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Home Rubriche 23 maggio - 19 luglio 1992: 57 giorni (parte 4)
23 maggio - 19 luglio 1992: 57 giorni (parte 4) PDF Stampa E-mail
Rubriche - I Mandanti Occulti
Scritto da Marco Bertelli   
Venerdì 18 Luglio 2008 10:20

Uno dei primi giorni di agosto 1992

Il colonnello dei carabinieri Mario Mori viene promosso da capo del reparto criminalitá organizzata a vicecomandante del ROS.

 

Sabato 1 agosto 1992

Alberto Di Pisa, sostituto procuratore della Repubblica di Palermo condannato a diciotto mesi di reclusione perche' ritenuto il “Corvo” autore di infamanti scritti anonimi, rilascia un´intervista al Corriere della Sera in cui in merito alla sua vicenda giudiziaria afferma: "Sono stato condannato per salvare dieci intoccabili. In questa mia vicenda i servizi segreti sono dentro sino al collo". In merito alla crisi della strategia antimafia della magistratura palermitana Di Pisa dichiara: "Posso dire soltanto una cosa, non posso certo fare nomi. C'e' stato un gruppo di potere che in questi anni ha operato all'interno della magistratura palermitana e dall'esterno, con coperture". [1]

 

Alcuni membri del Csm guidati dal vicepresidente Giovanni Galloni incontrano il ministro dell'interno Nicola Mancino ed il capo della Polizia Vincenzo Parisi per discutere della sicurezza dei magistrati impegnata in prima linea nella lotta alla criminalitá organizzata. Il ministro Mancino promette l´impegno del ministero a riguardo ed allo stesso tempo chiede ai giudici di collaborare adottando uno stile di vita prudente che limiti i rischi e non metta inutilmente a repentaglio la vita propria e quella degli uomini di scorta: "Per evitare gli attentati ai magistrati abbiamo proposto un codice di comportamento. Ho sottolineato piu' volte che se non vi e' un diritto alla protezione c'e' da parte dello Stato un dovere di proteggere. Come apprestare pero' questa protezione, e' compito dello Stato anche se naturalmente la persona protetta deve pur sottostare a regole comportamentali tali da evitare i rischi non soltanto nei suoi confronti, ma anche di chi gli deve fare da scorta... La protezione dei giudici si deve ottenere anche grazie all'aiuto di altri ministeri. Non si vogliono togliere responsabilita' e competenze al dicastero di Grazia e Giustizia. Di concerto con questo possiamo infatti predisporre meglio i mezzi difensivi per i magistrati. L'escalation della mafia non si e' fermata. E di fronte a tale offensiva dobbiamo apprestare mezzi ugualmente offensivi. Dobbiamo colpire Cosa Nostra, indebolirne la presenza sul territorio". [2]

 

Emilio Colombo viene nominato ministro degli Esteri. Prende il posto di Vincenzo Scotti, che mercoledi' scorso si é dimesso dall'incarico decidendo di restare parlamentare in polemica con la regola dell'incompatibilita' tra le due cariche dettata dalla Dc di Forlani.

 

Viene resa nota la notizia che Antonino Caponnetto sta valutando se accettare la proposta del ministro di grazia e giustizia Claudio Martelli di diventare consulente antimafia del ministero: l'incarico prevede il compito di concorrere "alla definizione di strategie normative e organizzative a supporto degli uffici giudiziari penali impegnati nell'azione di contrasto alla criminalita' organizzata".

Pesanti minacce a tale riguardo vengono rivolte in mattinata a Caponnetto in una telefonata alla redazione romana dell'agenzia Adnkronos. “Siamo della Falange armata”, ha sussurrato un uomo dal marcato accento siciliano. Ed ha aggiunto: "Il ministro Martelli, ragazzino viziato, impudente e arrogante che si diletta, godendone terribilmente, a combattere una guerra di carte con soldatini di piombo, ha tirato anche al buon Caponnetto e alla sua famiglia uno scherzo mortale". [3]

 

 

Martedì 4 agosto 1992

 

La terza commissione del Csm decide all'unanimita' di proporre al plenum il trasferimento alla Cassazione del procuratore di Palermo Pietro Giammanco che, nei giorni scorsi, aveva formulato una richiesta in tal senso. Per accogliere la domanda di Giammanco, la 3 commissione del Csm ha bandito un cosiddetto "concorso virtuale", ovvero una procedura in cui vengono valutate le doti, le attitudini e i meriti professionali di chi ha chiesto di essere spostato in una nuova sede. In questo caso Giammanco e' stato valutato in base alla "oggettiva situazione di grave turbamento dell'ufficio", generatasi dopo "le dimissioni del gruppo dei sostituti della procura distrettuale per carenze di protezione". "L' istanza di trasferimento", secondo i consiglieri Giuseppe Ruggiero, Pio Marconi, Gennaro Marasca e Gaetano Amato Santamaria, che l'hanno firmata, "appare peraltro ispirata all'apprezzabile intento di ricostruire un clima di serenita' nell'ufficio". Giammanco inoltre si e' dimostrato magistrato "dotato d' alti meriti, d'indiscussa imparzialita' ed indipendenza, di ragguardevoli attitudini professionali, d'anzianita' di servizio tale da renderlo meritevole dell'ufficio richiesto". Inoltre "l'alto senso di responsabilita' istituzionale del procuratore di Palermo" gli ha permesso di agire con un gesto che "ha rimosso ogni ostacolo alla risoluzione traumatica della vicenda".[4]

I consiglieri della commissione accolgono la richiesta di Giammanco nonostante la norma che prevede una permanenza non inferiore ai 4 anni dei dirigenti degli uffici giudiziari prima di un trasferimento "volontario". La commissione ritiene pero' in questo caso piu' pressanti le esigenze derivanti dalla situazione che si e' determinata a Palermo dopo le stragi di Capaci e di via D'Amelio.

 

Il Corriere della Sera rilancia un articolo del New York Times in cui si afferma che gli inquirenti americani che collaborano nelle indagini sull'uccisione di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino hanno espresso qualche riserva sui metodi usati dai colleghi italiani. Le critiche riguardano in particolare il non perfetto isolamento dei luoghi degli attentati subito dopo le esplosioni e il modo in cui e' stata compiuta la ricerca dei testimoni, scrive il giornale. Anche il direttore dell'Fbi, William Sessions, ha osservato che gli inquirenti italiani avrebbero potuto "operare in modo diverso" sul luogo dell'attentato. Hanno agito sicuramente "in modo diverso dal nostro", precisa il New York Times. Sessions ha comunque ammesso che non era facile isolare i luoghi degli attentati in quanto zone densamente popolate o ad alto traffico. Quanto ai testimoni, sempre secondo il "New York Times", un inquirente americano ha osservato che avrebbe potuto essere fatto qualcosa di piu' per rintracciarli e per garantire loro anonimato e protezione. I siciliani sono cosi' arrabbiati, adesso, che sono disposti a collaborare con la polizia "ma - ha osservato il funzionario - non sotto lo sguardo dei loro vicini". Nell'articolo del quotidiano si afferma che un inquirente americano, che ha chiesto di non essere identificato, ha detto di "aver motivo di credere" che consultazioni siano avvenute tra i boss mafiosi siciliani e americani prima che venisse decisa l'uccisione di Falcone. L'impegno degli americani per identificare gli assassini dei due magistrati italiani non e' limitato all'impiego di alcune dozzine di agenti. Gli Stati Uniti hanno nominato il 9 luglio uno speciale "assistant attorney", Richard Martin, posto a capo di un gran giuri' col compito di portare avanti le indagini sul versante americano. Richard Martin e' stato uno dei piu' stretti collaboratori di Rudolph Giuliani nel processo "Pizza connection" durante il quale Tommaso Buscetta fece le prime rivelazioni. Poi fino al 1990 ha rappresentato il ministero della Giustizia USA in Europa. E' un esperto di Cosa nostra e uno degli amici americani di Falcone. "Faremo tutto quello che il gran giuri' avra' il potere di fare - ha detto Martin - per aiutare le indagini". [5]

Sempre il Corriere della Sera riporta che il funzionario di polizia Gioacchino Genchi, incaricato di accertare se il telefono dei familiari di Borsellino fosse sotto il controllo dalla mafia, ha incontrato i magistrati per una prima relazione. "Sul piano concreto - ha detto Genchi - l'eventualita' di un'intercettazione puo' apparire possibile". Nel corso dell'ispezione lungo la linea sarebbero emersi elementi "anomali" che sono oggetto di approfondimento.[6]

Gli inquirenti di Caltanissetta titolari delle indagini sulle stragi di Capaci e Via D´Amelio non replicano alle accuse del Fbi e scelgono la linea del silenzio. Negano l'esistenza stessa dei contrasti. "Lasciateci lavorare in pace – dice uno di loro ai giornalisti - Se c' e' una minima traccia da seguire, per arrivare a qualche risultato, dobbiamo andare fino in fondo, non possiamo perderci con le chiacchere". [7]

La Camera dei Deputati approva il decreto antimafia del governo introducendo alcune modifiche al testo che dovrá essere pertanto nuovamente vagliato dal Senato per l´approvazione definitiva. In particolare viene abolito dalla Camera il fermo di polizia che era previsto dall'articolo 25 del decreto il cui testo originario consentiva alle forze di polizia di fermare "per tutto il tempo strettamente necessario a verificarne la posizione e comunque non oltre le dodici ore" quelle persone che, per la condotta tenuta e le circostanze di tempo e di luogo, "si accingano a realizzare delitti per i quali e' previsto l'arresto obbligatorio in flagranza o a sottrarsi all'obbligo delle misure limitative della liberta' personale per i reati previsti dall'articolo 275 del codice di procedura penale". L'assemblea di Montecitorio introduce anche un'altra importante modifica prevedendo sanzioni per chi paghi con denaro promesse elettorali. Il si' a questo emendamento e' stato pressoche' unanime anche se la discussione si rivela piu' ardua del previsto perche' la formulazione originaria dell'emendamento presentato dalla commissione non limitava lo scambio al solo denaro, ma anche a promesse di favori e di concessioni non meglio identificate. "Cosi' com'e' formulata - dice il ministro della Giustizia, Claudio Martelli - la norma si presta ad abusi ed e' di difficile interpretazione". Votano a favore del testo emendato, oltre alle forze politiche della maggioranza, anche Pri e Msi. Il Pds e la Rete si astengono, mentre Verdi, Lista Pannella, Lega, Rifondazione comunista votano contro. I liberali Vittorio Sgarbi e Alfredo Biondi esprimono voto contrario in dissenso con il proprio gruppo.[8]

 

 

Mercoledí 5 agosto 1992

 

Si svolge a Roma il primo di una serie di incontri tra Vito Ciancimino ed il colonnello del Ros Mario Mori. L’obiettivo è di ottenere dal mafioso alcuni spunti di tipo investigativo per giungere alla cattura dei latitanti di Cosa Nostra.[9]

 

Corrono voci di un possibile avvicendamento ai vertici di Polizia e Carabinieri ma il ministro dell´interno Mancino ed il collega della difesa Andó confermano la loro fiducia al capo della Polizia Parisi ed al comandante dell´Arma Viesti rispettivamente: "Poiche' dovrei essere io a fare la proposta (di sostituire il capo della Polizia, ndr), posso assicurarvi che non la faro' ", dichiara Mancino a Montecitorio. Il ministro della Difesa Ando' a proposito dei presunti avvicendamenti dichiara al Corriere della Sera: "nessuna decisione e' stata ancora presa, si tratta di boatos. E comunque non e' stato neppure ancora messo a punto l' ordine del giorno del Consiglio dei ministri di domani". Aggiunge inoltre Ando', per far morire sul nascere sospetti e dietrologie ("perche' il ministro non ha smentito la sostituzione di Viesti, apparsa su un giornale?"): "Non ho diramato nessuna smentita in relazione alle notizie pubblicate su un quotidiano, semplicemente perche' io non avevo fatto nessuna dichiarazione, quelle raccolte erano voci di corridoio". [10]

 

In un´intervista su Famiglia Cristiana il collaboratore di giustizia Vincenzo Calcara afferma che dopo essere stato incaricato alla fine del 1991 di uccider Paolo Borsellino, fu fermato dalla cupola di Cosa Nostra che voleva prima uccidere  Giovanni Falcone: “Avrei dovuto uccidere il giudice Borselino alla fine del 1991. Mi chiamó il mio “capo famiglia”, l´ex sindaco Tonino Vaccarino di Corleone, lo stesso che mi inizió a Cosa Nostra, e mi disse di tenermi pronto: “Ti abbiamo segnalato alla “cupola” per questa operazione, dopo fuggirai in Australia dai nostri fratelli, questi sono i lori indirizzi”. Poi inizió l´attesa, io ero pronto ma la “cupola” di Palermo non ci dava l´autorizzazione a procedere. Borsellino avrebbe dovuto essere ucciso in due modi, o con un fucile di precisione, o con un´autobomba. Io avrei patecipato come tiratore scelto oppure, nel caso si fosse adottata l´autobomba, avrei fatto da copertura. Decine e decine di altre persone sarebbero state impiegate nell´operazione... La “cupola” ci diceva di aspettare, poi ho capito perché: volevano uccidere prima il giudice Falcone”.  Calcara é convinto che la strage di via D´Amelio si potesse evitare: “Se lo stato fosse andato all´attacco subito dopo Falcone, (Borsellino, ndr) non sarebbe morto”. [11]

 

Il Corriere della Sera pubblica un´intervista a  Luca Pistorelli, sostituto procuratore di Trapani in attesa di trasferimento:

 

Gli telefoni e ti risponde, inciso sulla segreteria, il borbottio allucinato di Martin Sheen, il capitano di Apocalypse Now, preso dal monologo iniziale del film: "Saigon, merda! Sono ancora a Saigon". Qualcuno lo prende in giro, per il giochino. E lui stesso ci ride sopra, ma non piu' di tanto "perche' qui e' davvero tale e quale che essere in Vietnam". Padovano di 29 anni, un metro e 90, i capelli lunghi e ricci, e' sostituto procuratore da 14 mesi in questa citta', e sta per abbandonare il fronte. Per farsi trasferire altrove, al Nord. O forse addirittura per lasciare proprio la magistratura. Perche' , dice, "io, Luca Pistorelli, non sono la Repubblica Italiana; sono un piccolissimo pezzetto dello Stato e continuare a lottar cosi', da soli, sarebbe una scelta disperata, che ormai porta all'eliminazione fisica". Cossiga l'avrebbe definito un "giudice ragazzino". Il siciliano Giuseppe Livatino era uno di loro, e l'hanno ammazzato giusto pochi mesi prima che lui prendesse servizio a Trapani, rompendo con la fidanzata su in Veneto e lasciandosi dare "dello scemo" da madre e fratello. Aveva voluto provarci, Pistorelli. Ci credeva, con l'entusiasmo di chi sente una vocazione. Aveva trovato un buon maestro, per le sue prime indagini sulle finanze della mafia: Paolo Borsellino. La bomba che l'ha annichilito, ha fatto evaporare quasi ogni sua residua speranza.

MB (Maurizio Breda): “Dottor Pistorelli, possibile che una cosi' breve esperienza l'abbia delusa tanto da indurla a mollare. A parte il trauma dell'ultima strage, che tipo di problemi incontra?”

 LP (Luca Pistorelli): "Anzitutto mi mortifica la malafede del ministero nel trattare con la magistratura. E poi l'assoluta incapacita' di darci gli strumenti per operare. Per chi fa questo mestiere, rischiare e' ormai una realta', e si puo' accettarla. A patto pero' che a esporsi al rischio sia l'intera istituzione, non sempre i singoli. Si puo' infatti essere isolati e soli anche per mancanza di mezzi".

MB: “Per esempio?”

LP: "Le forze in campo dalla nostra parte sono inadeguate, numericamente e professionalmente. Gli investigatori in grado di fare un certo tipo di inchieste si contano sulle dita di una mano. Ma c'e' pure la questione degli strumenti di lavoro. Lo vede il computer sul tavolo? L'ho "rubato", dopo piu' di un anno di attesa. Ne avevamo chiesti un certo numero, e da Roma ci hanno mandato una Croma blindata. "Meglio che niente", ci hanno detto. Manca tutto: le microspie per le intercettazioni ambientali e l'accesso alle poche banche.dati utili che ci sono, come l'Anagrafe tributaria, decisiva per scavare nella criminalita' economica".

MB: “Eppure tanti suoi colleghi, con gli stessi guai, resistono”.

LP: "A me piace lavorare, non occupare un posto. Per cui: o mi fanno lavorare o me ne vado".

MB: “Lei non cita, tra le cause di disagio, rapporti difficili con i superiori, una costante per molti "palazzi dei veleni" in Sicilia”.

LP:  "Questa Procura ha avuto una stagione molto brutta. Al collega Taurisano, che viveva in un appartamento blindato qui dentro, hanno rubato i verbali di un pentito dalla scrivania. Il capo e' stato trasferito per incompatibilita'. Il dirigente dell' ufficio Gip idem. Il presidente del Tribunale si e' pensionato prima che su di lui intervenisse il Csm. Siamo acefali, e io piu' degli altri dato che il mio riferimento era Borsellino".

MB: “Che riferimento?”

LP: "Anche umano. Era una specie di maestro e padre spirituale. Sapere che c' era lui, era una sicurezza enorme. Lo stimolo a battersi. Veniva da dieci anni di vita assurda e non se ne lamentava mai, neanche con una mezza parola. Fino al giorno in cui uccisero Falcone". MB: “Come cambio', dopo?”

LP: "Era provatissimo. Aveva perso a sua volta l'unico punto di riferimento. Era certo che avrebbero ammazzato anche lui, ma si aspettava di aver piu' tempo. Sentiva il peso, la responsabilita' e forse la paura di essere diventato il numero uno. La domenica in cui ho sentito dell'autobomba, ho avuto il timore che stesse per accadere qualcosa di gravissimo, in Italia. Poi ho cominciato a ragionarci su, coi colleghi. Ne parliamo ancora, sempre, perche' quaggiu' c' e' uno spirito di frontiera, da zona di operazioni belliche, da Saigon, che ci rende molto uniti. Ci frequentiamo, analizziamo queste cose e siamo tutti molto arrabbiati".

MB: “Sulla scelta di andarsene entro la prossima primavera quanto pesa il "clima" di Trapani?”

LP:  "Pesa tanto. Questa e' una citta' medievale, nascerci e' da suicidio, la qualita' della vita e' drammatica. Si campa blindati, con l'amicizia di pochi colleghi. Ma ho 29 anni e quando posso la sera esco, cerco liberta' a Palermo: la' non mi conoscono e mi pare ormai una citta' liberata dove, a parte tutto, si vive una bella stagione. Scagliono le ferie e ogni tanto torno su, a casa. Mi mangio lo stipendio in biglietti aerei e telefono".

MB: “Ha paura?”

LP: "Chi non ne ha e' stupido o incosciente. Ma c'e' gente che corre rischi molto piu' concreti di me. Credo che noi "esterni" abbiamo una garanzia di sicurezza in piu': sanno che ce ne andremo. Quindi gli basta avere pazienza, aumentare un po' la pressione sinche' scoppiamo e partiamo. Sanno farcelo capire benissimo, con modi espliciti. Una cosa e' certa: quando tocchi gli interessi di Cosa nostra non ti allunghi di sicuro la vita".

MB: “E' proprio deciso a chiudere?”

