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Caro Salvatore, voglio fare il magistrato PDF Stampa E-mail
Rubriche - Le vostre lettere
Scritto da Elena Marchili   
Giovedì 26 Luglio 2012 13:24
Caro Salvatore, 
Che giornate emozionanti, che sensazioni magnifiche che ho vissuto a Palermo, come ho detto ai miei genitori e ai miei amici, "i più emozionanti della mia vita". Sono stati giorni importanti perché mi hanno dato la carica, ho dormito pochissimo, eppure l'adrenalina mi ha dato la forza per andare avanti, per non fermarmi e crollare vinta dalla stanchezza, in quei giorni mi sono sentita viva, ho visto tante altre persone che come me credono nella giustizia, che stavano lì a manifestare per Paolo, per i suoi angeli e per tutte le vittime della mafia. Caro amico, in questi giorni ho trovato la forza che mi servirà in ogni momento della mia vita per affrontare i problemi che mi capiteranno, ho visto occhi pieni di speranza, il mio sguardo si è incontrato con quello di Antonio Vullo, quegli occhi brillanti, profondi, desiderosi di giustizia, che hanno visto compiersi una strage, che conservano dentro ancora il colore delle fiamme, e del fumo che, quel 19 luglio di vent'anni fa, ha avvolto via d'amelio ed ha cambiato la vita di tante persone, quel fuoco che per molti ha significato la fine, quello stesso che, purtroppo, per altri non è stato altro che fumo, molti dimenticano, ma ti prometto che finché vivrò non lo dimenticherò mai.
I miei occhi si sono incontrati con quelli di Vincenzo Agostino, il papà di Nino, ho visto un uomo vecchio che non ha perso la speranza, che continua con forza la sua lotta per la verità, ho visto un padre che ama suo figlio, che l'ha sempre amato, che non si da pace perché è innaturale per un genitore dover seppellire il proprio figlio giovane, morto ammazzato da dei criminali, un giovane che aveva una vita davanti, che stava costruendo la sua famiglia, come diceva Guccini in una canzone: "... resta amara e indelebile la traccia aperta di una ferita...". 
 
Caro amico, Palermo è una città piena di ferite, che si è vistra strappare tanti figli, è una madre che soffre, molti sono partiti, sono andati via per cercare di costruirsi un futuro migliore lontano, per cercare delle opportunità che la loro terra in quegli anni, come adesso, non è in grado di offrirgli, alcuni sono morti, uccisi dalla mafia, vittime di una società profondamente sbagliata, che non cerca mai di migliorare le cose, che non si batte disperatamente per distruggere le parti malate del suo sistema, quelle parti che poi, come metastasi di un cancro, si diffondono in tutto il corpo. Altri ancora sono rimasti, ma vivono con passività, con rassegnazione, molti hanno paura di cambiare le cose, perché quello che non si conosce spaventa sempre, anche se è migliore, mentre al vecchio, anche se corrotto e malsano, siamo tutti abituati, è facile lasciare le cose così come stanno, perché battersi? Bisogna farlo per noi, perché dobbiamo darci la possibilità di viviere in una società migliore, dobbiamo darci l'opportunità di vivere in un paese che ci rispetti, governato da persone oneste che si guarderebbero bene dal truffarci, dobbiamo farlo per quelli che verrano dopo di noi, perché non si ritrovino un giorno, a vivere in un mondo sbagliato, ereditato così dai loro predecessori e in questo modo si possano sentire legittimati a non far nulla, ma anzi a proseguire nella direzione della corruzione morale.

