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Voci contro la mafia: Pippo Giordano, il sopravvissuto PDF Stampa E-mail
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Scritto da Claudia Bertanza   
Venerdì 16 Novembre 2012 09:31
67841_434376913290653_2118618644_nGiuseppe -Pippo- Giordano è un ex ispettore della DIA (Direzione Investigativa Antimafia) di Palermo, uno che è stato in prima linea nella lotta a Cosa Nostra negli anni Ottanta. Oggi è in pensione, è un nonno felice che gira l’Italia, andando nelle scuole a parlare di criminalità organizzata e legalità, di Falcone e e Borsellino, della sua esperienza e dei suoi colleghi uccisi dalla mafia. E la sua esperienza è diventata un libro, dal titolo “Il sopravvissuto”, uscito quest’anno, per le Edizioni Castelvecchi. Ho contattato Pippo su Facebook ed ha accettato di rispondere ad alcune domande.

1) Come e perché è nata l’idea di questo libro?
L’idea del libro è nata dal forte desiderio di far conoscere, attraverso la mia storia, il fenomeno mafioso in Sicilia, chiamato Cosa nostra. Ho ritenuto doveroso raccontare parte della mia vita privata per far comprendere come la mia crescita, prima e del lavoro poi, sia stata intrisa di becera violenza. E nel farlo ho evidenziato il grande sacrificio di Uomini che hanno pagato con la vita. Ricordo per tutti Falcone, Borsellino e Cassarà.

2) Tu vai nelle scuole a parlare di mafia e legalità. Ti sembrano interessati i giovani d’oggi, tanto bistrattati e accusati di essere indifferenti a tutto?
Sino ad ora, credo di aver avuto contatti con 4000/4500 studenti di ogni ordine e grado e posso affermare che non è assolutamente vero che i giovani siano indifferenti al problema mafia. Anzi, il contrario. E di questo vorrei ringraziare tutti gli insegnanti, che con professionalità e abnegazione compiono davvero un’ opera formativa d’eccellenza. Constato, durante le mie “lezioni” (assolutamente gratuite), un’attenzione e un silenzio, tipici di chi è interessato a capire il fenomeno mafioso: dire che non vola una mosca non è esagerato. E poi amo dire ai ragazzi che loro non sono affatto il futuro, ma un presente che dev’essere partecipativo.

3) Cosa ti chiedono? C’è qualche episodio che ti è rimasto particolarmente impresso?

Le cose che mi chiedono variano secondo la loro l’età. La domanda più gettonata è se avevo paura, se Cosa nostra ha mai tentato d’uccidermi e se rifarei nuovamente quel che ho fatto. Ma direi che quasi tute le domande vertono su come è strutturata la mafia, su Falcone, Borsellino e i miei colleghi uccisi. Quello che più mi ha colpito è stato quando una ragazza mi ha chiesto del piccolo Giuseppe Di Matteo, strangolato e sciolto nell’acido. Premetto che sto sempre attento a non trasmettere le mie emozioni e a essere  distaccato durante i racconti, ma quel giorno quella domanda aveva risvegliato in me tutta l’amarezza di non aver saputo salvare la vita a Giuseppe, perchè m’ero avvicinato al covo dove lo tenevano prigioniero… Ho tentennato a rispondere e questo ha creato un gelo nell’aula magna, ma dopo essermi ripreso, ho iniziato a lumeggiare il bambino e i carnefici. E mentre lo facevo, in un’aula assorta, ho notate alcuni ragazzi e ragazze che lacrimavano. L’atroce morte di Giuseppe Di Matteo li aveva commossi.

4) Parliamo della tua vita professionale: quando e perché hai lasciato Palermo?
La verità è che non ho lasciato Palermo, me l’hanno fatta lasciare e comunque, ufficialmente c’è stata una partenza per motivi di sicurezza, ma invero non sono mai “andato”; ho lavorato sotto copertura sino al maggio 1985, periodo effettivo di allontanamento della mia città. L’aria di Palermo era diventata irrespirabile, dopo l’assassinio di Lillo Zucchetto, componente della mia pattuglia.

5) In questi giorni (ieri, n.d.r.) ricorre l’anniversario dell’assassinio di Calogero Zucchetto, un tuo collega ucciso da Cosa Nostra. Hai un ricordo che vuoi condividere con noi?
Calogero “Lillo” Zucchetto, oltre ad essere un collega, era diventato un mio carissimo amico. Una delle cose che mi preme evidenziare è la grande onestà dimostrata da Lillo e il suo sorriso: ho visto poche volte Lillo serio o arrabbiato e guardate che aveva, talvolta, ben donde di esserlo. Ci tengo molto a rimarcare che, dopo la morte di Lillo, Cosa nostra ha messo in giro la voce che l’omicidio era stato originato da una relazione con una donna sposata. Io stesso, ho raccolto la “voce” nella Palermo bene, compreso il  nome di una donna causa del delitto: un’ infamante accusa; del resto era il tipico comportamento dei mafiosi, ossia “uccidere” nuovamente la vittima. Le mie riservate indagini, anche tramite il telefono intercettato della donna indicata quale movente dell’omicidio, m’hanno consentito di affermare che le accuse erano totalmente infondate.