LP: "Dipende da chi sara' il prossimo procuratore. Se manderanno il solito quasi-pensionato, omologo al precedente, sara' una farsa e tanto varra' lasciare. Se invece il Csm dara' un segnale di svolta, inviando una persona autorevole e carismatica, allora si potra' restare, perche' ci si sentira' parte di quella svolta. Lottare da soli e' da disperati. Qui e' inquinato tutto. Anche la pubblica amministrazione, da se stessa e dalla mafia. C'e' un concetto molto distorto di democrazia. Vista da Trapani, Padova mi sembra la Svezia, e i tangentisti di lassu', una allegra banda di birichini. In Sicilia e' infetto l'intero tessuto socioeconomico, anche per una grande poverta' che obbliga la gente a rivolgersi ai politici per diritti elementari. Pure tra i magistrati la situazione e' grave. Accanto ai tanti colleghi siciliani che hanno fatto sempre la loro parte con dignita' e competenza, ce ne sono di collusi e codardi, che lavorano come impiegati delle Poste. Solo che fare l'impiegato postale a Cuneo tanto danno non porta, qui si'. É una terra di frontiera, ve l'ho detto".[12]

 

 

Giovedì 6 agosto 1992

 

Il Parlamento approva definitivamente il decreto antimafia Scotti-Martelli. Rispetto alla versione originaria approvata in Consiglio dei Ministri l’8 giugno, il decreto modificato prevede per i detenuti di mafia notevoli inasprimenti del regime carcerario e l’utilizzo dell’esercito per un periodo temporale definito per affiancare le forze dell’ordine nella lotta alla mafia. Oltre ai partiti della maggioranza hanno votato a favore Pds, Lega, Pri, Msi. Contro, Rifondazione Comunista e Verdi. I parlamentari della Rete si sono invece astenuti.[13]

Questi i punti salienti del provvedimento:

 

1) Il testo del decreto e' rimasto intatto nei suoi aspetti gia' fortemente caratterizzati dalla dichiarata ispirazione antimafia. Sono rimaste pressoche' ferme, infatti, le disposizioni che hanno esteso i poteri degli organi di polizia giudiziaria e del pubblico ministero durante le indagini preliminari, come pure quelle che hanno attribuito nuovi poteri investigativi alla Dia in materia di criminalita' organizzata. E nemmeno sono state toccate le disposizioni che, ora sul terreno delle misure penitenziarie, ora sul terreno della protezione e degli incentivi per i collaboratori della giustizia, hanno di molto divaricato la forbice tra il trattamento di favore previsto per i mafiosi "pentiti" e la linea di rigore riservata agli irriducibili di "Cosa nostra".

2) Alcuni opportuni correttivi sono stati apportati, invece, alle regole di acquisizione delle prove che il decreto aveva irrigidito con riguardo a tutti i procedimenti penali, e non solo a quelli di impronta mafiosa. Di fronte agli scompensi cosi' introdotti nel sistema processuale penale, ci si e' sforzati sia di razionalizzare le conseguenze delle piu' recenti pronunce costituzionali, sia di circoscrivere le ulteriori deroghe rispetto al disegno originario del codice entro i limiti imposti dalle esigenze dei processi di criminalita' organizzata. Esigenze dalle quali, oggi piu' che mai, non e' possibile prescindere.

3) Allo scopo, tenuto conto delle obiettive necessita' di tutela della genuinita' della prova tipiche di processi del genere (soprattutto a causa delle pesanti intimidazioni cui sempre piu' spesso sono sottoposti i testimoni), il decreto si e' preoccupato del rischio di manovre miranti a sabotare, per tale via, il corretto funzionamento della macchina processuale. Di qui una serie di norme specificamente dirette a salvaguardare la prova testimoniale dai pericoli delle minacce o, comunque, dei condizionamenti a carico delle persone chiamate a deporre. Norme che, insieme ad altre incidenti in diversi ambiti (dal settore delle intercettazioni ambientali a quello della perquisizione di edifici, a quello delle infiltrazioni di polizia) individuano un ben definito regime differenziato per indagini e processi relativi alla criminalita' organizzata.

4) Quanto al terreno delle misure di prevenzione, alla scomparsa di una figura discussa ed anomala di fermo di pubblica sicurezza hanno fatto riscontro alcune innovazioni di sicura incisivita' sul versante della peggiore delinquenza: dal ripristino delle intercettazioni preventive alla previsione di un inedito "soggiorno cautelare" di competenza del procuratore nazionale antimafia. Misure di natura straordinaria, ma necessarie per una seria strategia di sradicamento della mala pianta mafiosa, e proprio per cio' ammissibili, nella loro eccezionalita' , finche' durera' l'emergenza che le ha richieste.

5) Un cenno a parte meritano, infine, i ritocchi apportati nella disciplina per la nomina del procuratore nazionale antimafia (con la conseguente rinnovazione del relativo bando) e, soprattutto, la prevista applicazione di un magistrato "reggente" al vertice della Dna, cosi' da consentire alla nuova struttura di cominciare ad operare prima della nomina definitiva da parte del Csm.[14]

 

Il Corriere della Sera rilancia un´intervista rilasciata da Antonino Caponnetto al settimanale L´EUROPEO in cui il magistrato afferma che lo Stato "non solo ha sottovalutato la mafia, ne e' stato e ne e' complice". Il magistrato ricorda che nel novembre dell'85 mando' "in copia a tutti i ministri e le forze di polizia i 40 volumi della sentenza.ordinanza da cui sarebbe scaturito il maxiprocesso, la radiografia di che cos'e' Cosa Nostra. Nessuno puo' dire di non aver capito". Ma nessuno fece nulla. Caponnetto parte dalle vicende di Falcone e Borsellino, per rinnovare le proprie denunce. E se la prende anche con i politici che "non hanno capito nulla" e "non si rendono conto di stare allargando sempre piu' il solco che li separa dalla societa' ". Fra le innovazioni che Caponnetto sollecita c'e' quella del Csm. "Cosi' com'e' - egli ritiene - il Csm e' paralizzato dalle correnti e dalle istanze dei membri politicizzati, i cosiddetti "laici". Crede che quello che e' successo gli sia servito di lezione? Io dico di no: trasferiranno Giammanco, come da sua richiesta, e metteranno una pietra sopra alla faccenda. Sono in gioco interessi di potere". Caponnetto torna poi sulla vicenda della mancata nomina di Giovanni Falcone a suo successore a capo del pool antimafia, poi smantellato, esprime molti dubbi sul criterio adottato dal Csm per la nomina al suo posto di Antonino Meli, e cioe' l'anzianita' considerata come titolo di merito. "Quando Beria di Argentine fu nominato a Milano aveva 11 persone davanti piu' anziane di lui, io addirittura 20... Voglio dire: quando lo si e' voluto quel criterio lo si e' scavalcato... Dicono che non fu una manovra anti-Falcone... Ma se Meli giunse persino a ritirare la domanda a presidente di Tribunale, carica piu' prestigiosa di quella di consigliere istruttore, per concorrere a quest'ultima e cosi' stoppare Giovanni... Il Csm da un lato, il tribunale di Palermo, con Giammanco in testa, dall'altro, hanno distrutto Falcone". Per Caponnetto "le istituzioni non si meritavano uno come Giovanni Falcone... Gli hanno preferito Domenico Sica per l'Alto commissariato, Cordova per la Superprocura". Ma Caponnetto ha fiducia in Martelli: "E' uno dei pochi ad aver capito. Sia il pericolo mafia, sia cio' che sta accadendo al Nord: le tangenti, la crisi del sistema". [15]



Sabato 8 agosto 1992

Il Corriere della Sera dà notizia che la questura di Roma ha sollecitato il comando dei vigili urbani per il rispetto dei divieti di sosta e di fermata presso oltre 60 obiettivi nella capitale a forte rischio attentati: edifici pubblici, sedi di partiti, caserme di polizia e carabinieri. [16]

 

 

Domenica 9 agosto 1992

 

Il Presidente del Senato Giovanni Spadolini lancia un allarme in un’intervista al Corriere della Sera su un nuovo pericolo di destabilizzazione per la democrazia costituito da un asse mafia-P2:

 

Gentili Guido (GG): “Cosa rischia questo Paese? La democrazia stessa e' in pericolo? Alle viste c' e' un nuovo fascismo?”

Giovanni Spadolini (GS): "No. Io non scorgo, alle viste, un nuovo fascismo. Ma una democrazia malata e' sempre, in qualche modo, una democrazia a rischio". 

GG: “Presidente, la gente e' stanca. Prima le lacrime e il dolore, come a Palermo dopo le stragi di mafia. E la sorpresa, a Milano, per le scoperte dei giudici dell'inchiesta "Mani pulite". Ma dopo le lacrime e la sorpresa ora prevale la rabbia di fronte ad uno Stato che appare in ginocchio e a un sistema di partiti in crisi profonda. Cosa direbbe ad un lavoratore onesto, che paga le tasse? Gli si puo' dire di avere ancora fiducia in questo Stato, di fare i necessari "sacrifici"?”

GS:  "Dobbiamo distinguere tra Stato democratico e partitocrazia, che e' il suo contrario. Lo Stato democratico siamo noi, noi tutti: con tutti gli squilibri di una societa' che conosce ancora ingiustizie e sofferenze ma non e' neanche paragonabile all'Italia anteriore alla Liberazione. L'ultimo degli errori sarebbe quello di travolgere, sotto la spinta della protesta e del malcontento, spesso piu' che giustificati, le istituzioni rappresentative, imputando loro le responsabilita' che sono in grandissima parte della classe politica e dei partiti. I partiti: ecco i veri bersagli dell'insofferenza popolare". 

GG: “L' Italia vive una condizione di gravissima emergenza: "Italy's decline", titolava qualche giorno fa il settimanale americano "Time". Sotto accusa, all' estero ma anche qui, c'e' per l' appunto la classe politica e forse anche la nostra politica estera. Che margini esistono, se esistono, per una ripresa di credibilita' di un sistema che ormai non tiene piu', che sembra far acqua da tutte le parti? GS: "Il prestigio dell' Italia e' molto diminuito. Basti pensare a quello che era nel 1982, ai tempi della vittoria sul terrorismo e del rilancio della nostra politica estera. Ma anche qui molti dimenticano che cosa e' successo nel mondo in questi anni. Noi eravamo il punto di forza nell'Alleanza atlantica. Il nostro ruolo era determinante per gli americani. Ne so qualcosa io che fui il presidente del Consiglio del periodo degli euromissili. Oggi il tramonto del comunismo e la fine della minaccia sovietica hanno cambiato completamente gli scenari internazionali: una trasformazione che nella storia ha pesato quanto la scoperta dell'America nel 1492, e forse piu' ". GG: “Insomma, contiamo di meno.”

GS: "Il ruolo del nostro Paese e' stato ridimensionato sul piano internazionale dalla fine del conflitto ideologico e dalla competizione militare tra i due blocchi. Anche se potrebbe continuare ad avere un senso se fosse giocato intelligentemente sul piano del Medio Oriente, senza ambizioni falsamente mediterranee o mediatrici. Per tornare alla sua domanda, solo una funzione europea, esercitata con tutto il rigore necessario (a cominciare dai conti pubblici), puo' garantire una ripresa di credibilita' ".

GG: “Il cuore del "Palazzo" appare in balia della corruzione, come dimostrano le inchieste dei magistrati milanesi e veneziani. Quasi ogni giorno un arresto, un avviso di garanzia, la scoperta dei "trucchi" di Tangentopoli. La questione morale e' di nuovo tornata alla ribalta: che tipo di risposte concrete servono su questo terreno?”

GS: "Non direi che il cuore del Palazzo appaia in balia della corruzione. Direi che c'e' una corruzione molto estesa e a molti livelli, e particolarmente identificata con la vita locale. In ogni caso, su questo punto dobbiamo essere chiari: e' necessario essere intransigenti nella difesa della moralita' e della legalita' repubblicana. E quindi grati alla magistratura per l'opera che sta compiendo: tanto piu' difficile quanto piu' sapra' essere discreta. Dobbiamo fugare i sospetti dove sono solo sospetti. Sanzionare le colpe dove sono colpe. Punire, una volta accertati, i reati contro lo Stato".

GG: “In concreto, puo' fare un esempio che indichi come voltare pagina?”

GS: "Si pone l'esigenza di un nuovo quadro normativo in materia di appalti pubblici piu' rispondente ai principi della concorrenza e della trasparenza. Occorre un adeguamento alle normative comunitarie che ostacoli comportamenti illeciti e garantisca l'efficienza e l'imparzialita' della Pubblica amministrazione, restituendo al cittadino la necessaria fiducia nell' azione degli amministratori della cosa pubblica. Le cito un passaggio decisivo della relazione del Garante anti-trust che mi e' stata illustrata nei giorni scorsi dall'ex presidente della Corte, professor Saja: "Il sistema italiano, certamente piu' nella prassi che nella normativa, invece di averla limitata, ha favorito la discrezionalita' dell'Amministrazione e, non premiando le imprese piu' efficienti e piu' capaci, rappresenta un ostacolo alla crescita professionale e imprenditoriale delle imprese coinvolte". E non occorre aggiungere altro".

GG: “Per voltare pagina c'e' chi parla di amnistia e condono: due ipotesi per "perdonare" i politici corrotti. Che ne pensa?”

GS: "Sono contrario all'una e all'altro".

GG: “Si parlava prima di "democrazia a rischio". Secondo lei esiste la possibilita' di un vero e proprio piano di destabilizzazione nell'assalto della mafia siciliana?”

GS: "Il fine della criminalita' mafiosa sembra essere identico a quello del terrorismo nella fase piu' acuta della stagione degli anni di piombo: travolgere lo Stato democratico nel nostro Paese. L'obiettivo e' sempre lo stesso: delegittimare lo Stato. Rompere il circuito di fiducia fra cittadini e potere democratico. Opporre allo Stato - in una parola - l'anti-Stato. Se poi noi scorgiamo - e ne abbiamo il diritto - qualche collegamento internazionale intorno alla sfida mafia piu' terrorismo, allora ci domandiamo: ma forse si rinnovano gli scenari di undici o dodici anni fa? Ed e' detto tutto".

GG: “Proviamo a chiarire meglio. Alcuni giornali stranieri hanno riparlato di un tema che forse trova un'eco maggiore all'estero che in Italia: la P2. Che ne pensa?”

GS: "Ho gia' risposto implicitamente. Le minacce dei centri di cospirazione affaristico-politica come la P2 sono permanenti, nella vita democratica italiana. E c'e' un filone piduista che sopravvive, non sappiamo con quanti altri. Mafia e P2 sono congiunte fin dalle origini, fin dalla vicenda Sindona".

GG: “Lotta alla mafia: cosa pensa dell'invio dell' esercito in Sicilia?”

GS: "Come ex ministro della Difesa mi consenta di essere molto prudente in materia. L'invio di reparti dell'esercito ha un valore soprattutto simbolico".

GG: “Forse servirebbe un nuovo prefetto Mori?”

GS: "Il prefetto Mori e' probabilmente inconciliabile con la democrazia".

GG: “E la pena di morte?”

GS: "Sono e resto inflessibilmente contrario".

GG: “C'e' chi propone di "staccare" la Sicilia dal resto d'Italia.”

GS: "La lotta contro la mafia e' una grande questione nazionale. Altro che bando alla Sicilia! All'indomani degli eccidi di Falcone e di Borsellino, e di fronte a certe farneticazioni sulla Sicilia che non e' Italia, mi e' tornato in mente il detto di Croce: "Non possiamo non dirci cristiani". Ho proposto di parafrasarlo in "Non possiamo non dirci tutti siciliani".

GG: “É stato notato che i partiti stanno ancora nel governo, ma non vi stanno piu' come prima come hanno dimostrato il caso delle dimissioni di Scotti a seguito dell' introduzione della regola dell'incompatibilita' tra ministri e parlamentari e, ora, il blitz di Amato contro i boiardi di Stato. Questo di Amato finisce dunque per essere, a suo modo, un governo con caratteristiche istituzionali, sottratto allo scontro dei partiti?”

GS: "Qualunque governo, oggi, e quindi anche quello presieduto dall'onorevole Amato, deve tenere conto delle nuove regole costituzionali che sono entrate nella coscienza dell'opinione pubblica prima ancora di essere tradotte in formule giuridiche. Il fatto che il governo sia in qualche misura sottratto alle ipoteche e anche alle soggezioni rispetto alla vita interna dei partiti e' una conseguenza dei segnali inequivocabili che giungono dall' elettorato, che il 5 aprile ha in vari modi confermato. E che si prolungano nel travaglio persistente dei grandi partiti: si vedano le conclusioni del consiglio nazionale dc". 

GG: “Gia', i grandi partiti. I tre maggiori - Dc, Pds e Psi - appaiono in crisi profonda: di leadership e di strategia. Ma anche in una formazione piu' piccola, come il Pri, c'e' chi ipotizza una sorta di "autoscioglimento" in vista di un disegno diverso, trasversale ad altre forze politiche. Puo' essere appunto la trasversalita', in qualche modo, il nuovo orizzonte della politica italiana?”

GS: "Con l'attuale sistema elettorale e istituzionale, non puo' esistere una trasversalita' negli schieramenti. Puo' esistere una trasversalita' nei programmi. Ma questo e' avvenuto piu' di una volta nella storia italiana. Quanto, poi, all'autoscioglimento del Pri, non mi risulta che sia stato mai chiesto. Ci mancherebbe altro!".

GG: “Lei ha gia' sottolineato la necessita' che questa legislatura consenta di procedere seriamente alle riforme e al perfezionamento istituzionale e di dare risposte adeguate alle grandi emergenze. Ma il quadro politico, cosi' come oggi si presenta, e' in grado di garantire la stabilita' necessaria?”

GS: "Abbiamo iniziato il cammino di una legislatura che deve essere portata al suo epilogo naturale, attraverso tutte le esperienze di governo che si renderanno necessarie. Dobbiamo realizzare un allargamento della base governativa: e' un auspicio di cui l'ultima crisi di governo ha messo in luce tutta la perentorieta' ed urgenza".

GG: “Guardando a quale sinistra?”

GS: "Dobbiamo recuperare dalla sinistra quella parte che e' venuta incontro alla visione occidentale, rinunciando alla parola "comunismo" quando ancora il comunismo esisteva all'Est. Dobbiamo salvare il maggior frutto tratto dalla grande lezione dell'89. Non si puo' pensare di realizzare l'accordo con gli ex comunisti isolando e scavalcando i socialisti. Un compito essenziale per la democrazia laica e' quello di operare ai fini di una chiarificazione a sinistra che passi attraverso il ristabilimento del rapporto tra socialisti ed ex comunisti. Con la ricomposizione della frattura di Livorno del '21, frattura da cui emerge la vittoria ideologica sul piano dei principi della tesi socialista. Nessun messaggio della "nuova sinistra" puo' prescindere da questa realta' , dall'intesa preventiva fra Psi e Pds sulle nozioni di democrazia e liberta': Carlo Rosselli non e' mai stato cosi' attuale come oggi".

GG: “La commissione bicamerale per le riforme e' stata appena varata. Quale deve essere il suo cammino? Quali le riforme da approvare subito? E verso che tipo di legge elettorale dobbiamo andare?”

GS: "Il primo passaggio determinante della legislatura dovra' essere l'approvazione della riforma elettorale. Entro il gennaio '93, non dimentichiamolo, la Corte costituzionale dovra' pronunciarsi sull'ammissibilita' dei referendum. É evidente che la disciplina di uno dei passaggi essenziali della vita democratica non puo' essere lasciata ad un incastro casuale di norme abrogate da un referendum. A seconda del sistema elettorale, maggioritario o proporzionale, ci saranno poi sulla scena politica partiti politici profondamente diversi. E diversi saranno, per forza di cose, i nuovi assetti istituzionali. Ecco l'intreccio inevitabile tra sistema politico e sistema elettorale. Anche se, "stricto sensu", la riforma elettorale non e' materia costituzionale. E poi c'e' Maastricht, c'e' l'Europa. Pensare di riformare la Costituzione in chiave solo italiana, o addirittura padana, e' segno di demenza. La circolarita' fra norme nazionali e norme europee sara', dal '93, prevalente su tutto. L'accordo sul costo del lavoro e' un primo passo in quella direzione. E anche la cacciata dei boiardi di Stato".