Palermo è una madre ferita, che ha perso le sue piante d'arancia, distrutta dal cemento, piena di palazzi altissimi vicini a quel che rimane delle sue villette liberty, a quel che rimane di ciò che era, ho visto la città di adesso ed ho ripensato a quello che ci hai raccontato a scuola, a quella villetta che ti piaceva tanto, quella che vedevi tutte le sere e che proprio una sera, tornando a casa, non vedesti più, qualcuno l'aveva abbattuta per far posto ad uno di quei palazzi, come quello dove abitava la tua mamma in via d'amelio. Villette, strade vecchie, chiese, piazze, basta girare il centro per rendersi conto della bellezza della tua città, mi sono innamorata del teatro, della cattedrale, ho mangiato le panelle e le crocché di patate in un piccolo locale vicino piazza Marina, dove sono stata durante il mio soggiorno a Palermo. Che bella quella piazza, quegli alberi erano meravigliosi, non li avevo mai visti, somigliavano a quelli del cotone che avevo visto in Argentina, ma erano particolari, intrecciati, il loro tronco era affascinante. Girando per le strade avrei voluto sentire il profumo degli agrumi, ma camminando per i marciapiedi si può respirare solo il fumo delle macchine che sfrecciano per quelle vie, quelle macchine rumorose che rovinano la magia di quei vicoli. Non ho visto molti Palermitani alla manifestazione, forse hanno paura, forse hanno la memoria corta, forse non vogliono rendersi conto che sono passati vent'anni e si sentono colpevoli della loro indifferenza, anche in questo caso mi viene in mente una canzone, questa volta di Faber:"... Anche se voi ve ne fregate, voi quella notte, voi c'eravate..."
 
Caro Salvatore, che emozione salire sul monte Pellegrino, vedere Palermo e poi riuscire a vedere benissimo quella via, una tra le tante di Palermo, quella via dove oggi si trova l'albero di Paolo, quel bell'ulivo, pieno di regali per Paolo, con quella pietra con quei nomi che ormai conosco a memoria. Te lo ricordi? Due anni fa, quando ero appena arrivata in Argentina, mi dicesti che dovevo aver coraggio, che dovevo essere forte e sconfiggere la paura, come aveva fatto Paolo, mi ricordo perfettamente quella mail in cui mi scrivesti una frase di Paolo, quella che preferisco, forse perché mi ha fatto aprire gli occhi, "... è normale che esista la paura, in ogni uomo, l'importante è che sia accompagnata dal coraggio. Non bisogna lasciarsi sopraffare dalla paura, altrimenti questa diventa un ostacolo che non permette di andare avanti..."Ci promettemmo che al mio ritorno saremmo andati sotto l'albero di Paolo, ci saremmo incontrati li per dirgli che anch'io ce l'avevo fatta, che avevo seguito il suo esempio: Vedi caro Salvatore, dopo due anni abbiamo mantenuto fede alla nostra promessa, mi hai fatto una delega sotto quell'albero, ci siamo abbracciati perché anche noi abbiamo vinto. Non ho più dubbi, voglio fare il magistrato, voglio aiutare il mio paese, vorrei diventare talmente brava da poter aiutare anche la tua Palermo che ormai mi è entrata nel cuore. Granite, carretti, venditori di frutta con le loro apette, si mischiano nel traffico della città che ormai è diventata grande, che si è allargata, che ha perso gran parte delle sue tradizioni, anziani che vagano per quelle vie in cerca della loro madre, aggrappati ai ricordi di un mondo che ormai non esiste più, che si perde ogni giorno. I più vecchi soffrono perché hanno visto partire prima di loro tutti gli amici, che hanno visto mutare i negozi, che hanno visto le loro strade, un tempo luoghi di ritrovo, luoghi di giochi e risate riempirsi di macchine. Quei tre giorni a Palermo sono stati belli perché ho visto dei ragazzi che non vogliono dimenticare, persone che come me non c'erano, ma che desiderano capire per poter evitare altre morti di uomini giusti, in quei luoghi ho cercato il mio paese, ho cercato i ricordi di quegli attimi, ho provato rabbia, ma subito mi sono resa conto che l'unico sentimento giusto da provare era l'amore, l'amore per Paolo, per Giovanni, per i loro angeli, per la mia terra, l'unico sentimento che mi farà crescere migliore. Ciao Salvatore, saluti da donnalucata! Un abbraccio

Elena Marchili



 

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