n.d.r.) in relazione alla proroga del termine per le indagini preliminari; alla mancata presa di contatto tra il ricorrente e Bisognano, latore del messaggio di Ercolano; al richiamo operato “seppur fuggevolmente e in forma di litote” (è una figura retorica d’origine greca, che consiste nella formulazione attenuata di giudizio o di un’idea attraverso la negazione del suo contrario, n.d.r.), sulle dichiarazioni del collaborante etneo Umberto Di Fazio, mentre invece secondo il gip Micali le sue dichiarazioni hanno avuto notevole rilievo e sono state definite di “portata dirimente” nell’ordinanza di custodia cautelare; ed ancora i giudici del Riesame peloritano avrebbero omesso in relazione alle propalazioni de relato riferite da Bisognano e da Castro”.
Finiscono qui le “censure” mosse dalla Cassazione ai giudici del Riesame, che hanno generato l’annullamento con rinvio per nuovo esame anche su richiesta del procuratore generale Alfredo Montagna che ha esplicitato durante la trattazione del ricorso nel dicembre scorso.
Per tutto il resto delle “contestazioni” difensive sulla posizione dell’avvocato barcellonese dopo il pronunciamento del Riesame, si è registrato quindi un “no”. I giudici della Cassazione definiscono per esempio “manifestamente infondate” le “residue censure del ricorrente anche in punto di esigenze cautelari”, e spiegano che il che “non ricorre” il vizio della violazione di legge, nè sotto il profilo della inosservanza nè sotto il profilo della erronea applicazione; ed ancora che non sono accoglibili le contestazioni di omessa verifica della prescrizione del reato e di qualificazione della condotta, questo perché a carico di Cattafi “… la permanenza della condotta associativa risulta, infatti, contestata fino all’attualità. E la enunciazione del fatto corrisponde alla fattispecie del delitto addebitato”. Uno dei passaggi chiave che il riesame nella nuova trattazione dovrà affrontare per motivarlo meglio è forse legato al colloquio che il boss dei Mazzarroti, oggi pentito, Carmelo Bisognano, ha riferito di aver avuto in carcere con il mafioso catanese Aldo Ercolano, con quest’ultimo che gli avrebbe consegnato un “messaggio” (la cosiddetta “imbasciata”) da riferire poi, una volta uscito di cella, all’avvocato Cattafi. Questo incontro Bisognano-Cattafi, che in un certo senso serve ad attualizzare la sua “appartenenza mafiosa” per l’accusa, non si tenne, ma la questione era stata superata dai giudici del Riesame in una maniera ben precisa (“… Bisognano … una volta scarcerato, essendo “oggetto di attenzione da parte delle forze dell’ordine”, comprensibilmente adottò le cautele del caso perprendere contatto con Cattafi, evitando di recarsi “direttamente”"). Dal luglio scorso la posizione processuale dell’avvocato Cattafi si è parecchio evoluta, fino ad arrivare alla veste di “testimone assistito” alle udienze scorsa del processo Mori-Obinu che si celebra a Palermo, dove per oltre quattro ore nel corso della sua deposizione, nei mesi scorsi, il legale ha ribadito alcuni concetti-chiave già espressi sulla trattativa Stato-mafia. Cattafi infatti all’indomani dell’arresto aveva fatto alcune clamorose dichiarazioni sulla trattativa Stato-mafia, in prima battuta ai sostituti della DDA peloritana Vito Di Giorgio e Angelo Cavallo, e poi all’ormai ex procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia e ai sostituti della DDA palermitana. Lunghi colloqui, e verbali, nel corso dei quali aveva raccontato una serie di fatti clamorosi, per esempio del suo incontro nel giugno del 1993 con l’allora vice capo del Dap Francesco Di Maggio a Messina, in un bar, inseme ad alcuni carabinieri del Ros, e del tentativo di Di Maggio di “mandare un messaggio” per suo tramite al boss etneo Nitto Santapaola, con l’intento di chiudere la stagione nerissima, insanguinata, e devastante delle stragi mafiose.

NUCCIO ANSELMO – GDS del 5 febbraio 2013



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