GG: “Il sistema dei partiti e' in crisi acuta. Puo' il Parlamento, in questa fase, divenire il centro motore del rinnovamento? In fondo, al Senato e alla Camera siedono - tranne forse le Leghe - proprio i rappresentanti di questo sistema.”

GS: "Il Parlamento puo' e deve diventare il centro motore del rinnovamento. Contrapporre il rinnovamento al sistema sarebbe l'ultima follia. La democrazia si fonda sulla continuita' delle generazioni e degli sforzi. Non ci sono i rinnovatori, come tali, tutti da una parte, e i conservatori, come tali, tutti dall'altra. Questo e' uno schema falso, alimentato da anni di autoflagellazione dello Stato. C'e' una pianta del rinnovamento che puo' benissimo fiorire sul tronco degli alberi costituzionali. E rafforzarli e irrobustirli. Il rinnovamento e' in primo luogo un fatto di coscienza. E la democrazia vive proprio sui dati di coscienza".

GG: “Insomma, i partiti non sono ancora roba da museo”.

GS: "No, ora non si tratta di confinare le forze politiche tradizionali in una specie di museo archeologico. Si tratta di far si' che i partiti italiani ritrovino la via che la Costituzione aveva tracciato per loro, una via troppo spesso abbandonata: quella di contribuire a determinare, con metodo democratico, la politica nazionale. Guidare la politica e non gestire le banche, le Usl, i teatri dell'opera, l'informazione tv e, perfino, in qualche caso, i giornali. Solo cosi' riavremo il consenso dei giovani, che abbiamo perduto".[17]

 

Il Corriere della Sera fa il punto sulle indagini relative all´omicidio del procuratore di Cassazione Antonino Scopelliti, ucciso in Calabria il 9 agosto 1991, con un´intervista al procuratore della Repubblica di Reggio Calabria Giorgio Jachia ed al sostituto procuratore generale Vincenzo Macrí. Le indagini sull´omicidio per ora brancolano ancora al buio: non sono stati individuati né killer né mandanti:

 

"Abbiamo battuto tutte le piste, abbiamo setacciato nella vita pubblica e privata del magistrato, interrogato decine di persone ma il mistero sull'omicidio dell'alto magistrato della Cassazione e' fitto", ammette Jachia. E aggiunge: "Anche l'ipotesi che portava alla mafia siciliana e' andata via via smontandosi". Dunque, nessun collegamento con gli omicidi Falcone e Borsellino? "Sembrerebbe di no". Scopelliti fu ucciso il 9 agosto del 1991. Esattamente un anno fa. Si trovava in vacanza a Campo Calabro, il suo paese d'origine, a due passi da Villa San Giovanni. L'hanno trucidato con un colpo di pistola alla nuca mentre stava rientrando a casa dopo una mattinata trascorsa al mare. Viaggiava da solo in auto, lungo una strada deserta. Un bersaglio facile per i killer. Perche' Antonino Scopelliti? "Hanno colpito un servitore dello Stato", fu il coro unanime. "Un patto di morte tra mafia e ' ndrangheta", si ipotizzo' . Ma subito dopo affiorarono dubbi. Certo, Scopelliti era il rappresentante della pubblica accusa in Cassazione. Aveva pronunciato requisitorie appassionate contro mafiosi e terroristi. E proprio in quei mesi si stava preparando a sostenere un maxi processo alla cupola. I padrini volevano fermarlo prima? Forse. "Comunque, l'obiettivo non fu raggiunto - osserva Giorgio Jachia - Gli uomini della cupola sono stati condannati. Del resto, un pubblico ministero della Cassazione puo' incidere ben poco sul verdetto finale di un processo". Fu battuta con puntiglio anche la pista della vendetta passionale. Antonino Scopelliti era un bell'uomo di 56 anni, brillante, estroverso. Libero da impegni familiari (il giudice era stato sposato ma per poco, poi il matrimonio fu annullato), coltivava amicizie, aveva una vita di relazione intensa sia a Roma che in Calabria dove tornava ogni anno per le vacanze estive. "Una personalita' poliedrica, complessa, sorprendente", dice, sibillino, il procuratore Jachia. Ma si affretta a precisare: "Anche la pista privata e' sfumata". Chi ha ucciso Scopelliti? Il delitto sembra caduto nel dimenticatoio. In realta' , l'unica pista che si continua a battere e' quella calabrese: una vendetta della 'ndrangheta. Il movente e' oscuro. "Potrebbero averlo sollecitato con qualche richiesta di favori - dice Vincenzo Macri', sostituto procuratore generale -Potrebbero, al contrario, aver avuto l'impressione che Scopelliti abbia favorito qualcuno. Forse attraverso qualche intermediario i malavitosi erano arrivati a lui. Ma il contatto sperato e' andato a vuoto e cosi' gliela hanno fatta pagare... Mi chiedo anche se vi sia un collegamento con la "pax mafiosa" che da un po' di tempo sembra regnare in Calabria. Negli ultimi mesi e' cresciuta la pressione estorsiva ma sono cessati i regolamenti di conti tra "famiglie". Viene da pensare che i boss della 'ndrangheta abbiano stipulato tra loro un patto di ferro... Certo, Reggio non e' Palermo, tuttavia si tende a sottovalutare la situazione. La criminalita' calabrese, se si escludono i sequestri, continua ad essere considerata di serie B. Neppure l'omicidio Scopelliti ha segnato una svolta. Dei grandi propositi pronunciati nei giorni che seguirono il delitto non e' rimasta neppure l'eco". [18]

 

 

Lunedì 10 agosto 1992

 

Tina Anselmi conferma le preoccupazioni espresse dal presidente del Senato Spadolini in merito alle minacce di centri di potere come la P2 alla vita democratica italiana: “Andatevi a rileggere il cosiddetto piano di Rinascita democratica di Gelli. I temi che aveva sviluppato allora sembrano benissimo potersi applicare nel 1992. C’era allora e c’è oggi una situazione politica instabile, c’era e probabilmente torna l’aspirazione ad impadronirsi del potere. C’è oggi chi reclama riforme del tipo di quelle suggerite dal gran maestro.” [19]

 

L’allarme di Spadolini viene raccolto da Luciano Violante che dichiara: “Potrebbe trattarsi dello stesso intreccio dei tempi di Sindona e Calvi o di un intreccio nuovo perfino più pericoloso… sulla base di ciò che è avvenuto finora mi sembra che gli obiettivi di Cosa Nostra potrebbero essere due: o andare ad uno scontro durissimo sino ad una specie di riconoscimento, anche solo implicito, da parte dello Stato della sua forza e dei suoi spazi; oppure creare un proprio partito politico che punti ad una fortissima autonomizzazione della Sicilia, anche in vista della sua utilizzazione militare in funzione dei nuovi modelli di difesa. Secondo i nuovi strateghi la cintura di sicurezza non è più tra est ed ovest, ma tra nord e sud del mondo; e la Sicilia è, al centro del Mediterraneo, una specie di terra di cerniera tra nord e sud del mondo… Rispetto alle affermazioni di Tina Anselmi l’on. Violante commenta: “Sono mutati alcuni punti di riferimento internazionali e nazionali che erano indispensabili nella logica della P2. E’ stato superato il bipolarismo e il PCI non c’è più. Oggi lo scontro non è più tra conservazione ed innovazione, ma tra due tipi di innovazione: una progressista ed una reazionaria. Di questo secondo tipo potrebbero fare parte alcuni punti del piano di Gelli. Ma credo che quella cospirazione di cui  parla Spadolini possa avvalersi oggi di un progetto più nuovo rispetto a quello di rinascita democratica, proprio perché stanno cambiando i cardini del sistema politico…Licio Gelli può essere l’uomo di passaggio tra vecchio e nuovo, perché credo che valga di più per ciò che ha fatto piuttosto che per ciò che fa ora. Nessuno gli darebbe un incarico per gestire un nuovo progetto, ma Gelli ha ancora molte possibilità di ricatto.” [20]

 

Il ministro della giustizia Claudio Martelli apre una nuova inchiesta sul procuratore della Repubblica di Palmi Agostino Cordova. Fra ispezioni e inchieste, e' la quinta volta che Cordova viene sottoposto a controlli negli ultimi quattro anni. Questa volta l'indagine vuole fare luce sulla vicenda di Francesco Macri', ex presidente del comitato di gestione della Usl di Taurianova, detto Ciccio Mazzetta, condannato per reati legati alla pubblica amministrazione. Macri' si e' reso latitante dopo che due sentenze lo avevano condannato complessivamente a circa 10 anni di reclusione. L'inchiesta ministeriale, fanno sapere dal ministero della Giustizia, non riguarda solo Cordova, ma tutti gli uffici giudiziari di Palmi. Ha come finalita' l'acquisizione di informazioni sull'andamento degli uffici che operano nelle zone calde.[21]

 

Il Csm approva il trasferimento di Pietro Giammanco alla Corte di Cassazione. Lo spostamento e' approvato dal plenum del Csm con 25 voti favorevoli e 3 astenuti. Ma il dibattito precedente il voto fa registrare alcuni momenti di forte tensione. Giammanco aveva chiesto di propria iniziativa di lasciare Palermo, dopo le polemiche sul suo operato che si erano accese dopo l'assassinio del giudice Borsellino. Il consigliere Pio Marconi, laico designato dal Psi, ha detto che la richiesta del magistrato si doveva accogliere perche' cosi' si riportava serenita' a Palermo, ma anche perche' Giammanco "ha alti meriti di indiscussa imparzialita' e alta professionalita' ". Una motivazione che non e' piaciuta a tutti. I consiglieri Nino Condorelli (Movimenti riuniti) e Gennaro Marasca (Magistratura democratica) si sono detti contrari a questo tipo di interpretazione, contestando gli alti meriti attribuiti a Giammanco. Si e' alzato il consigliere Luciano Santoro (UniCost), presidente della I commissione del Csm, (quella che decide sui trasferimenti d'ufficio), e ha detto che aveva qualcosa "di segreto e grave da dire sul collega Giammanco". E ha invitato i giornalisti a uscire per continuare la seduta a porte chiuse. Non si sa cosa abbia riferito. Si e' arrivati poi a un compromesso. Dalla motivazione e' scomparsa la dicitura "alti meriti di imparzialita' e professionalita'". E quasi tutti i consiglieri hanno accettato di concedere a Giammanco il trasferimento. [22]

 

Il procuratore generale della Cassazione, Vittorio Sgroi, nomima Giuseppe Di Gennaro reggente della Superprocura in attesa che il Csm scelga il magistrato ufficiale destinato a guidare la Direzione nazionale antimafia. Giuseppe Di Gennaro é considerato uno dei massimi esperti internazionali nella guerra ai narcotrafficanti, perche' ha diretto per 9 anni l'ufficio dell'Onu per la lotta contro il traffico di droga. [23]

 

 

Martedí 11 agosto 1992

 

Si svolge a Palermo la commemorazione del professor Paolo Giaccone, assassinato dieci anni fa dalla mafia perche' non aveva voluto modificare i risultati di una perizia medico-legale. Camilla Giaccone, la figlia maggiore del primario ucciso, e' di parola e non partecipato alla manifestazione. Per lei la cerimonia "e' stata organizzata da rappresentanti delle istituzioni privi di ogni legittimita' morale", mentre "ben altro dovrebbe fare lo Stato per dimostrare che le vittime del potere mafioso non sono morte invano". Assente Camilla, alla cerimonia, che si svolge in mattinata lungo i viali del Policlinico, c'é pero' la madre, Rosetta Giaccone, con gli altri tre figli. "Non la contesto - dice la vedova -, ma non sono d'accordo, tanto che sono qui. Camilla ha agito d'impulso dopo i delitti tremendi di Falcone e Borsellino. Chissa' - conclude - cos'e' scattato dentro di lei, forse una molla di ribellione e di nervosismo". [24]

 

Viene ucciso a Catania in un agguato di stampo mafioso Sergio Lo Giudice Sergio,  quarantatre' anni, geometra, denunciato per estorsioni, associazione mafiosa, detenzione di esplosivo, indicato dagli investigatori come un affiliato al clan Pillera-Cappello. Era stato anche imputato al maxiprocesso alle cosche catanesi, scaturito dalle rivelazioni del pentito Filippo Lo Puzzo, ma era stato assolto. La vittima dell'agguato era fratello di Diego Lo Giudice, 41 anni, deputato regionale socialdemocratico, e di recente assessore all'Industria nella giunta guidata dal dc Vincenzo Leanza e attuale consigliere comunale di Catania.[25]

 

 

Mercoledì 12 agosto 1992

 

Tina Anselmi torna sull’argomento mafia-P2: “Vedo che si sono aperti gli spazi e che sono maturate le condizioni perché qualcuno trami davvero contro la democrazia. Bisogna stare attenti, molto attenti. D’altra parte è proprio la debolezza del sistema politico che ha aperto questi spazi che qualcuno potrebbe davvero tentare di riempire. Ho parlato del vecchio piano di rinascita democratica di Gelli e confermo che leggerlo oggi fa sobbalzare. E’ in piena attuazione. D’altra parte non vorrei che si dimenticasse che noi identificammo poco più di 900 appartenenti alla P2 mentre invece gli affiliati erano quasi duemila. Chi sono gli altri? Dove sono finiti? Che stanno facendo? Vorrei proprio saperlo. Lo spazio lasciato vuoto dal sistema e dalla crisi dei partiti potrebbe essere occupato da qualcosa di diverso che potrebbe operare in stretta connessione con la mafia. O almeno quella che noi conosciamo come tale. Con l’uccisione di Falcone e Borsellino  la mafia ha voluto dimostrare agli italiani che è più forte delle Istituzioni. E’ stata una barbara riaffermazione di potere. Chi ha grandi mezzi e tanti soldi fa sempre politica e la fa a livello nazionale ed internazionale. Ho parlato in questi giorni con un importante uomo politico italiano che vive nel mondo delle banche. Sa cosa mi ha detto? Che la mafia è stata più veloce degli industriali e che sta già investendo centinaia di miliardi, frutto dei guadagni fatti con la droga, nei paesei dell’est. Parlo della mafia italiana. E’ immaginabile cosa staranno facendo le organizzazioni mafiose americane e del resto del mondo. Stanno già comprando giornali e televisioni private, industrie e alberghi…Quegli investimenti si trasformeranno anche in precise e specifiche azioni politiche che ci riguardano, ci riguardano tutti. Dopo le stragi di Palermo la polizia americana è venuta ad indagare in Sicilia anche per questo, sanno di questi investimenti colossali, fatti regolarmente attraverso le banche.” [26]

A Tina Anselmi fa eco Ciriaco De Mita che aggiunge: “Informatevi sullo scontro che c’è nei paesi dell’est e vi accorgerete di una presenza inimmaginabile della massoneria internazionale.”

 

Il Corriere della Sera scrive che é quasi certo che a settembre ritireranno le dimissioni gli 8 sostituti della procura distrettuale antimafia di Palermo, dopo il trasferimento del capo dell'ufficio, Giammanco, alla Cassazione, anche se nessuno dei "dissidenti" ha voluto confermarlo. Ancora ci sarebbero molti aspetti da chiarire della vicenda che li ha visti protagonisti. Gli otto magistrati, per ora, sarebbero soddisfatti a meta' perche' da parte dello Stato non sarebbero stati adottati quei provvedimenti - come la sicurezza dei magistrati inquirenti, il coordinamento delle indagini, una direzione autorevole della procura, la cattura dei latitanti storici - rilevati nel loro documento di luglio. In attesa che venga nominato il successore di Giammanco, l'ufficio e' affidato al procuratore aggiunto piu' anziano, Elio Spallitta (che ha gia' precisato di non essere in corsa per la carica di procuratore capo), affiancato dal pari grado Vittorio Aliquo'. [27]

 

 

Giovedí 13 agosto 1992

 

Il Corriere della Sera pubblica un´intervista al capo della squadra mobile di Palermo, Arnaldo La Barbera, che sta investigando sulle stragi di Capaci e via D´Amelio:

 

Arnaldo La Barbera e' capo della Squadra mobile. Un Palazzo occupato, negli ultimi trenta anni, da una folla di fantasmi e di segreti. All'ingresso una lapide ricorda funzionari e agenti massacrati. L'uomo non festeggia i suoi quattro anni di permanenza a Palermo. Forse si considera un sopravvissuto. E per parlare con lui occorre l'intervento gerarchico del questore Matteo Cinque che dice: "Va bene. Parli pure con La Barbera. Non so cosa le dira'. Ogni notizia puo' recare danno. Questo e' un momento delicato. Si e' aperta una strada. E non sappiamo dove portera' ". Su questa premessa, La Barbera e' disposto a parlare.

Adriano Baglivo (G): “La prima domanda e' di rigore: e' appena trapelata un'indiscrezione sulla perizia sul telefono della madre di Borsellino. Il risultato confermerebbe che l'apparecchio era controllato. Il telefono di Borsellino e' stato intercettato da Cosa nostra?”

Arnaldo La Barbera (B): "Ci sono cose che lasciano perplessi. Bisogna stare attenti a dare un'interpretazione univoca ai segnali telefonici. La rete di Palermo, si sa, e' quella che e'. E' probabile, ma lo sapremo presto con sicurezza".

G: “La pista palestinese?”

B: "Sono scettico. L'artificiere della mafia non puo' essere ne' un palestinese, ne' un picciotto di Agrigento".

G: “L' idea di una pista realistica?”

B: "Borsellino aveva scoperto un nuovo organigramma della mafia. C'e' una marea di picciotti, pronti a tutto".

G: “Le altre piste internazionali?”

B: "No, e' meglio guardare in casa. Io sono uomo di marciapiede. Lavoriamo sulle strade siciliane. E, sempre, con i piedi per terra. Mandanti e killer sono siciliani".

G: “E del materiale sparito dal bagagliaio dell'auto di Falcone?”

B: "Di Falcone non e' sparito nulla. Se poi quello che e' stato trovato ha subito manomissione, e' un altro discorso. Le borse del giudice non sono state aperte neppure da noi. Le abbiamo piantonate e consegnate all'autorita' giudiziaria. Nulla e' sparito. Se poi, all'interno della borsa, qualcosa e' stato successivamente manomesso, modificato, si sapra'. E' in corso un'inchiesta".

G: “Il movente?”

B: "Borsellino e Falcone non sono omicidi che vanno considerati a se stanti. Bisogna partire da Lima, che un significato ce l'ha".

G: “Di tipo politico?”

B: "E' il caso di guardare oltre. Ai delitti Saetta e Scopelliti. Sul delitto Lima, Falcone diceva: "Qui e' saltata un'assicurazione sulla vita. Dovremo sapere perche' ".

G: “Il problema del tritolo, delle autobombe. Compreso l'attentato a Pippo Baudo?”

B: "Certo, cose tecnicamente preparate. Da professionisti. Piu' il filo si allunga e piu' bisogna stare attenti a come si tira".

G: “Chi potrebbero essere i mandanti?”

B: "Sono delitti di mafia pura. Non terroristico-mafiosi, come si dice".

G: “Il commando e' lo stesso?”

B: "Staremo a vedere. Il delitto Borsellino e' piu' vicino a quello di Chinnici. Il posto da cui e' partito l'impulso del telecomando era dietro il muretto del giardino di via D'Amelio. Abbiamo trovato le sgommate dell'auto dei killer in fuga".

G: “E la posizione del vigilantes Sanna?”

B: "Sanna non puo' non aver visto. E' in galera per reticenza".

G: “E se viene fuori e lo ammazzano?”