6) Hai visto morire tanti tuoi colleghi. Hai mai avuto paura di essere ucciso anche tu?
Sì che avevo paura e anche tanta. A volte quando mi recavo al lavoro, la domanda che mi ponevo era sempre la stessa: rientrerò a casa da mia moglie e dai miei figli? Eppure dovevo andare avanti, c’erano le indagini, c’erano i telefoni intercettati da ascoltare, i pedinamenti e gli appostamenti. Insomma ero talmente assorbito che la paura svaniva, non c’era tempo per pensarci. Non è un’esagerazione quando dico che avevo anche gli occhi dietro la nuca, soprattutto quando nel silenzio della notte facevo rientro a casa. Ero vigile, pronto ad ogni evenienza, soprattutto  non mi fidavo delle apparenze e non avevo fiducia di nessuno. Una notte, nel rientrare a casa, noto davanti la mia abitazione un furgone mai visto prima. Non mi fermo, proseguo la marcia e abbandono l’auto distante dal furgone. Con cautela mi avvicino e do un sonoro calcio allo sportello: nessuno era nascosto all’interno e sono andato a dormire.

7) Secondo te cos’hanno in comune la Palermo di ieri e quella di oggi?
Quasi tutto: non è cambiato nulla. Vado spesso a Palermo e tutti questi cambiamenti, rispetto al passato, non le colgo. Anzi per certi versi è peggiorata. Quando ero ragazzo non c’era tutta questa immondizia per strada, non c’era l’illegalità diffusa come oggi. Era impensabile vedere strade e marciapiedi occupati in pianta stabile da venditori di frutta e altra mercanzia o auto parcheggiate persino in triplice fila. Un paio d’anni fa ho scritto queste cose su un giornale online palermitano. Ebbene in tanti si sono offesi. Due delle tante cose che non sopporto della mia città sono la radio a tutto volume delle auto, anche nel cuore della notte e trasportare in auto i bambini senza seggiolino.

8) Si sono fatti dei passi avanti nella lotta alla mafia?
Certamente sì! Ma che prezzo abbiamo pagato? Quante vite umane abbiamo sacrificato per ottenerlo? Oggi, purtroppo, non possiamo affermare di aver vinto Cosa nostra, ma l’abbiamo notevolmente indebolita. E di questo successo dobbiamo ringraziare, poliziotti, carabinieri e magistrati, che con encomiabile impegno riescono ad ottenere dei buoni risultati. Ora sta nell’intelligenza e nell’onestà di chi governa questo Paese  non buttare all’aria le strutture investigative che assicurano il successo contro le mafie.

  9) Falcone diceva che la mafia è un fenomeno umano e come tale avrà una fine. Sei d’accordo? Vedi la fine delle mafie?
Non sono per niente d’accordo. La diversità di opinione tra me e Giovanni Falcone nasce dalla visione diversa del fenomeno mafia. Noi due siamo cresciuti in quartieri diversi e mentre Falcone da bambino/ragazzo non ha avuto le conoscenze di capi e gregari di Cosa nostra, io  invece le ho avute. Egli  ha espresso una valutazione basandosi sulle carte processuali. Invero, poiché sono cresciuto a pane e mafia, la mia valutazione dissente proprio per la conoscenza sul campo del fenomeno. E aggiungo, che ancora oggi nell’opinione della gente è  viva la tendenza di ossequiare ed anche rivolgersi per favori, al mafioso locale. Però, mi sento di dire che se i politici di qualsiasi colore, adoperassero una semplice parolina che si chiama moralità, non disgiunta dall’etica, allora sarei felice d’essere d’accordo con Giovanni Falcone: la mafia potrebbe crepare.

10) E’ appena iniziato il processo sulla trattativa stato-mafia. Cosa ti aspetti da questo processo?
Non mi aspetto nulla, del resto è da tempo che lo affermo. “ Tutti assolti per non aver commesso il fatto” Lo Stato, nei fatti di mafia, non si farà condannare. La verità sulla trattativa Stato-mafia è nota persino nei dettagli….. e quindi la verità processuale non arriverà mai.


da: LaSpeziaOggi.it

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