B: "E' un problema suo".

G: “Le perizie?”

B: "Per Borsellino, si stanno facendo prove sulle macchine, su un amplificatore ed in base ai danni provocati sugli edifici di via D'Amelio dall'onda d'urto. Siamo a buon punto. Per Falcone, proveremo una "fiction", sara' ricostruito in un poligono il tratto di trecento metri di autostrada di Capaci, con le ipotesi, da verificare, su tipo, quantita', percentuale dei componenti dell'esplosivo, velocita' dei veicoli, canaletto".

G: “Quanta gente di Cosa nostra e' in grado di preparare questi attentati?”

B: "Sono moltissimi. La preparazione della strage di Capaci e' stata piu' macchinosa di quella di Borsellino. La bomba collocata in 39 metri di strada, fatti esplodere con il tempo di un secondo, per colpire una macchina a 120 chilometri orari".

G: “Il sistema di puntamento?”

B: "E' un'ipotesi che non posso riferire. Mi chiede troppo. C'e' qualcosa che gode di maggiori consensi e spiegherebbe i riscontri tecnici".

G: “Gli identikit diffusi dalle tv americane?”

B: "Alcuni hanno trovato riscontro in facce note. L'indagine puo' essere indirizzata verso personaggi gia' noti. Sebbene con gli identikit non si e' mai risolta un'indagine. Far luce su cio' che e' accaduto non e' cosa che si puo' fare tra oggi e domani".[28]

 

Il superprocuratore Giuseppe Di Gennaro incontra a Palermo i magistrati del capoluogo siciliano. All´incontro sono presenti due degli otto sostituti “dissidenti” che stanno ancora valutando se ritirare le dimissioni in attesa di segnali concreti da Roma sulla lotta alla criminalitá mafiosa: Ignazio De Francisci e Nino Napoli. Il primo, assieme agli altri sei assenti, e' in "ferie". Era presente soltanto perche' invece di camminare per le strade di Palermo aveva preferito andare a Palazzo di Giustizia. Gravi problemi di sicurezza. Napoli racconta: "Non e' stata presa alcuna decisione su un possibile ritiro delle nostre dimissioni. Continuiamo ad occuparci, comunque, delle inchieste di mafia". De Francisci commenta le parole di Di Gennaro prendendo le distanze: "Al rientro dei colleghi dalle ferie, vedremo cosa fare. Per ora e' prematura ogni considerazione. Con il procuratore capo aggiunto discuteremo. Poi si vedra' ". [29]

 

Il governo vara un disegno di legge del ministro dell'Interno Nicola Mancino che crea una nuova figura, il segretario generale del Dipartimento di pubblica sicurezza. Sara' il massimo collaboratore del ministro e avra' il compito di coordinare e sovrintendere al lavoro del capo della polizia e dei comandanti generali dei carabinieri e della guardia di finanza. "Restano in piedi - chiarisce il ministro dell' Interno Mancino -. le autonomie ordinamentali dei diversi corpi, ma nei compiti di polizia tutte le forze sono collegate direttamente al segretario generale, che ha una forma di coordinamento ma anche di sovracoordinazione diretta rispetto alla polizia di Stato e alla Dia e indiretta rispetto ai carabinieri e alla Finanza". Come possibile candidato circola il nome del capo della polizia Vincenzo Parisi. Il Parlamento esaminerá a settembre il disegno di legge del governo.[30]

 

In consiglio dei ministri si discute anche dell'assegnazione delle frequenze televisive essendo vicino uno dei termini di scadenza della legge Mammí (23 agosto). Il governo di Giuliano Amato da il via libera alle concessioni per 9 televisioni a trasmettere, in regola con la legge, su tutto il territorio nazionale (tre reti Rai, tre reti Fininvest, Telemontecarlo, Rete A e Videomusic) e ad altre 800 circa a diffondere programmi a livello locale. Le tre Telepiu', cioe' le pay-tv che fanno capo alla Fininvest, avranno le concessioni a patto che rispettino alcuni obblighi relativi alle interruzioni pubblicitarie che saranno soggette a limiti rigorosi, agli avvenimenti sportivi di piu' rilevante interesse che non dovranno essere sottratti al godimento generale, e ad una quota di trasmissioni gratuite e "in chiaro" che dovrá essere dedicata ai lavori parlamentari e a programmi di promozione culturale.

Dura la reazione del presidente della Fieg Giovanni Giovannini, secondo il quale "l'unica cosa chiara e' che la Fininvest si porta a casa le sue tre reti: per tutto il resto la confusione e' totale... Per le tre tv a pagamento le concessioni saranno rilasciate subordinatamente all'adozione di prescrizioni molto vagamente accennate. Ma non si dice ne' il quando ne' il come. E nemmeno e' chiaro quali e quante emittenti saranno oscurate (tra dieci giorni!). E tutto un preannuncio di ricorsi, querele, richieste di danni per miliardi a centinaia... Poiche' al di la' dei legittimi scontri ed interessi di parte, quello che drammaticamente manca nel Paese e' la coscienza dell'unitarieta' del nostro villaggio globale, della insensatezza di una guerriglia sparsa e confusa oggi attorno alle tv private, domani a quella pubblica o alla carta stampata e cosi' via. In questo caos, qualcuno ci sguazza: ma la piena liberta' di comunicazione ne soffre. E questo il vero problema ben piu' importante dei suoi iniqui e pur rilevanti riflessi economici... Il governo, alle prese, e cosi' brillantemente, con tanti enormi problemi, non ha creduto di poter fare diversamente: certo potra' farlo il Parlamento". [31]

 

Il presidente del Consiglio Giuliano Amato presenta al Parlamento la relazione sulla politica informativa e della sicurezza, relativa al primo semestre '92. Nel documento viene messa in evidenza la derivazione terroristica dei metodi mafiosi. "Consapevole dello sdegno e del crescente rifiuto che sempre piu' forti la sua attivita' provoca nella coscienza popolare, la mafia ha mutuato metodi terroristici allo scopo di intimidire, di alienare il consenso della gente dalle istituzioni e di suscitare sentimenti di sconforto, di abbandono e di sconfitta". In particolare sono tre i moventi che stanno dietro le stragi. La vendetta contro i magistrati (gli "eroici magistrati", vengono definiti nella relazione) che sono riusciti a portare dietro le sbarre i boss di Cosa nostra. C'e' poi il tentativo di prevenire l'azione di ricostruzione su base nazionale di quelle strutture e di quei metodi che "disciolti a Palermo nella seconda meta' degli anni Ottanta, erano stati alla vera origine della prima debacle giudiziaria della mafia". E infine l'intimidazione di pentiti, magistrati, governo, classe politica, forze dell'ordine e cittadini". "Non vi e' dubbio che la minaccia piu' incombente sulla sicurezza dello Stato -. si legge nella relazione di Amato - e' costituita, al momento, dall'azione fortemente destabilizzante del crimine organizzato". Il governo e' "perfettamente consapevole della gravita' del momento". Ma per fronteggiare nel modo piu' efficace la criminalita' organizzata - si sottolinea nella relazione - c'e' bisogno di una "ritrovata unita' di tutte le forze politiche e sociali". Una unita' che "in un passato recente ha gia' consentito di superare pericoli eversivi". [32]

 

Il ministro di grazia e giustizia Claudio Martelli invia una lettera al capo dell'ispettorato generale del ministero per sollecitare un´ispezione alla prima sezione della Corte di Cassazione presieduta da Corrado Carnevale.

Gli 007 del ministero di Grazia e Giustizia dovranno verificare la correttezza dell'intera gestione della sezione presieduta dal magistrato "ammazza-sentenze", con particolare riferimento ai criteri in base ai quali viene scelta la composizione dei collegi giudicanti e viene stabilita l'assegnazione dei processi. Per controllare se non ci siano stati favoritismi, vista anche la delicatezza delle cause che fino a poco tempo fa finivano esclusivamente alla Prima sezione. In sostanza si mette in discussione la gestione che della sezione e' stata fatta dal suo presidente titolare, e cioe' Corrado Carnevale che e' il "dominus" incontrastato nella definizione dei ruoli e dei collegi e dei relatori delle cause principali. Una situazione che e' ben nota al capo degli ispettori, Ugo Dinacci, che e' stato per qualche tempo uno dei consiglieri della sezione. Il ministro Martelli vuole affrontare una volta per tutte anche il problema del ruolo della Cassazione all'interno del sistema penale (ruolo che si e' modificato nel corso degli ultimi anni, con continui sconfinamenti nella valutazione del merito dei processi) e, per preparare un adeguato intervento legislativo, ha insediato una Commissione presieduta da Giovanni Conso, ex presidente della Corte Costituzionale. Ne faranno parte magistrati, avvocati e professori universitari. Tra i primi designati l'ex capo del pool antimafia di Palermo Antonino Caponnetto; il professor Vittorio Grevi; il segretario generale presso la presidenza del Consiglio, Fernanda Contri; e Vittorio Chiusano, presidente dell'Unione delle Camere penali.

Ma torniamo all'ispezione. Tutto e' nato da un'inchiesta della Procura distrettuale antimafia di Palermo condotta da Paolo Borsellino. Dalle indagini e dalle rivelazioni di un pentito erano emerse collusioni e complicita' con organizzazioni criminali e con cosche dell'Agrigentino di un segretario della cancelleria della Prima sezione, Giuseppe Schiavone, andato in pensione nel 1991. Successivamente, il procuratore di Roma, al quale l'inchiesta palermitana era stata trasmessa per competenza, aveva segnalato "l'esistenza di prassi generalizzate e consolidate", accompagnate da "dazioni di danaro o altre utilita' ", riguardanti "i rapporti tra avvocati e personale di cancelleria per rilascio di copie, fissazioni di udienze, comunicazione di esiti e formazione di collegi giudicanti". Di qui la necessita', in via del tutto autonoma rispetto all'inchiesta penale, di verificare "la possibilita' - afferma il ministro Claudio Martelli nella lettera al capo dell'Ispettorato - che soggetti anche interni all'amministrazione ed in essa a qualsiasi livello collocati, per l'eventuale assenza o vaghezza dei criteri indicati, facciano sorgere nelle persone interessate il convincimento che l'assegnazione di un procedimento all'uno o all'altro collegio o giudice si concretizzi in un illecito trattamento di favore". L'ispezione ministeriale dovra' quindi accertare "l'esistenza di criteri oggettivi e predeterminati nella composizione dei collegi della Prima sezione e nell'individuazione dei singoli relatori, nonche' nell'attribuzione delle decisioni all'uno o all'altro collegio della sezione e ogni altro elemento di rilevanza disciplinare che dovesse emergere nel corso delle indagini". Va detto infine che gli accertamenti amministrativi predisposti ieri sono tutt'altro rispetto al famoso "monitoraggio" sulle sentenze della Prima sezione, predisposto gia' dall' llora ministro Giuliano Vassalli, il cui esito e' dato ormai come imminente. Dal monitoraggio difficilmente potrebbero scaturire delle conseguenze di tipo disciplinare nei confronti di Carnevale (trattandosi di un sindacato sul giudizio di un collegio giudicante). Cosa invece che potrebbe avvenire se l'ispezione appena disposta portasse alla luce delle irregolarita' . Quanto alla Commissione di studio, scopo del nuovo organismo e' quello di approfondire i problemi connessi con la complessita' delle competenze della Corte di Cassazione, nonche' di fornire al legislatore indicazioni e suggerimenti in vista di interventi normativi che consentano di razionalizzare il giudizio di legittimita' e di "riaffermare - dice Martelli - quella piena certezza del diritto che operatori e cittadini giustamente reclamano".[33]

 

 

Venerdí 14 agosto 1992

 

Il Corriere della Sera dà notizia di un piano di mafia e 'ndrangheta studiato per eliminare Giovanni De Gennaro (numero due della Dia) e il sostituto procuratore generale di Reggio Calabria Vincenzo Macri'. Il piano é stato svelato da un grosso narcotrafficante arrestato alcune settimane fa ad Amsterdam in Olanda. Il nome per ora rimane "top secret". "Vi posso assicurare che e' un personaggio attendibilissimo - confessa lo stesso giudice Macri' - lo conosco, ho avuto piu' volte a che fare con lui: conosce vita, morte e miracoli delle famiglie reggine".

"Mister X", dunque, viene sorpreso con le mani nel sacco dalla polizia olandese e rinchiuso in galera. Qualche giorno piu' tardi chiede di parlare con un funzionario dell'Ambasciata italiana, perche' ha cose importanti da riferire. Di che si tratta? Il futuro "collaboratore" si rifiuta di fare anticipazioni. "Parlero' solo ad un consigliere della mia ambasciata", dice. Ecco, allora, la rivelazione. Il racconto di "Mister X" e' pieno di fatti concreti, di riscontri, di protagonisti ben noti. Pure il colonnello Angiolo Pellegrini, responsabile della Dia in Calabria, e' convinto che il "nostro uomo" stia dicendo la verita'. Dunque, mafia e 'ndrangheta avevano studiato un piano per eliminare De Gennaro e il sostituto procuratore generale Macri'. Una "omicidio-connection" che avrebbe dato respiro ad entrambe le organizzazioni. Alle cosche siciliane e, in particolare a quella di Ciaculli, Giovanni De Gennaro non dava tregua. Prima, come responsabile del servizio operativo della Criminalpol, poi come vicecapo della Dia. Ma perche' proprio le cosche reggine? Per la semplice ragione che De Gennaro e' calabrese, le ferie le avrebbe passate nella sua casa di Monasterace. E li', la 'ndrangheta avrebbe potuto agire con sicurezza. Per ricambiare il favore, Cosa nostra avrebbe dovuto uccidere il giudice Macri'. "Sono un bersaglio facilissimo", ha commentato lo stesso giudice, che e' ancora senza scorta. [34]

 

 

Sabato 15 agosto 1992

 

Il Ministro dell’Interno Nicola Mancino fa visita ai commercianti di Capo D’Orlando in Sicilia. Durante un’assemblea pubblica nella sala comunale Mancino fa improvvisamente intendere che vi sarebbero indagini in corso su Licio Gelli: “Abbiamo varato altre leggi, stiamo perfezionando altri meccanismi. Adesso alla magistratura ed alla guardia di finanza spetta un compito duro: andare ad accertare i patrimoni indebiti, le ricchezze accumulate illegalmente…Per esempio il cittadino Gelli lo vogliamo sottoporre a verifica? Non il ministro deve farlo, non il governo. Devono farlo gli apparati dello Stato.” Alle domande dei giornalisti su controlli in corso il Ministro è allusivo. “Alcuni…non so…a me sembra assurdo che si facciano movimenti bancari di 500 milioni per volta e nessuno se ne accorga. Questo signore, cittadino come gli altri, lo vogliamo sottoporre ad indagine?... Io penso ad esempio che i magistrati di Arezzo possano indagare sulle recenti intermediazioni fatte da Gelli e del resto ammesse dai suoi stessi avvocati.” [35]

Più tardi in serata si verrà a sapere che Gelli è già sottoposto ad indagine dalla procura aretina.

Casualmente lo stesso giorno compare sull’Indipendente un’intervista dello stesso Gelli in cui il massone lancia accuse di illegittimità sulla perquisizione ordinata dai magistrati milanesi Turone e Colombo il 19 marzo 1981 in seguito alla quale emersero gli elenchi della P2. Gelli ammette di essere "un banchiere senza licenza" e di aver movimentato qualcosa come 17 mila miliardi di lire al cambio attuale. Ed e' sempre l'ex maestro venerabile ad avanzare un inquietante parallelismo: "Il capitale finanziario e' come l'esplosivo: se chi lo maneggia e' competente e soprattutto serio e affidabile si comporta docilmente (...) altrimenti gli scoppia in mano. Io lo so maneggiare".[36]

Gelli lancia oscuri messaggi facendo riferimento ad una parte di iscritti che non sarebbero stati scoperti ed affermando che Sindona è stato suicidato. Per trovare il movente, conclude sempre Gelli, bisognerebbe indagare nell’ambiente politico dove aveva gratificato tanta gente per tanti anni.

 

 

Lunedì 17 agosto 1992

 

Il Corriere della Sera conferma le indiscrezioni su un´indagine della magistratura a carico di Licio Gelli citando come fonte dell´informazione ambienti vicini al ministro. [37]

Il sostituto procuratore Elio Amato, titolare alla procura di Arezzo delle indagini su Licio Gelli, polemizza apertamente sull’uscita di Mancino: “Io dico che certe indagini non hanno bisogno di pubblicità. Se stiamo facendo delle indagini delicate è inutile tirarle fuori perché se chi doveva stare in campana…E’ inutile che noi stiamo qui a lavorare da mesi se poi una voce incontrollata…” [38]

La risposta del Ministro Mancino non si fa attendere ed é affidata ad un comunicato emesso dal Viminale: “Di fronte a grossi movimenti di capitale, come lascia intendere lo stesso Gelli in recenti interviste e come conferma Amato, piuttosto che risentirsi, sará il caso di fare bene e presto... nessuno deve intralciare, ma nessuno, neppure il giudice Amato, che si sta interessando della vicenda dal lontano mese di marzo, puó pretendere terreni di caccia riservata, quando la questione tocca interessi generali che vanno oltre la persona di Gelli”. [39]

Contemporaneamente compare sul mensile cattolico 30 Giorni un’intervista ad Armando Corona, ex-capo del grande oriente d’Italia. L’uomo che gestì il dopo Gelli all’interno della massoneria. Corona afferma che la P2 è stata inventata come una specie di Gladio massonica, perché la massoneria americana non si fidava di Lino Salvini, giudicato troppo di sinistra. Corona spiega che gli USA hanno bisogno di una massoneria di provata fede atlantica e così è nato Gelli.

 

Un portavoce della misteriosa organizzazione Falange armata telefona nel pomeriggio all'agenzia Adn Kronos per lanciare, con un forte accento siciliano, oscure minacce di morte. Destinatario: il ministro degli interni Nicola Mancino: "La retorica posticcia della fratellanza in armi messa in campo da lui e da altri suoi non meno compromessi compari non potra' reggere a lungo al vuoto lasciato dalla scomparsa del nemico comune. Mancino se ne accorgera' prestissimo, sulla propria pelle. Ha voluto anche lui saggiare la reale volonta' e determinazione degli avversari. Ha cominciato cautamente a sfidarli, aumentando a poco a poco la provocazione, finche' a un certo punto l'avversario si muove, deve muoversi, si indigna, prende contromisure energiche".

Qualche giorno prima un'altra telefonata della Falange aveva annunciato attentati contro il ministro di giustizia Claudio Martelli e il direttore dell'amministrazione penitenziaria Nicolo' Amato.[40]

 

 

Martedì 18 agosto 1992

 

Mancino risponde alle critiche del Pm Amato dicendo: “Se la gente ed anche il giudice di Arezzo prima di parlare si documentasse ci si risparmierebbe tante inutili polemiche. Io sono venuto a conoscenza dei movimenti di Gelli dai servizi informativi del ministero e ne ho parlato non per conoscenza diretta delle indagini giudiziarie in corso, ma sotto la forte impressione suscitata da quanto aveva affermato lo stesso Gelli in un’intervista al quotidiano L’Indipendente.” [41]

Una fuga di notizie su Panorama permette al settimanale di pubblicare importanti elementi sull’inchiesta che il PM Amato sta conducendo a carico di Gelli.

Anche il Corriere della Sera riporta elementi dell´indagine a carico di Licio Gelli e scrive che l´ex venerabile sarebbe indagato per tre ipotesi di reato tra cui riciclaggio. L´indagine sarebbe partita a marzo 1992 su segnalazione di un istituto di credito dove uno dei legali del Gelli aveva effettuato operazioni bancari per enormi importi di denaro. Interpellato dal Corriere, il sostituto procuratore Amato ha dichiarato che nei confronti di Gelli non e' stata emessa ancora alcuna informazione di garanzia. "Questo pero' - ha detto Amato - non ha niente a che vedere con il fatto che uno sia implicato o meno fortemente nell´indagine. Infatti, in base al nuovo codice, l'indagato deve essere "avvisato" solo quando si compiono atti istruttori cui ha diritto di assistere il suo difensore". [42]

Giuseppe Ayala concorda con l´allarme lanciato da Spadolini sugli intrecci mafia-P2. In un´intervista al Corriere della Sera il deputato del Pri afferma: "Spadolini ha ragione. Ci sono una serie di episodi, anche processuali, che dimostrano come nel corso della sua storia l'organizzazione mafiosa ha avuto rapporti molto stretti con i poteri occulti del Paese. Rapporti pericolosi". In particolare Ayala ricorda la testimonianza di Buscetta riguardo al coinvolgimento di Cosa Nostra enl tentato Golpe Borghese.[43]

 

Il quotidiano toscano La Nazione riporta che nelle vicinanze dell´isola di Pianosa sarebbero stati avvistati subacquei che, dopo esser stati notati, si sarebbero immediatamente allontanati. L'avvistamento sarebbe stato compiuto dalla fregata Carabiniere, una delle due unita' della marina militare che fino a qualche giorno fa pattugliavano le acque attorno a Pianosa. Nessuna imbarcazione di appoggio sarebbe stata individuata. Il quotidiano fiorentino collega quest'episodio all'escalation di violenza criminale nella vicina Corsica, anche perche' da uno dei centri dell'irredentismo isolano, La Ghisonaccia, si tiene sotto controllo il braccio di mare che separa l'isola francese da Pianosa. Potrebbe quindi essere una base operativa per chi fosse interessato a un qualche "blitz" verso l'isola bunker toscana, magari alcune frange di separatisti corsi alleate alla mafia: piu' che per uno sbarco vero e proprio, forse per la creazione di canali di comunicazione tra i boss in carcere e i loro luogotenenti. Secondo la prefettura si tratta comunque di ipotesi fantasiose.[44]

 

 

Mercoledí 19 agosto 1992

 

Il Corriere della Sera scrive che dietro lo scontro fra il ministro dell´interno Mancino ed il PM Elio Amato ci sarebbe una difficile collaborazione tra il sostituto aretino e la guardia di finanza autrice delle indagini patrimoniali su Lico Gelli: due, tre anni fa, la Guardia di Finanza aveva denunciato l'avvocato di Gelli, Giorgetti, per un acquisto di titoli di Stato per miliardi. Con successivo processo per riciclaggio. Situazione poi abortita per mancanza di prove. Anche allora, soldi di Gelli e archiviazione del Gip. Ora l´operazione si e' ripetuta. Il reato da contestare e' quello del riciclaggio. Su quali prove? La Finanza insiste, a questo punto, per la convocazione e la segnalazione diretta a tre organi di Stato: il comando della polizia valutaria di Roma, l'alto commissariato antimafia e il questore di Arezzo. Ma su quale base si puo' parlare di denaro sporco? Questo e' il nodo e qui c'e' lo scontro tra due intuizioni investigative. La Finanza, orientata verso lo sfondamento del "muro Amato", e il giudice che applica alla perfezione la legge. La vicenda Gelli-Finanza-Amato arriva sul tavolo di Mancino. E il discorso del ministro suona come un travolgente atto d'accusa. C´e' da aggiungere che i rapporti tra la Finanza e il magistrato, un po' bui e freddi nei mesi scorsi, ora sono improntati a collaborazione e stima. Dalla guerra alla pace. Tutto vero?

Dal canto suo in merito alla polemica nata sul caso Gelli il ministro Mancino dichiara: "Ho fatto solo il mio dovere. Apriamo i libri di Gelli e accertiamo. Se e' tutto regolare meglio". Mancino precisa di aver avuto "attraverso i servizi informativi del ministero" le notizie. "Mi hanno fatto molta impressione". Mancino sottolinea: "Il passato di Gelli deve allertare anche sul suo presente. Anche per evitare che eventuali intrecci si consolidino e il Paese ne soffra". Preccupano il ministro le "casse di documenti mai sequestrate sugli iscritti alla P2" di cui ha parlato Gelli e, conclude Mancino, le "solidarieta' che oggi prendono corpo. Gelli sarebbe bell' e dimenticato senza queste rinate solidarieta' ".  [45]

 

Sempre il Corriere della Sera rilancia un articolo del settimanale cattolico Il Sabato in merito ai rapporti Chiesa-massoneria: Prendendo spunto dal dibattito in atto in questi giorni sull'attualita' e sulla pericolosita' della loggia P2, il periodico cattolico scrive: "Forse quello che non e' ancora chiaro e' che questa loggia di garanzia di interessi USA ha continuato a garantirli efficacemente anche nel decennio ' 81-'91, dopo - non dimentichiamolo - quell'attentato a Giovanni Paolo II, preannunciato come cosa facile da realizzare da parte dei servizi segreti con due mesi di anticipo da Licio Gelli". "Ma qui ci interessa notare che l'opera di garanzia - si legge nell'editoriale - e' proseguita anche attraverso un progressivo imporsi del pensiero piduista all'interno stesso della Chiesa. Anche perche' dopo l'attentato a Woytjla, con le morti improvvise dell'arcivescovo di Firenze Benelli nel 1982 e di quello di Bologna Manfredini nel 1983, e' come se il signore avesse permesso che fossero eliminati i punti reali di resistenza al successo di tale cultura. Chiamiamo pensiero piduista l'aggiornamento di quell'americanismo che il magistero della Chiesa aveva gia' condannato". [46]

 

 

Giovedí 20 agosto 1992

 

In merito alla fuga di notizie sul settimanale Panorama relative all´inchiesta su Licio Gelli il PM Elio Amato dichiara: "Penso che le indiscrezioni sull'inchiesta condotta dalla magistratura anticipate da Panorama siano una manovra diretta ad affossare le indagini”. [47]

 

Il Corriere della Sera scrive che le indagini sulle stragi di Capaci e via D´Amelio sarebbero ad un punto di svolta grazie alla testimonianza di un collaboratore di giustizia: il cerchio delle indagini si stringe attorno al gruppo criminale tornato sulla scena con operazioni di stampo terroristico. Alla Procura di Caltanissetta il clima e' quello che precede le svolte clamorose e i dirigenti della squadra mobile di Palermo ammettono che per la prima volta, dopo centinaia di delitti impuniti, le indagini procedono nella direzione giusta. Gli investigatori hanno nelle mani la prova che dietro l eliminazione di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino sia stata una sola regia. Era un semplice sospetto ma e' diventato certezza grazie alle imbeccate di alcuni pentiti dell'ultima ora. Uno di essi, in particolare, sembra in grado di svelare molti dei misteri che ruotano attorno alle stragi di Capaci e via D'Amelio. Ogni tentativo di saperne di piu' cozza contro il muro di riserbo eretto attorno all'inchiesta. Gli investigatori sono abbottonatissimi e frenano la curiosita' dei cronisti spiegando che una fuga di notizie, in questo momento cosi' delicato, potrebbe mandare in fumo il paziente lavoro di intelligence durato alcune settimane. [48]

 

Sempre il Corriere della Sera cita un dossier sulla massoneria pubblicato dal mensile cattolico Trentagiorni a giugno 1992 e due interviste dello stesso mensile in merito alle coperture americane di cui godeva la P2: una a luglio al Gran Maestro Armando Corona (titolo "La Massoneria e l'applicazione della riforma liturgica") ed un´altra ad agosto a Tina Anselmi. Nel numero di luglio "Trentagiorni" denunciava "l'intreccio tra servizi segreti, "zucchetti" cardinalizi, massoni, che spesso ha portato la Chiesa a farsi interprete di progetti altrui". Faceva nomi, ma poco attuali e risaputi: i soliti Calvi e Sindona, Ortolani, Gelli, Marcinkus. Piu' curiosa - su "Trentagiorni" di agosto - una ricostruzione (nel decennale della morte) delle ultime giornate del cardinale Benelli che accredita una versione oscura di quell' infarto: ignoti avevano frugato tra le sue carte, egli non voleva farsi ricoverare in ospedale forse per "paura di un attentato alla sua vita". Conclusione clamorosa: "Cosi', insieme alla morte improvvisa di Giovanni Paolo I e di Enrico Manfredini, anche la morte di Benelli rimane un enigma". Simili accuse a ignoti erano contenute nel dossier a puntate "Tredici anni della nostra storia" pubblicato dal "Sabato" nel 1987: allora a "destare drammatiche domande" erano quattro "improvvise morti" di ecclesiastici. Oltre ai tre su cui insiste ora "Trentagiorni", veniva citata quella di Enrico Bartoletti (1976). [49]

 

A Palermo quattro banditi mascherati rubano un camion carico di esplosivi: tre quintali di esplosivo "tagex" a base di nitroglicerina, 13 detonatori, 400 metri di miccia. Una guardia giurata senza pistola stava portando con un camion a una cava nelle campagne tra Capaci e Torretta. Finiscono in carcere i titolari della ditta che effettuava il trasporto. Si tratta di marito e moglie, Pietro Badalamenti, 52 anni, e Maria D'Ugo, 44. Avrebbero dovuto chiedere un'autorizzazione alla questura anche per ottenere un servizio di scorta. E invece hanno fatto tutto in segreto. In manette anche l'autista, Francesco Virruso, 32 anni. Troppe crepe nel suo racconto ma i carabinieri si sono insospettiti quando hanno saputo che giusto ieri il metronotte aveva dimenticato la pistola a casa.[50]

 

 

Venerdì 21 agosto 1992

 

Il Corriere della Sera rivela alcune anticipazioni del dossier del settimanale Panorama sull´inchiesta che vede protagonista Licio Gelli: "Innocui titoli della Banca Nazionale del Lavoro e della Mediobanca utilizzati come garanzia per operazioni della criminalita' organizzata": e' questa - rivela il settimanale Panorama - la pista seguita dagli investigatori che indagano sulle operazioni bancarie di Licio Gelli. "I versamenti finora accertati - informa il periodico con un' anticipazione - ammontano a oltre 3 miliardi in contanti, divisi in tranche da 6-700 milioni, depositati fra il dicembre 1991 e il maggio 1992 nelle filiali di Arezzo della Bnl e del Banco di Roma. Altri versamenti, per importi forse superiori, sono stati effettuati presso la Banca Toscana. Con i contanti, Raffaello Giorgetti, l'avvocato che ha in cura il patrimonio dell'ex capo della loggia P2, ha acquistato certificati di deposito Bnl e Mediobanca zero coupon. Due investimenti tranquilli: non fruttano interessi elevati, non possono essere riconvertiti in denaro liquido prima della scadenza fissata. In compenso tutelano ampiamente il capitale". Scrive ancora Panorama: "Nel gennaio del 1992, dopo le prime segnalazioni delle banche, e' subito affiorato piu' di un dubbio. Si sono messe in moto Polizia e Finanza. E' partita l'indagine del magistrato di Arezzo, Elio Amato. E il fascicolo si e' ingrossato fino a divenire un dossier che il capo della Polizia, Vincenzo Parisi, e i responsabili della Divisione investigativa antimafia (Dia) hanno portato all'attenzione del governo. I primi risultati dell'inchiesta appaiono gia' esplosivi. I titoli acquistati per conto di Gelli sono stati impiegati come garanzia per operazioni altamente sospette. Almeno due istituti di Brescia e Sondrio hanno chiesto alle banche aretine la copertura per fidi da corrispondere a una finanziaria bresciana. Questa ha a sua volta emesso dei certificati di credito: a favore di un personaggio di spicco della camorra napoletana che, secondo gli investigatori, ha solidi legami con Cosa Nostra". Sempre secondo il settimanale l'inchiesta ha accertato che nell'aprile scorso, nella sua residenza di Villa Wanda, "si e' svolto un summit con tutti i protagonisti della vicenda. Compreso l´emissario della camorra. E compreso colui che viene considerato il consulente finanziario di Licio Gelli: Ennio Annunziata, ex comandante della Guardia di Finanza di Arezzo, il cui nome e' negli elenchi della P2". Gelli, raggiunto telefonicamente a Villa Wanda, ha detto: "Preferisco leggere Panorama quando uscira' per vedere quello che dicono, siccome vedo che il caldo sta colpendo ancora tante persone". Quanto ai certificati di deposito a cui si riferisce l'articolo, Gelli ha risposto: "Non mi interessa sapere quello che ha scritto la rivista perche' conti non ne ho". L'allarme su mafia e P2 e' stato anche al centro di un colloquio tra il Superprocuratore reggente, Di Gennaro, e il vicepresidente del Csm, Galloni. [51]

 

L’ex-sergretario della DC Flaminio Piccoli avanza in un’intervista al settimanale Il Sabato alcuni inquietanti scenari: “Sono convinto che in autunno ci saranno altri attentati. La grande macchina che manovra le cose in Sicilia e che ha fatto saltare Falcone e Borsellino non è siciliana. E’ una macchina italiana. Colpisce in Sicilia perché è lì adesso il punto debole del sistema. Ma sentiremo mordere anche a Roma e a Milano. Ho i capelli bianchi e en ho viste tante di stagioni. Per questo dico che Di Pietro è in pericolo. Loro hanno bisogno di una vittima, di un caso che esploda con lo stesso fragore di Matteotti. Ne hanno bisogno per poter dire: ecco, hanno ammazzato quello che metteva in galera i ladri. Ne ha bisogno chi arriverà dopo. Io vedo un’analogia tra il 1922 ed oggi. Ed il nuovo fascismo può avere tanti volti.” [52]

Forti perplessità sulle affermazioni di Piccoli vengono espresse da Gerardo D’Ambrosio: “E’ un periodo senza dubbio difficile per l’Italia, ma non è agitando lo spettro delle dittature che si risolvono i problemi. Se invece questo è un modo per suggestionare la gente e condizionare l’inchiesta…beh…noi non ci lascieremo turbare.”

In serata una nota Ansa riporta anche un durissimo commento di Francesco Borrelli, procuratore capo di Milano: “Il Procuratore della Repubblica di Milano si dichiara fortemente scandalizzato per le parole dell’on. Piccoli a proposito del magistrato Antonio Di Pietro. Se in possesso di informazioni, l’on. Piccoli avrebbe fatto bene a comunicarle alla procura della repubblica di Milano. Se si tratta di mere supposizioni, avrebbe dovuto astenersi dal darne una diffusione che oggettivamente, certo al di là delle intenzioni dell’on. Piccoli, conferiscono ad essa valenza di suggerimento ed intimidazione assieme.” [53]

 

Il Pm di Arezzo Elio Amato apre un’inchiesta "a carico di ignoti per accertare la provenienza dei documenti riservati sui quali sono stati elaborati servizi i cui contenuti sono stati anticipati da Panorama" a proposito dell’inchiesta su Licio Gelli. Di una cosa Amato e' certo: le notizie raccolte dal periodico non provengono dalla citta' toscana ma da Roma. Tanto che gli atti di cui riferisce il settimanale "sarebbero arrivati prima alla stampa che alla Procura competente". Una "talpa" romana, insomma, starebbe aiutando l'ex capo della P2 e i suoi soci.

 

A Palermo una telefonata anonima fa ritrovare il carico di nitroglicerina rapinato 2 giorni: in via Petrulla, a Passo di Rigano, si teme un'esplosione, un'altra strage. Per questo agenti e militari fanno  sgomberare otto palazzi, isolano la strada. Ma i 300 chili di "Tutagex" alla nitroglicerina sono ancora tutti li', nelle casse, insieme con micce e detonatori. [54]

 

 

 

Sabato 22 agosto 1992

 

Il ministro degli interni Mancino interviene sul caso Gelli in una intervista a Panorama: "Poiche' da pochi giorni era entrato in vigore il decreto antimafia ho parlato anche della novita' introdotta sul sequestro e poi sulla confisca dei patrimoni sospetti. All'interno di questo ragionamento ho inserito il caso di alcuni movimenti di capitali". Tra essi c' erano anche quelli di Gelli. "Ne avevamo discusso qualche giorno prima al Viminale - dice Mancino -. Per la verita' sono stato io a introdurre l'argomento Gelli, chiedendo ai tecnici presenti se fosse giusto che l'ex capo della P2 avesse una scorta. Personalmente ero e rimango convinto che a Gelli non spettasse tutta quella scorta. Mi e' stato fatto notare invece che era necessaria, perche' qualcuno poteva avere interesse a far scomparire Gelli o addirittura a eliminarlo". E precisa: "Ebbene, proprio nel corso di quella riunione al Viminale c'e' stato chi ha fatto presente che Gelli, di recente, ha spostato grossi capitali, anche 500 milioni alla volta, sui suoi conti correnti. Nessuno mi ha pero' parlato di un'inchiesta giudiziaria". Il ministro dell'Interno aggiunge poi che c'e' il rischio che la questione mafia-P2 possa essere utilizzata da qualcuno per allontanare l'attenzione dall'emergenza criminalita' . "Non vorrei diventasse un diversivo estivo", ha detto. Ma subito dopo conferma che se c' é questo "collegamento, bisogna stroncarlo". Comunque "il problema principale del governo e' la malavita organizzata". [55]

 

Il Corriere della Sera riporta che uno stesso gruppo di esperti in esplosivi avrebbe preparato le stragi Capaci e via D´Amelio: dall'inchiesta sulle stragi Falcone e Borsellino filtra un'indiscrezione: un solo "pool" di esperti in radiocomandi e in esplosivi ha lavorato per le cosche, preparando i congegni che hanno dato gli impulsi per far scoppiare l'inferno a Capaci e in via D'Amelio. E un particolare che conferma la strategia unica nei due attentati al tritolo: la mafia doveva cancellare dalla scena Falcone e Borsellino.[56]

 

Sempre il Corriere della Sera rilancia un´intervista al pentito Rosario Spatola pubblicata sul settimanale L´ESPRESSO. "La strage degli uomini dello Stato continuera' con le autobomba fino a quando non verra' preso Mariano Asaro", dice Spatola. Asaro e' ricercato per le stragi di Capaci e via D'Amelio. Latitante dall'83, sarebbe coinvolto nel fallito attentato al giudice Carlo Palermo. Spatola lo ha indicato come l'uomo del timer, dicendo che vive negli USA dopo aver preso la cittadinanza americana. "Quello che doveva succedere e' successo - dice Spatola - sono state decisioni prese tempo fa, quando ero ancora uno di loro. Era stato anche deciso di eliminare in una sola notte, contemporaneamente, in 10-15 citta' della Sicilia una pattuglia dei carabinieri".[57]

 

E' questo il testo di una telefonata anonima giunge a mezzanotte alla redazione romana di Repubblica: "Avvertite il senatore Spadolini che e' in preparazione un attentato contro di lui. Sappiamo che deve avvenire, ma non sappiamo ne' dove ne' quando". La minaccia viene presa molto sul serio dagli inquirenti anche perché il presidente del senato Spadolini era stato oggetto di altre minacce pochi giorni addietro quando si era recato in visita al comune di Brunico. La scorta di Spadolini viene rafforzata.[58]

 

 

Domenica 23 agosto 1992

 

Il capo dei senatori democristiani Antonio Gava rilascia al quotidiano Il Mattino una lunga intervista in cui afferma che una parte della P2 ancora operante starebbe cercando di scalzare la Dc dal suo ruolo centrale nella vita politica italiana ed in questo la ex-loggia segreta sarebbe appoggiata anche dall’estero.

 

Il quotidiano socialista Avanti! pubblica un duro attacco al magistrato milanese Antonio Di Pietro. In un corsivo intitolato "La fantasia e la realta' ", e solo apparentemente dedicato alle dichiarazioni di Piccoli (che ha previsto un attentato a Di Pietro), il l´Avanti! scrive: "Con il tempo e attraverso una migliore conoscenza dei fatti di cui qualcuno dovrebbe finalmente occuparsi, potrebbe persino risultare che il dottor Di Pietro e' tutt´altro che l'eroe di cui si sente parlare e che, in questo caso, come in tanti altri della vita, non e' proprio oro tutto quello che riluce. Allora molti giudizi dovranno essere rivisti e tante cose sbagliate ricollocate al loro giusto posto con grande vantaggio innanzitutto per la verita' e per la giustizia... Vi sono nell'inchiesta da lui guidata diversi aspetti non chiari e non convincenti, rapporti e relazioni connessi e collegabili all'inchiesta tutt'altro che chiari e tutt'altro che convincenti". Nell'inchiesta sulle tangenti, scrive il quotidiano del Psi, c'e' "un corso della giustizia che ha finito con il procedere a zig-zag". Quanto alle previsioni di Piccoli, l'Avanti! le ritiene infondate: "Nonostante siano tanti ormai i fattori torbidi riapparsi sulla scena nazionale a cominciare dalle sanguinose imprese del terrorismo mafioso, non pensiamo affatto probabile uno strumentale delitto Di Pietro". Quella di Piccoli, per il Psi, "e' una fantasia crudele... non crediamo che il magistrato in questione corra alcun pericolo di questa natura... Sono semmai altri i rischi che possono riguardare il dottor Di Pietro".

Segue immediatamente la reazione del procuratore della Repubblica di Milano Francesco Saverio Borrelli che interrompe per qualche minuto le sue vacanze per dettare all'Ansa un breve e freddo comunicato: "I magistrati milanesi dell'inchiesta Mani pulite, moderatamente stupefatti per le parole di senso oscuro che da svariate direzioni e con diversi intenti vengono affastellate sulla loro attivita' e sulle loro persone, non avvertono tuttavia alcun turbamento e proseguono, con la serenita' e con l'impegno di sempre, il loro faticoso lavoro di ricerca della verita' perche' sia riaffermato a ogni livello il primato del diritto".

Anche il procuratore aggiunto di Milano Gerardo D'Ambrosio interviene subito da Milano: "Quello dell'Avanti! e' un tentativo di intimidazione. Piu' volte gli avvocati e anche i politici hanno criticato l' utilizzo della carcerazione preventiva e altri aspetti della conduzione dell'inchiesta. Ma questa volta sembra di capire che quanto, secondo l'Avanti!, sta per emergere riguardera' piu' precisamente la persona di Di Pietro. É un fatto preoccupante, allarmante, gravissimo soprattutto se si considera l'autorevolezza di chi ha lanciato il messaggio... Sembra che l'Avanti! dica a Di Pietro: sta' attento che scaviamo nella tua vita. E questo e' un fatto grave, una chiara intimidazione. Se mi stupisco? Mah... Indagarono anche su di me, ai tempi di piazza Fontana. Ero accusato, pensate un po' , di avere un feeling particolare proprio con l' Avanti!". Poi D´Ambrosio sottolinea che il lavoro dei magistrati milanesi applicati all´inchiesta Mani Pultie é un lavoro di gruppo: "É ingenuo prendersela con Di Pietro. I pm di questa inchiesta sono tre. E poi ci siamo io e Borrelli che siamo messi al corrente di tutto. Questa non e' l' inchiesta di Di Pietro, e' l'inchiesta di un pool di magistrati. E non si dimentichi che i nostri provvedimenti sono stati convalidati da diversi giudici per le indagini preliminari, da diverse sezioni del tribunale della liberta' e dalla Corte di Cassazione. Siamo sempre stati abbastanza certi del fatto che si sarebbe tentato di delegittimare questa inchiesta. Ma ora si stanno utilizzando metodi gravemente intimidatori. Chi ha fatto il corsivo dell'Avanti! dovra' spiegare a che cosa allude".[59]

L' associazione nazionale magistrati reagisce chiamando in causa anche il presidente del consiglio Giuliano Amato e il ministro di grazia e giustizia Claudio Martelli. "E' inammissibile ed inquietante -  dice il comunicato diffuso dall' Anm - che il partito che esprime il presidente del Consiglio e il ministro della Giustizia attacchi un ufficio giudiziario con espressioni di contenuto oscuro, ma di evidente finalita' intimidatoria. E' appena il caso di ribadire che l'alta professionalita' dei componenti l'ufficio destinatario di quelle parole garantisce la prosecuzione della rigorosa ricerca della verita', per l'affermazione del primato della legge". Il comunicato e' firmato dal presidente dell'associazione nazionale magistrati Mario Cicala, dal segretario generale Franco Ippolito e dal vicepresidente Giovanni Tamburino.[60]

 

Il Corriere della Sera pubblica un´intevista al deputato del Pri Giuseppe Ayala:

 

MS: “E' credibile, giudice Ayala, il pentito Rosario Spatola che indica nel boss Mariano Asaro, l' artificiere delle stragi di Capaci e via D' Amelio?”

Giuseppe Ayala (GA): "Ho scavato nella memoria, ma io questo Asaro non l'ho conosciuto. La credibilita' di Spatola compete ai colleghi che dovranno verificare la fondatezza di queste indicazioni".

MS: “Puo' "toccare ora", come dice Spatola, al maresciallo Canale, braccio destro di Borsellino, o ai giudici Natoli e Lo Voi?”

GA: "Ho il timore, mi auguro infondato, che ci possano essere altri attentati, ma non mi sento di indicare dei bersagli precisi".

MS: “I rapporti mafia-massoneria?”

GA: "Non e' un fatto inedito, ci sono state delle vicende processuali che hanno confermato in qualche occasione la connessione tra mafia e pezzi di potere occulto. Non sarebbe la prima volta. Basta ricordare la vicenda del treno 904, la finta fuga di Sindona. Non credo che il discorso possa essere esteso pero' a tutta la massoneria".

MS: “Crede nella "mano unica" in questa serie di omicidi e stragi che comincio' da Lima?”

GA: "Con le dovute differenze sui moventi penso che un nesso ci sia. L'omicidio Lima e' il segnale della rottura di un qualche equilibrio dei rapporti tra mafia e potere, mentre gli omicidi di Falcone e Borsellino hanno certamente un movente che affonda molto nell'impegno che i due avevano profuso nella loro attivita' . Ma s' inseriscono in un quadro in cui vi e' un forte segnale di sovranita', di potenza, di forza, mandato a un potere con il quale probabilmente il rapporto della mafia e' in crisi".

MS: “In un dibattito pubblico in Sicilia s'e' detto che Andreotti era il referente di Lima, il quale era la cerniera tra mafia e politica.”

GA: "E' un' affermazione forte, io posso dire che certamente Lima da molti anni era il cosiddetto rappresentante di Andreotti in Sicilia, questo e' sicuro, e che mantenesse qualche rapporto con le organizzazioni mafiose risulta anche da indicazioni di pentiti. D'altra parte e' molto difficile in Sicilia avere esponenti del potere costituito che facciano a meno di certi rapporti. E' quasi fatale, direi. Per Lima poi non c'e' da dimenticare che e' stato ucciso e questo lo fa diventare ai miei occhi una vittima della mafia. Riflettendo sul movente non siamo su un piano omogeneo rispetto a Falcone e Borsellino".

MS: “E l'esercito in Sicilia?”

GA: "Io non credo che venga visto dai siciliani come prevaricazione dello Stato. L'invio dei militari probabilmente e' stato un provvedimento giustificato, di cui soprattutto il governo aveva necessita'. Pero' non e' che possiamo affidare alla presenza stabile dell'esercito la riconquista del territorio da parte dello Stato".

MS: “Pensa che chi si esprime contro l'esercito in Sicilia faccia il gioco della mafia?”

GA: "Mi sembra molto eccessiva come affermazione. Devono soltanto riuscire a capire quali sono le strade da percorrere per recuperare terreno da parte dello Stato nei confronti della mafia. Quella dell'invio dell'esercito non mi pare sia, nel medio termine, una strada di questo genere. Nel breve e' giustificata da una necessita' anche di carattere politico. La strada e' un'altra e sono convinto che i ministeri competenti la conoscano. E' una rete informativa da costruire, molto dettagliata, molto capillare, che consentira' risultati, non nell'immediato, utili a colpire bersagli mirati".[61]

 

 

Mercoledí 26 agosto 1992

 

Si svolge a Roma una riunione della segreteria in cui si discute anche dei corsivi pubblicati dal quotidiano Avanti! contro Antonio Di Pietro. Il segretario del Psi Bettino Craxi ha genericamente parlato di iniziative che dovranno prendere forma "nelle sedi proprie previste dalle leggi". E dovranno investire gli "aspetti ritenuti non chiari e non convincenti riguardanti una parte dell'inchiesta milanese". Il "dossier" riguardante Di Pietro non e' stato illustrato in dettaglio a tutti i membri della segreteria, che si sono accontentati di accenni per sommi capi. Il mistero e' stato svelato solo in un secondo tempo, nel corso di una riunione piu' ristretta a cui, oltre a Craxi, hanno preso parte Gennaro Acquaviva, Rino Formica e Giuliano Amato. Al termine dell´incontro Formica dichiara: “Craxi ha un poker, anzi una scala reale".[62]

 

Liliana Ferraro viene nominata direttore generale degli affari penali al ministero di grazia e giustizia. Questo il suo ritratto in un articolo del Corriere della Sera:

 

Sulla poltrona che fu di Giovanni Falcone siede, da oggi, una donna. Liliana Ferraro e' la nuova direttrice degli Affari penali del ministero della Giustizia. "Mi carico sulle spalle un peso terribile - sospira -. Non so davvero se e' piu' alto l'onore o l'onere. Ho lavorato dieci anni con Falcone. E adesso che ne ricevo l'eredita' cerco di ricordare come agiva, come perseguiva i suoi scopi, perche' voglio continuare la sua opera in modo soddisfacente". Ha un'aria molto decisa, Liliana Ferraro, quarantottenne nativa di Lustra Cilento, paesino dell'entroterra salernitano. E fu proprio quel suo piglio duro, molto risoluto, che attiro' su di lei l'attenzione di Adolfo Beria d'Argentine. Era il 1973 e la Ferraro lavorava al Tribunale di Lodi. Fra i colleghi milanesi comincio' a spargersi la voce di questa giovane molto determinata e con una capacita' sbalorditiva di macinare lavoro. Beria d'Argentine, che era capo di gabinetto del ministero della Giustizia, la chiamo' a Roma. A quell'epoca imperversava il terrorismo. La Ferraro si trovo' subito in prima linea. Seguiva l'evolversi del fenomeno eversivo per conto del ministero. E in breve divenne la persona che svolgeva il collegamento fra il ministro e il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, che era capo delle forze antiterrorismo. "Fu un periodo infame - ricorda la Ferraro -. Mi occupavo della legislazione carceraria, delle carceri speciali, dei terroristi detenuti. Vidi morire tante persone. Per esempio, il giudice Tartaglione, con cui collaboravo qui al ministero. Dopo il delitto Moro mi sentivo veramente depressa, non ne potevo piu' di tanti morti, e decisi di cambiare aria".

Passo' all'ufficio legislativo e comincio' a tenere, per conto del ministero, i rapporti con il Consiglio d' Europa e la Comunita' europea. Si occupava soprattutto di leggi in materia di estradizione e di lotta al terrorismo. Successivamente, "proprio per un bisogno di respirare un poco", si fece trasferire in Cassazione. Lavorava al massimario penale. Ci rimase poco, pero'. Troppa noia: lei si stufo' ed eccola di nuovo al ministero, nel 1983, stavolta come direttore dell'ufficio attrezzature. Fu a quell'epoca che conobbe Giovanni Falcone. L'ufficio che dirigeva la Ferraro era quasi inesistente. Ma stava assumendo un ruolo importantissimo, perche' doveva curare l'organizzazione pratica della sicurezza dei magistrati minacciati dalla mafia. Per Falcone, la Ferraro scelse le auto da far blindare. Poi curo' la creazione dell'ufficio del magistrato palermitano, gli fece acquistare computer e tutto il materiale necessario per un moderno ed efficiente ufficio di giudice istruttore. Un po' alla volta, lei divenne la persona incaricata di attrezzare gli uffici di tutte le aree calde della penisola, e di fornire la massima assistenza ai magistrati titolari di inchieste sulla mafia.

La costruzione della grande aula bunker dove si e' celebrato il maxiprocesso di Palermo avvenne sotto la regia della Ferraro. Lei controllo' la realizzazione della struttura, lei organizzo' i servizi di sicurezza all'interno e all'esterno dell'aula, lei si occupo' dei problemi di trasferimento dei boss detenuti, lei mise a punto le forme piu' adeguate di assistenza ai giudici. Quando Falcone divenne direttore degli Affari penali al ministero, volle al suo fianco questa donna d'acciaio. E adesso, dopo la terribile fine del magistrato, tocca a lei prenderne il posto. Si occupera' di rapporti con gli uffici giudiziari, di problemi connessi alle estradizioni e alle rogatorie internazionali. Insieme con Livia Pomodoro, capo di gabinetto, diventa la seconda donna in un posto chiave al ministero della Giustizia.

Divorziata, e senza figli, la Ferraro e' un vulcano. Per calmarsi un poco, a volte si chiude in casa ad ascoltare musica. Adora Verdi, ma dice che la Carmen si adatta meglio di ogni altra opera ai suoi umori. E' molto orgogliosa della sua terra: "Nel Cilento la gente e' dura come la roccia. Agli amici romani mando a Natale fichi delle mie parti, ricoperti di cioccolato, e con un biglietto che dice: "Rare dolcezze della mia terra". Crede che la cosa piu' saggia della vita sia mangiare in pace "un piatto di pasta fatto in casa e con sopra i pelati fatti con le mie mani".[63]

 

 

Giovedì 27 agosto 1992

 

Antonino Caponnetto invia un telegramma di solidarietà ad Antonio Di Pietro per la serie di velenosi attacchi rivolti al magistrato milanese dal quotidiano socialista L’Avanti. Caponnetto esprime anche forti perplessità sull’incarico offertogli dal Ministro Martelli per una collaborazione al ministero proprio in seguito agli attacchi cha hanno colpito Di Pietro.

 

 

Venerdí 28 agosto 1992

 

Il Corriere della Sera presenta alcuni risultati di una ricerca dell'Ispes, "La Mafia vista dagli altri", dedicata al trattamento riservato agli omicidi Falcone e Borsellino da 4 quotidiani europei - Die Welt di Amburgo, Financial Times di Londra, Le Monde di Parigi, El Pais di Madrid - e dall'International Herald Tribune, che pubblica in Europa articoli del New York Times e della Washington Post:

 

I 58 articoli pubblicati dai 5 quotidiani da maggio a luglio sul tema della criminalita' organizzata sono un esempio evidente della diversa e maggiore attenzione che il nostro Paese riceve dagli osservatori stranieri rispetto al passato. Non piu' quindi vignette e pezzi di colore sull'italiano tutto "pizza, lupara e mandolino", ma complesse analisi politiche e sociologiche occupano le prime pagine dei piu' prestigiosi giornali stranieri. Il perche' lo spiega Le Monde, (con 18 articoli il piu' attento commentatore delle vicende italiane assieme a Die Welt), osservando che altri Paesi oltre il nostro conoscono il terrorismo mafioso, ma alcuni di questi, come la Colombia, sono Paesi del Terzo Mondo. Al contrario, "il caso italiano stona tra le grandi democrazie industriali, tanto piu' che la Penisola e' saldamente ancorata alla Comunita' Europea e la sua economia e' la terza in importanza dei Dodici, e una delle piu' dinamiche". Altra motivazione per l'approccio finalmente rigoroso riservato ai fatti italiani in occasione dei drammatici attentati a Falcone, Borsellino e alle loro scorte, la fornisce Die Welt, quando scrive che "l'idra del crimine organizzato non e' un problema della lontana Sicilia. É un problema europeo". Entrando nel merito dei contenuti dell'indagine, secondo Gian Maria Fara, presidente dell'Ispes, l'informazione prodotta dalle testate analizzate puo' essere ricondotta a quattro filoni fondamentali: l'arroganza e il senso di impunita' che traspare dall'azione mafiosa; la volonta' di rivalsa e di liberazione dal crimine organizzato che scuote l'Italia; le disfunzioni e i condizionamenti delle istituzioni; la valenza internazionale del fenomeno mafioso. Ecco cosi' che lo spietato attentato a Giovanni Falcone rappresenta, secondo il New York Times, "il segno della fiducia in se stessa che ha la mafia e il potere di schernirsi delle autorita' in un'epoca in cui il suo dominio non e' mai stato cosi' esteso"; mentre il parere del Financial Times e' che "la mafia ha intensificato la sua campagna intimidatoria diretta contro il potere giudiziario italiano assassinando Paolo Borsellino, il piu' eminente magistrato antimafia". Molti sono i titoli e gli articoli a proposito delle reazioni della societa' civile di fronte alla sfida mafiosa. Die Welt titola la cronaca del funerale di Falcone "Diecimila prendono posizione contro la mafia", mentre per Le Monde "L'attentato di Palermo suscita un' ondata di collera in Italia", e l'International Herald Tribune scrive "Con i funerali del crociato (Falcone n.d.r.) l'Italia scarica la sua rabbia sul terrorismo mafioso". Non mancano, ne' potrebbero mancare, aspre critiche al governo italiano. Scrive infatti Die Welt: "Piu' forte e' la criminalita' al Sud, e ormai non solo al Sud, piu' deboli sono le istituzioni a Roma e nel Paese". Gli fa eco Le Monde: "L'assassinio di Paolo Borsellino rilancia il dibattito sulla credibilita' dello Stato", e afferma, durissimo, El Pais: "La Mafia uccide e il governo detta decreti. Cosa Nostra puo' continuare tranquilla. L'Italia no". Infine l'Herald Tribune spiega ai suoi lettori: "Agli occhi di molti italiani, la continua incapacita' di tenere sotto controllo questo regno di stragi ed intimidazioni sta alla base del biasimo verso il governo di Roma e verso la sua lunga tradizione di tolleranza del crimine organizzato". Si tenta di capire quindi, ma si evita di giudicare. Perche', come dice Le Monde, questa e' proprio una strana guerra.[64]

 

Il segretario del Psi Bettino Craxi prosegue nella sua azione di delegittimazione del PM milanese Antonio Di Pietro e lo accusa di essere stato "intimo amico" di alcuni personaggi finiti sotto inchiesta per le tangenti. Craxi precisa che si e' "limitato a dire quello che altri, che hanno maggior titolo di me, spero vorranno dire con chiarezza, cose di cui molti mormorano da tempo e di cui qualcuno presto o tardi dovra' pure occuparsi". In pratica le accuse infamanti di Craxi puntano a screditare Di Pietro tirando in ballo la conoscenza del magistrato con alcuni indagati nell´inchiesta milanese, in particolare i politici Maurizio Prada (Dc) e Sergio Radaelli (Psi). Secondo Craxi il PM milanese avrebbe approfittato di Prada e Radaelli per indurre altri personaggi a confessare.[65]

In sostanza Craxi cerca di buttare fango sull´operato della magistratura milanese in modo da ottenere un eventuale trasferimento delle inchieste a suo carico presso altri uffici giudiziari.

Sulle accuse e mezze allusioni lanciate da Craxi a carico di Di Pietro il ministro della giustizia Claudio Martelli, titolare di un´eventuale azione disciplinare, tace.

Chi non aspetta a prendere una posizione chiara é invece Antonino Caponnetto il quale,  dopo aver mandato a Di Pietro un telegramma di solidarieta', dichiara: "Gli ultimi avvenimenti mi hanno lasciato un po' perplesso – afferma Caponnetto - e parlo come cittadino qualunque, ma i fatti di questi giorni danno una immagine che lascia molti dubbi e molti interrogativi". Non c'e', chiarisce Caponnetto, "alcuna contrapposizione" tra lui ed il ministro Martelli. C'e' "un reciproco rispetto". E tuttavia il magistrato dice di "restare nell'attesa fiduciosa che su certe questioni di fondo, come quella relativa ai corsivi dell'Avanti!, il ministro Martelli prenda una posizione chiara". Da questo, fa capire Caponnetto, puo' dipendere la sua accettazione o meno dell'incarico di consulente antimafia che Martelli gli ha offerto. "Intendo aspettare l'evoluzione delle cose - dice il magistrato - augurandomi che sia in positivo. Nei prossimi giorni verranno da me i colleghi del ministero per parlare di questa proposta che deve essere ancora definita nei particolari. Solo allora decidero' cosa fare". [66]

Numerose critiche piovono anche sul presidente del consiglio Giuliano Amato per aver partecipato alla riunione della segreteria socialista in cui Craxi ha chiamato un causa Di Pietro e le presunta irregolaritá nell´inchiesta milanese. Palazzo Chigi diffonde una nota in cui si afferma che il presidente del Consiglio si e' richiamato ai "principi del nostro ordinamento, nel quale il governo dipende politicamente da un Parlamento, che e' articolato in gruppi parlamentari collegati ai partiti". Amato spiega la sua presenza in via del Corso con l'esigenza di "illustrare gli orientamenti del governo in materia di investimenti e occupazione". Sottolinea che il suo intervento non e' andato al di la' di questi limiti. Aggiunge infine che "sul tema che ha destato piu' interesse e piu' scalpore, l'on. Craxi e' stato con me di una grande correttezza formale. In mia presenza infatti si e' limitato a leggere una breve dichiarazione gia' scritta, poi rilasciata alla stampa".[67]

Il Pds, i Verdi, la Rete e Rifondazione Comunista firmano un documento congiunto in cui criticano la partecipazione di Amato alla riunione di segreteria del Psi dove il segreatario Craxi ha accusato Antonio Di Pietro e sottolinenano che la divaricazione tra i socialisti e il resto della sinistra tende di nuovo ad allargarsi:  Massimo D'Alema dichiara al TG3 che la "questione morale" e' un macigno che preclude il dialogo.[68]

L´Anm prende posizione attraverso una nota del segretario generale Franco Ippolito: "Escluderei che qualche difensore si presti ad eseguire le strategie processuali elaborate dal segretario del Psi. A differenza dei giocatori di poker ogni operatore del diritto sa che la decisione sulla liberta' degli indagati e' di competenza del Gip e non del procuratore; che il pubblico ministero non puo' essere ricusato e che unica autorita' legittimata a decidere sull'eventuale facolta' di astensione di un sostituto e' il procuratore. Al pubblico ministero compete di esercitare l'azione penale in tutti i casi in cui emerge una notizia di reato. E cio' ha fatto la procura di Milano". Nella sua nota, Ippolito precisa che "di fronte alla miseria di accuse, la cui inconsistenza appare eguagliata soltanto dal clamore di una campagna politica che mira ad ostacolare un' indagine attraverso la delegittimazione del magistrato inquirente,. la professionalita', l'indipendenza ed il rigore morale del procuratore Borrelli costituiscono piena garanzia che le ripetute intimidazioni del non piu' anonimo corsivista dell'Avanti! rimarranno fragorose sparate a salve indicative dello sbandamento di chi ha smarrito il senso dello Stato di diritto". [69]

 

Alla famiglia di Emanuela Loi, uno degli agenti di scorta di Paolo Borsellino uccisi nella strage di via D´Amelio, vine recapitata una fattura per pagare una parte delle spese della cerimonia funebre:

 

Prima lo sfregio della mafia, poi lo schiaffo dello Stato. Certo, la tremenda mazzata inflittagli dai boia di Cosa nostra che gli hanno fatto a pezzi la figlia e' cosa ben piu' grave del piccolo sgarbo ricevuto dai palazzi del potere romano. Ma Virgilio Loi, padre di Emanuela, la donna poliziotto che scortava il giudice Borsellino in via D'Amelio nel giorno dell'ultima strage di mafia, non avrebbe mai immaginato che per i funzionari del ministero degli Interni "funerali di Stato" significa solo cerimonia in pompa magna, sotto l'occhio della Tv, e nient'altro. Pensavano che le spese sarebbero state a carico delle finanze pubbliche. E invece, a tumolazione avvenuta, si sono visti recapitare dall'impresa di servizi funebri una salatissima fattura, tre milioni e mezzo da pagare a strettissimo giro. Loi ha pensato a un errore. Ma e' rimasto di ghiaccio quando, chiedendo lumi al titolare della ditta, ha appreso che lo Stato aveva onorato gli impegni solo per meta' dei sette milioni complessivi. "Per avere il resto mi hanno detto di rivolgermi a lei", ha spiegato il necroforo. Virgilio Loi l'ha presa malissimo. Gli e' sembrata una beffa crudele proprio perche' per servire lo Stato la sua Emanuela ha pagato il piu' alto dei prezzi. Riteneva di meritare ben altre attenzioni, dopo quanto e' accaduto quel maledetto 19 luglio. Solo dopo un giro di telefonate tra le questure di Palermo e di Cagliari (Emanuela Loi era nata a Sustu) con richiesta di chiarimenti a Roma, sono arrivate alla famiglia Loi le scuse imbarazzate del ministero e la promessa che lo Stato rimborsera' la somma versata per errore e che, anzi, presto avra' anche i 100 milioni previsti per i familiari delle vittime della mafia.

L'episodio sarebbe forse passato sotto silenzio se i responsabili dell'associazione intitolata ad Antonio Montinaro, un agente morto con Falcone nella strage di Capaci, non avessero informato un cronista che ha sollevato il caso con una serie di telefonate. "Tutti mi erano stati vicini - dice Virgilio Loi - a Palermo, dove sono rimasto quattro giorni per raccogliere gli effetti personali di Emanuela, la questura mi ha messo a disposizione un autista. Anche in paese la polizia non mi ha lasciato solo. Mi telefona spesso per sapere se ho bisogno di qualcosa, mi aiuta nelle pratiche per la pensione di mia figlia. Finora ho ricevuto tanta solidarieta' . Chi si aspettava una simile scortesia? Ma ora dicono che e' stato tutto un equivoco".

Non ci sono versioni ufficiali che spieghino come sia potuto accadere un "incidente" cosi' spiacevole. L'Ufficio assistenza del ministero degli Interni da' risposte evasive, rimandando per i chiarimenti al dipartimento di polizia del Viminale. Voci di solito escluse E' probabile che l'inghippo sia nato perche' il conto presentato dall'agenzia di pompe funebri comprendeva "voci" di solito escluse, come quelle per le corone di fiori, le immaginette, i necrologi con foto sui giornali, i manifesti per le strade, la Messa in suffragio per il trigesimo. Quando la ditta ha bussato alla sua porta, Virgilio Loi non si e' perso d'animo. Essendo a corto di quattrini, lui che con la misera pensione di ex dipendente delle Ferrovie deve far campare la moglie, due figli disoccupati, la nuora e un nipotino, se n'e' andato in giro presso parenti e amici raggranellando la somma per saldare il debito. "E' stato certamente un malinteso - commenta il questore di Palermo, Matteo Cinque - Lo Stato ha subito dichiarato la sua disponibilita' a coprire le spese per intero, sta pensando pure ad una lapide per ricordare Emanuela Loi. Come credere davvero che possa tirarsi indietro per una cifra cosi' irrisoria?". Il questore di Cagliari, Michele Pazzi, conferma: "La famiglia Loi non paghera' una lira. Il ministero rimediera' subito". Virgilio Loi ora aspetta il rimborso dei tre milioni e mezzo. Un funzionario della Questura si e' presentato ieri mattina per farsi consegnare la fattura. Il padre di Emanuela, per quanto risentito, si era rassegnato a pagare una quota delle spese funerarie. "Me ne stavo facendo una ragione - dice il pensionato - in fondo la differenza si riferiva a una serie di servizi in piu' che avevo voluto offrire a mia figlia. Lo Stato non puo' certo avere l'affetto di un padre". [70]

 

I dipendenti della Pac, azienda di Capo D´Orlando che commercializza agrumi, offrono ore lavorative e le loro tredicesime ad Enzo Sindoni, titolare dell´impresa e ribellatosi alle estorsioni mafiose, per riparare i danneggiamenti alle attrezzature della ditta che ignoti hanno provocato una settimana fa:

 

"Vogliamo fare la nostra parte - hanno detto i dipendenti della Pac - il posto di lavoro lo difenderemo con ogni mezzo. Non vogliamo ne' restare disoccupati, ne' rischiare di dover lavorare alle dipendenze della mafia". Enzo Sindoni, 30 anni, é uno dei tanti imprenditori della zona che hanno detto no alla mafia del "pizzo". É presidente della Pac ed amministratore dell'Upea, un consorzio che raccoglie 130 produttori agricoli della Sicilia orientale. Due anni fa, dopo i primi avvertimenti, fu bloccato da 4 sconosciuti. Una pistola puntata alla tempia e un ordine: "Lascia la direzione dell'Upea. E' meglio per te, altrimenti...". Qualcuno voleva mettere le mani in un settore dove l'attivita' di import-export puo' tornare utile per i traffici illeciti. Ma Sindoni non ha mai pensato di mollare. É andato avanti e gli avvertimenti si sono moltiplicati. Ogni volta piu' macabri e arroganti. Nonostante la scorta della polizia, e ora anche dell'esercito, gli sono stati recapitati decine di messaggi di morte e una collezione di pallottole di vario calibro. L'ultima incursione, una settimana fa. Ignoti hanno preso di mira gli uffici della Pac, alla periferia di Capo d'Orlando. Nella notte hanno distrutto arredi, bruciato documenti, azzerato le memorie dei computer. Prima di andar via non hanno dimenticato di imbrattare i muri con le solite croci di morte, lasciando pure un crocifisso sulla scrivania di Enzo Sindoni. Un analogo episodio era avvenuto qualche mese fa in un'azienda consociata dell'Upea, a Riposto, nel Catanese. Ma dopo l'ennesima intimidazione si e' verificato un fatto impensabile. E lo stesso Sindoni a raccontarlo. "Prima sono arrivati i 30 operai della Pac. "Senta - mi hanno detto - noi siamo disposti a lavorare gratis un'ora al giorno per riaggiustare quanto e' stato distrutto". Poco dopo si sono presentati anche gli impiegati dell'Upea: "Noi le diamo la nostra tredicesima per far fronte alle spese necessarie per riparare i danni". Per l'imprenditore e' stato uno choc. "Ho provato un'emozione indescrivibile, e' stato uno dei gesti piu' belli in tutti questi anni di vita blindata. Da due anni provo tantissime emozioni: paura, ansia, speranza. Oggi ho scoperto che possono esserci delle sensazioni che, in un solo istante, ti ripagano di tutto facendo passare ogni problema in secondo piano. Fatti del genere sono la dimostrazione concreta che Libero Grassi non e' morto inutilmente". Enzo Sindoni ha gia' fatto sapere che non ha intenzione di accettare l'offerta dei dipendenti, ma confessa che tale gesto lo ha ulteriormente responsabilizzato. "Una cosa del genere mi toglie qualsiasi alibi. Non ho mai pensato di mollare. A maggior ragione, di fronte a una simile dimostrazione di solidarieta' e di affetto e' impossibile tornare indietro. Lo devi fare per te, ma soprattutto per chi ti sta accanto". [71]

 

 

Sabato 29 agosto 1992

 

Si svolge a Roma il secondo incontro tra il vicecomandante del ROS Mario Mori e Vito Ciancimino.[72]

 

 

Martedí 1 settembre 1992

 

In seguito ad un sopralluogo degli investigatori nei pressi di via D´Amelio a Palermo, viene accertato che Ignazio Sanna, guardia giurata in servizio alle 16.58 di domenica 19 luglio 1992 nella guardiola del Monte dei Paschi di Siena, a 50 metri da via D'Amelio, non poteva avere la visuale completa di quanto accaduto quel giorno nei pressi del luogo della strage. Pertanto il Sanna, arrestato il 24 luglio perche´ ritenuto reticente sulla possibile fuga dei killer da via D´Amelio, viene rilasciato.[73]

 

Corrado Carnevale, presidente della I sezione penale della Cassazione, annulla un rinvio a giudizio e 2 condanne subite da Alfredo Bono, mafioso palermitano collegato ai boss italoamericani, considerato grande regista del traffico di droga. La corte presieduta dal giudice Carnevale ha annullato il rinvio e le condanne in quanto uno dei due legali di Bono non aveva a suo tempo ricevuto la comunicazione di un interrogatorio, cosí che il Bono aveva dovuto rispondere alle domande del magistrato con un solo difensore al fianco. Non si puo', osserva Carnevale nella motivazione della sentenza: "Essendo riconosciuto all'imputato il diritto di farsi assistere da 2 difensori, entrambi devono essere posti in grado di esercitare il proprio mandato con pienezza di autonomia e secondo la personale, specifica esperienza professionale, cosicche' la mancata notifica ad uno di loro dell'avviso della data di compimento di un atto al quale hanno diritto di assistere concreta la violazione della disposizione relativa all'intervento, alla rappresentanza e all'assistenza dell'imputato ed e' causa di nullita' di ordine generale". Insomma, l'interrogatorio reso da Alfredo Bono durante l'istruttoria e' come se non fosse mai stato messo a verbale. Carta straccia. E cosi' anche tutti gli atti successivi. Cancellata la sentenza di primo grado, che aveva inflitto a Bono 18 anni, e quella d'appello, che aveva ridotto la condanna a 8 anni.

Il giudice Falcone ed i suoi colleghi del pool antimafia avevano lavorato 7 anni per mettere Bono e il suo clan con le spalle al muro. Li avevano incastrati, dandogli una posizione preminente nel processo "Pizza connection". E ora si ricomincia daccapo.

Stupito, il giudice palermitano Leonardo Guarnotta, che indago' con Falcone sul clan di Bono, commenta che "esiste una giurisprudenza costante, secondo la quale e' rispettato il diritto della difesa anche se uno solo dei difensori di fiducia viene avvertito. Se e' davvero questa la motivazione, si puo' dire che la I sezione della Cassazione annulla artatamente le sentenze dei giudici di Palermo". Alfredo Bono ha fortuna con la Cassazione. Gia' nel 1988 Carnevale lo assolse assieme alla sua cricca di trafficanti di droga. Gli investigatori avevano registrato centinaia di telefonate da un continente all'altro. Siccome, pero', al telefono i mafiosi non dicevano "porta la droga", ma parlavano di "pizze", "camicie", "partite di pantaloni", allora il dottor Carnevale ritenne che quel "parlare criptico" non era una prova.[74]

 

 

Mercoledí 2 settembre 1992

 

Una segnalazione del SISMI fa scattare l´allarme per rischio attentati in tutti gli aeroporti italiani. L'allarme e' scattato dopo l'intercettazione, la scorsa settimana in Sicilia, di una telefonata tra due boss vicini a Cosa nostra. Da una parte del filo uno degli interlocutori stava parlando di un viaggio in aereo: "Cambiero' volo a Milano". Ma immediatamente l'amico lo ha avvertito: "No, e' meglio che non passi su Milano. Per tutto il mese di settembre". [75]

 

 

Venerdí 5 settembre 1992

 

Vengono arrestati a Palermo con l'accusa di violenza carnale e rapina aggravata Luciano Valenti, 28 anni, venditore ambulante; Roberto Valenti, suo cugino, 20 anni, muratore; Salvatore Candura, 31 anni, disoccupato. Gli investigatori che indagano sulla strage di via D´Amelio sospettano che uno dei tre abbia avuto un ruolo nel furto della Fiat 126 usata per compiere la strage.[76]

 

 

Domenica 6 settembre 1992

 

Viene arrestato a Longare, in provincia di Vicenza, Giuseppe Madonia, 46 anni, componente della commissione regionale di Cosa Nostra e latitante da nove anni. Insieme a lui vengono arrestati suo cognato, Salvatore Galleria, 45 anni, che aveva aperto la sua villetta di Longare al parente di tanto rispetto,  ed un altro cognato, Salvatore Santoro, 47 anni, che guidava l´auto su cui é stato intercettato Madonia. Il direttore del Servizio Centrale Operativo della Criminalpol, Achille Serra, commenta: "Dopo la cattura di Liggio, e' la prima volta che arriviamo a prendere un boss della Cupola... Adesso che Madonia e' finito in carcere, mi aspetto nuovi pentimenti e altre collaborazioni. Chi era terrorizzato dal boss potrebbe decidersi a parlare... Da trent' anni non veniva fatto un arresto di quest' importanza". [77]

 

Il direttore del Programma Ambiente delle Nazioni Unite (Unep), Mustafa' Tolba, durante un seminario a Nairobi fa un´allarmante denuncia: rifiuti tossici per circa un milione di tonnellate sarebbero stati scaricati in Somalia negli anni scorsi da imprese italiane. Tolba non fornisce ne' nomi ne' indicazioni utili a chiarire la vicenda ma, secondo il quotidiano keniota Sunday Nation, fa delle affermazioni estremamente gravi. "Abbiamo a che fare con la mafia - sottolinea - ed alcuni dei miei colleghi temono per la propria vita. Non voglio fornire particolari – aggiunge - perche' i trafficanti possono uccidere chiunque intralci i loro affari". Tolba afferma anche che l'imbarco su nave dei rifiuti tossici, di natura non precisata, sarebbe costato circa un milione di dollari consentendo enormi guadagni alle societa' coinvolte nel traffico.[78]

 

 

Lunedí 7 settembre 1992

 

Il Corriere della Sera pubblica un profilo del collaboratore di giustizia Leonardo Messina, uno degli ultimi ad aver parlato con Paolo Borsellino:

 

Dicono che conosce tutti i segreti della mafia siciliana. I nuovi organigrammi, i traffici, le alleanze, le lotte intestine, le coperture politiche, i retroscena di decine di delitti. Dicono che e' un pentito di primissimo piano, alla Buscetta, tanto per intenderci. Eppure il curriculum mafioso di Leonardo Messina, l'ultimo "gola profonda" di Cosa Nostra, non ha niente a che vedere con i trascorsi dei pentiti eccellenti. Buscetta, per esempio, pur essendo un mafioso senza "gradi" aveva il carisma del grande padrino ed era ascoltato dai "superiori". Totuccio Contorno era il pistolero di fiducia di un capomafia storico come Stefano Bontade e sapeva tutto degli affari scellerati di un imponente schieramento di Cosa Nostra. Francesco Marino Mannoia, "chimico" dei corleonesi, aveva un fratello killer che gli raccontava tutte le malefatte del clan. Ma lui, Leonardo Messina, mafioso di periferia sul quale gli investigatori puntano tutte le loro carte per scoprire il nuovo volto di Cosa Nostra, che passato ha? Nato a San Cataldo, paese povero della provincia di Caltanissetta, ha 37 anni, una moglie di nome Gaetana e due figlie ancora bambine. Lavorava con la qualifica di caposquadra nella miniera di sali potassici di Pasquasia e comandava la cosca del paese. Scarno il suo dossier criminale con condanne per rapina, furto, traffico di stupefacenti e un' accusa, mai provata, di omicidio. Un giorno lo arrestano per l'uccisione di uno spacciatore che vendeva eroina a prezzi stracciati. La notizia scivola in poche righe nelle pagine di cronaca e nessuno da' grande importanza a questo boss di modesto spessore. Qualche sussulto si nota solo a San Cataldo, dove Messina e' stimato e temuto. Ma qualche settimana piu' tardi, di notte, la tranquilla routine del paese viene movimentata da una inconsueta mobilitazione di polizia. La sorella del detenuto lascia un pacco di carne congelata a una vicina con un biglietto: "Consumala tu". E chiaro che va via da San Cataldo e che manchera' per molto. In poche ore, quella notte, lasciano la propria casa una cinquantina di persone, tutti parenti di Leonardo Messina. Vengono svegliati di soprassalto, costretti a vestirsi in fretta e a raggiungere la piazza dove li attende un pullman della polizia. Di loro non si e' saputo piu' nulla. Quell' esodo non sfugge agli occhi curiosi dei paesani, pronti a sentenziare: "Si penti' Narduzzu Messina". Si', si era pentito davvero. E par parlare aveva scelto Paolo Borsellino, l'ultimo dei magistrati di quello che una volta era stato l'imponente fronte giudiziario antimafia. Pochi giorni prima avevano ammazzato Giovanni Falcone. Le scene dell'apocalisse viste in tv avevano toccato la sua coscienza di uomo d'onore. Ma cosa aveva da raccontare un uomo che conosceva a malapena i traffici del suo paese? Questo fu l'interrogativo che molti si posero. Ma sbagliavano clamorosamente, gli scettici, perche', come oggi ammettono gli investigatori, Narduzzu Messina "e' molto piu' importante di quanto si vuol far credere". Dunque, un pentito di rango, che sa molte cose e molte cose ha detto, riempiendo centinaia di pagine di verbali con rivelazioni scottanti. Altro che piccolo pentito. "Qui c'e' roba da far scoppiare mezza Sicilia", ha commentato un poliziotto di Caltanissetta dopo aver letto i verbali. Quando ha avuto di fronte Paolo Borsellino, il pentito ha spiegato le ragioni della sua scelta: "Mi hanno colpito come macigni le parole pronunciate in tv da Rosaria Schifani, la vedova dell'agente morto con Falcone, e il suo appello ai mafiosi. Ci ha invitato a pentirci. Cosi' ho deciso di uscire dall'organizzazione". Ma vediamo le rivelazioni-boom dell'ex boss di San Cataldo. Innanzi tutto, i capi di Cosa Nostra. "Ci sono i capi-mandamento, la provincia e, sopra di loro, la commissione regionale che i giornali chiamano Cupola - afferma Messina - di questa fanno parte Toto' Riina, Bernardo Provenzano, Giuseppe "Piddu" Madonia, Nitto Santapaola, Angelo Barbero. Il numero uno e' Riina. Subito dopo viene Madonia. Tutti e due mi sono stati indicati come rappresentanti mondiali a Palermo. C' e' , insomma, un altro organismo piu' in alto che comanda sulle famiglie mafiose nel mondo. Esiste anche una struttura nazionale composta da rappresentanti delle regioni. Conosco bene quella della Lombardia, dove ci sono 20 mila affiliati". Altro capitolo ad alta tensione, quello del controllo dei voti. Messina ricorda la campagna elettorale dell'83 quando "venne riunito il mandamento di San Cataldo, Vallelunga, Marianopoli, Caltanissetta". E fa i nomi di due politici, spiegando che "la mafia ha sempre diretto e condizionato il voto o su persone ad essa vicine o su uomini d' onore". Sui futuro equilibri tra le cosche, Messina dice che "per colpa dello strapotere di Toto' Riina si scatenera' un'altra guerra tra le famiglie". Da cinque anni i fuorusciti dell'organizzazione raccolgono intorno a se' altri gruppi criminali formando le cosiddette "stidde", cioe' stelle. Quando possono, questi clan attaccano gli uomini di Riina. Vincenzo Falsone e' stato ucciso a Campobello di Licata, Angelo Ciraulo a Ravanusa, Luigi Cino' a Racalmuto, Luigi Cali' a San Cataldo. Ma il destino di Cosa Nostra, dice Narduzzu Messina, e' segnato: "La mafia siciliana scomparira' nel giro di dieci anni, distrutta dalle intemperanze di Toto' Riina". Molte altre cose il pentito ha raccontato. Gli investigatori sono al lavoro. Cercano riscontri per un nuvo blitz.[79]

 

Il ministro degli interni Nicola Mancino rilancia l´allarme attentati durante un´audizione al Senato:

 

Nuovi attentati in Sicilia e fuori della Sicilia "sono possibili e non sono esclusi". Potrebbero essere progettati e messi a segno per produrre "allarme sociale e sfiducia". Parlando in aula al Senato il ministro dell'Interno, Nicola Mancino, ha avvertito che "diverse fonti, anche estere" hanno segnalato "l'interesse di centri eversivi a destabilizzare gli assetti istituzionali" e che cio' "rende verosimile la prospettiva che si tenti nuovamente di porre in essere iniziative terroristiche clamorose". Massima allerta, dunque, anche all'indomani di fatti positivi come l'arresto del boss siciliano Giuseppe Madonia e i blitz di Bari e di Milano che "aprono un orizzonte di speranza". Il pericolo non viene dalla sola Cosa Nostra, ma da quell'intreccio "fra centrali occulte dell'illecito e dell'eversione", gia' piu' volte all'opera in passato, e la cui attivita' attuale, piu' che essere gia' provata, si percepisce nell'aria. Anche "il dubbio che anche nelle recenti vicende abbiano potuto aver parte gruppi di tal genere, per quanto logicamente deducibile dagli eventi, anche passati, non trova allo stato fondamento in elementi di prova". Una vaghezza, come si vede, che rende ancora piu' difficile neutralizzare la minaccia. In questo clima gia' avvelenato si inseriscono anche operazioni disinformative e una continua violazione del segreto delle indagini che, secondo il ministro, complicano ulteriormente il quadro. Mancino ha ricordato il caso del quotidiano "La Sicilia" che ha fornito notizie delicate sul pentito Schembri e "anticipato" un blitz della polizia in un quartiere di Catania prima ancora che l'operazione fosse compiuta. "Intendiamoci, niente da dire sul diritto di cronaca: cosi' , pero' , bisogna convenirne, si annullano - ha detto il ministro Mancino - molti degli effetti delle investigazioni intelligenti. E' possibile il silenzio-stampa su indagini delicate?" si e' chiesto il ministro. "E se non e' possibile, sara' il caso di studiare misure speciali piu' adeguate e severe per le "fonti" che non sanno mantenere la bocca cucita". Mancino si e' recato a Palazzo Madama per rispondere ad interpellanze ed interrogazioni sull'allarme Mafia-P2, lanciato in agosto da alcune dichiarazioni del presidente del Senato, Giovanni Spadolini e dello stesso ministro dell'Interno. Il responsabile del Viminale ha detto chiaramente che "i riscontri che emergono oggi sui rapporti fra mafia e logge massoniche coperte o deviate non sono altrettanto chiari di quelli relativi al "caso Sindona" e al caso del centro "Scontrino" di Trapani e che allo stato dei fatti non risultano elementi che possano accreditare la tesi della risorgenza della disciolta loggia P2". Ma sulla vicenda che ha coinvolto Licio Gelli (la nuova indagine della magistratura di Arezzo sui conti del venerabile) il ministro e' stato implacabile, e ha fatto intendere che, senza il suo intervento di Ferragosto, l'inchiesta aretina avrebbe potuto essere archiviata, in sordina e senza clamore. "Un magistrato (Elio Amato, di Arezzo, ndr) si e' risentito - ha proseguito Mancino - perche' non avrei reso un servizio alla giustizia, interessata a mantenere segreta un'istruttoria. Segreta deve rimanere anche l'archiviazione? Anche le disattenzioni? Anche i ritardi? Proprio perche' avvocato, non posso dimenticare quali sono i confini di competenza che non devo varcare e non varchero'. Un'assicurazione che mi sento di dover confermare anche al giudice Caponnetto che, in un recente articolo, ha espresso un parere che non posso condividere. Che deve fare un ministro dell'Interno che legge, nello stesso giorno in cui ha parlato, un'intervista di Licio Gelli su un quotidiano in cui, facendosi chiaramente beffa dello Stato e dei suoi apparati, dichiara di avere manovrato nel decennio passato un movimento di capitali di diciassettemila miliardi? Doveva starsene zitto?". Il ministro dell'Interno, nel suo intervento al Senato, ha fornito anche un bilancio della lotta alla criminalita' organizzata, ribadendo che nei primi sei mesi di quest'anno, si e' registrata, rispetto all analogo periodo del '91, una flessione generale della delittuosita' pari a circa il 12%. Secondo Mancino "non si tratta di fenomeni spontanei di affievolimento dell' iniziativa criminosa, ma dell'effetto di un' azione di contrasto svolta senza risparmio di risorse umane, organizzative e materiali". [80]

 

Martedí 8 settembre 1992

Vengono arrestati su richiesta della magistratura italiana a Caracas, in Venezuela, i tre fratelli Pasquale, Gaspare e Paolo Cuntrera, accusati di associazione mafiosa, riciclaggio e traffico di stupefacenti. I Cuntrera vengono arrestati dalle forze di polizia venezuelane dopo forti pressioni dell´autoritá statunitensi: la Dea, l'antidroga americana, e l'Fbi, facendo appello ad una legge del Congresso che giustifica l'uso della forza, addirittura l'assassinio, contro chi attenta alla sicurezza degli Stati Uniti, avevano minacciato di intervenire direttamente in Venezuela per catturare i Cuntrera. Un'iniziativa usata in passato contro terroristi, ma mai contro esponenti del crimine organizzato. Gli Usa erano pronti ad una operazione militare di polizia internazionale, se i tre non fossero stati abbandonati al loro destino.[81]

 

 

Mercoledí 9 settembre 1992

 

Il Corriere della Sera riporta la notizia che a guardia dell'isola di Pianosa, quella in cui sono stati trasferiti numerosi boss della mafia dopo l'uccisione del giudice Paolo Borsellino, saranno schierati missili terra-aria. Motovedette della Guardia di Finanza e degli agenti di custodia, affiancate da unita' della Marina militare, controllano giá le acque attorno all'isola. Recentemente e' stato deciso un pattugliamento aereo con gli "Orca" della Piaggio. [82]

 

Il ministro della Giustizia Claudio Martelli parla dell´utilizzo delle supercarceri di Pianosa e dell´Asinara in un incontro con delegazioni regionali della Toscana e della Sardegna. Il Guardasigilli da garanzie sul ripristino dei due istituti di pena: il periodo non dovrebbe superare i tre anni. Ha anche annunciato la costituzione di un comitato che vigili sulla tutela ambientale nelle due isole. "Nel decreto antimafia c'e' un termine di riferimento relativo ad alcune norme, che e' di tre anni - ha spiegato Martelli -. Mi auguro che si possa dismettere l uso delle isole a fini penitenziari prima del termine fissato". [83]

 

 

Giovedí 10 settembre 1992

Vengono uccisi a Catania in un agguato di tipo mafioso Salvatore e Giuseppe Marchese, cugini del pentito Antonino Calderone, che con le sue rivelazioni ha ricostruito la struttura di Cosa Nostra.[84]

 

 

Sabato 12 settembre 1992

 

I fratelli Pasquale, Gaspare e Paolo Cuntrera vengono estradati in Italia.[85]

 

Il capo della polizia Vincenzo Parisi durante un incontro con i giornalisti a Genova dichiara: "Temo molto meno la mafia di quella parte dell' antimafia strumentale alla mafia... La falsa antimafia rappresenta il fatto di maggior gravita' a Palermo". E questa lobby, secondo Parisi, ha ruoli determinanti nei vettori della disinformazione, quelli che "mettono sostanzialmente in crisi la stampa facendo redarre notizie inesatte". Poi Parisi aggiunge: "La sceneggiata ai funerali di Palermo, l'aggressione che ne e' seguita ha fatto gli stessi danni dell' autobomba; e' stata la consacrazione alla pretesa capitolazione dello Stato". [86]

 

 

Lunedí 14 settembre 1992

 

Rino Germana', 42 anni, dirigente del commissariato di Mazara del Vallo (Trapani), sfugge ad un agguato di stampo mafioso: mentre sta rincasando con la propria auto lungo la litoranea che da Mazara porta sino alla contrada marinara di Tonnarella si accorge che qualcosa non va. Una Fiat Tipo con a bordo quattro tipi strani lo segue a poca distanza. Germana' pensa che e' meglio rallentare e dare strada, ma a quel punto intravede le armi. Con grande freddezza abbandona la vettura e si butta in mare rispondendo al fuoco dei killer. Nella sparatoria Germana' resta appena ferito di striscio alla testa, ma riesce a scampare alla morte.[87]

 

In merito all´estradizione dei fratelli Cuntrera il Corriere della Sera riporta la notizia di un´intercettazione telefonica effettuata un paio di giorni dopo la strage di via D´Amelio in cui si sarebbe fatto riferimento alla fretta nell´eseguire l´eccidio: Ci sarebbe da valutare la fondatezza delle indiscrezioni che parlano di un colloquio telefonico tra due siciliani, intercettato dalla polizia un paio di giorni dopo l'esplosione che fece a pezzi in via D'Amelio il giudice Paolo Borsellino e cinque poliziotti della scorta. Da Siculiana un misterioso personaggio legato alla mafia avrebbe parlato con qualcuno in Canada. Frasi concitate, con forti cadenze dialettali: "Abbiamo dovuto farlo in fretta... dovevamo fermarlo, era andato troppo avanti". Alessandro Pansa, dirigente della Criminalpol romana, ha smentito anche dopo aver fatto una breve verifica. "Non abbiamo mai intercettato telefonate del genere", ha detto secco, frenando i giornalisti che cercavano conferme all'ipotesi di un coinvolgimento delle famiglie siculo-canadesi (e cioe' dei Caruana e Cuntrera) nella strage di via D'Amelio. [88]

 

La Direzione investigativa antimafia comincia a prendere forma: 600 investigatori (sugli 800 previsti), sono stati selezionati tra polizia, carabinieri e guarddia di finanza vengono assegnato all´organismo. La struttura comincia a diventare operativa solo dopo le stragi di Capaci e via D´Amelio: "E amaro constatare - fanno notare dalla sede milanese (della Dia, ndr) - come tutto si sia rimesso in moto solo dopo l'attentato mortale al giudice Borsellino. Neanche l'omicidio Falcone era riuscito a smuovere le acque. Al sacrificio di questi due valorosi magistrati dovremo per sempre essere grati se la Dia funzionera' davvero." [89]

 

Il ministero dell´ambiente italiano smentisce la notizia del coinvolgimento di alcune ditte italiane in un traffico di rifiuti tossici con la Somalia affermando che nessuna impresa del nostro Paese ha inviato scorie nel Paese africano. Roma, dunque, smentisce le dichiarazioni del direttore dell' Unep (United Nations Environmental Program), Mustapa' Tolba, che, qualche giorno fa, aveva denunciato un traffico di questo tipo. Le indagini dei carabinieri del Noe (Nucleo operativo ecologico) si sono appuntate sulla societa' Progresso srl di Livorno, risultata estranea alla vicenda. La Progresso avrebbe dovuto partecipare a un business organizzato dalla Achair assieme agli imprenditori romani Vittorio Zondan e Pio Domenico Cesare alla costruzione di un inceneritore per rifiuti tossici in Somalia, ma si era ritirata dall'affare. La Achair, i cui proprietari Gilbert Hoffer e Pier Andre' Randin sono irreperibili, aveva ottenuto nel dicembre scorso, dal ministro della Sanita' somalo di allora, Nur Elmi, la concessione per costruire in Somalia un simile impianto. Alle trattative, comunque, avevano partecipato uomini d'affari e faccedieri svizzeri e italiani tanto da far pensare ad alcuni agenti inglesi che accanto alle scorie si stessero organizzando traffici di armi e di droga. Ecco spiegato il riferimento di Tolba alla mafia che avrebbe giocato un ruolo nell'affare rifiuti. Il governo somalo aveva silurato Nur Elmi gia' mesi fa, proprio perche' aveva firmato il contratto con la Achair. E Gilbert Hoffer, della societa' svizzera, ha effettuato ben piu' di un viaggio in Valtellina collegato all'affare rifiuti. [90]

 

 

Martedí 15 settembre 1992

Il ministro dell'interno Nicola Mancino denuncia durante un dibattito alla festa de L´Unitá di Reggio Emilia "collegamenti inquietanti" tra attivita' mafiose e logge massoniche coperte, citando "intercettazioni telefoniche in cui la persona del capo della disciolta loggia P2 ricorre piu' volte". Mancino ricorda il caso Sindona e sostiene: "Non posso affermare che la P2 sia risorta. Se ne avessi le prove scatterebbero le sanzioni di legge. Emergono pero' elementi inquietanti, collegamenti che impongono la vigilanza dello Stato, del ministero dell'Interno e della magistratura". [91]

 

 

Giovedí 17 settembre 1992

Ignazio Salvo viene ucciso a Palermo in un agguato di stampo mafioso. Ignazio Salvo era stato condannato al maxiprocesso a sette anni di reclusione (ridotti a tre in appello) e negli ultimi anni aveva ripreso in mano le redini dell'azienda di famiglia insieme con il fratello Alberto. La holding dei Salvo con interessi nell'agricoltura, nel turismo e in altri rami aveva abbandonato peró le esattorie su cui era stata fondata la fortuna dell'impero con l'aiuto di politici come Salvo Lima e di mafiosi come Paolino Bontade.[92]

 

 

Venerdí 18 settembre 1992

Si svolge allo stadio Favorita di Palermo uno spettacolo intitolato "Giu' la maschera. In scena contro la mafia", il cui incasso servira' per costruire una scuola. Allo spettacolo sono presenti 25.000 spettatori ed alcuni fra i piu' noti cantanti e uomini di teatro italiani: da Gino Paoli a Franco Battiato, da Vittorio Gassman a Giorgio Strehler. Vengono letti i messaggi della sorella del giudice Falcone, Maria, e dei tre figli di Paolo Borsellino. Maria Falcone ha scritto: "Mi auguro che la morte di questi due autentici servitori dello Stato diventi il peggiore affare concluso dalla mafia". I figli di Borsellino: "Se e' vero che dobbiamo toglierci la maschera dell'indifferenza e' bene che questa non venga rimessa al di fuori di questo stadio e delle manifestazioni": [93]

VIDEO: Franco Battiato canta Povera Patria allo stadio La Favorita di Palermo


 

Lunedí 21 settembre 1992

Vengono arrestati in Floridas negli USA i fratelli Giovanni e Giuseppe Gambino, giá condannati dal tribunale di Palermo nel 1985 per traffico di sostanze stupefacenti.[94]

 


Venerdí 25 settembre 1992

Scatta l´operazione internazionale di polizia denominata Green Ice al termine della quale vengono arrestate 30 persone in Italia, 2 in Costa Rica, 2 in Inghilterra, 15 in Spagna e 152 negli USA. É stato cosí sgominato un clan composto in buona parte da personaggi insospettabili che si dedicavano al traffico di droga e curavano l'investimento in affari puliti degli enormi capitali ricavati. I due esponenti di maggior spicco dell'organizzazione vengono bloccati a Roma: Jose' Duran e Pedro Villaquiran. Jose' Duran, trentottenne colombiano dai capelli imbrillantinati, detto "il papa", e' il personaggio di gran lunga piu' importante. Gli investigatori lo consideravano il nuovo re della droga, che aveva soppiantato Pablo Escobar. Erano nove mesi che gli davano la caccia. Pedro Villaquiran, detto Pablo, colombiano anche lui, era gestore della distribuzione della cocaina in Europa. I colombiani rifornivano mafia, camorra e 'ndrangheta. A raccogliere i soldi a Roma provvedevano una donna olandese, Betty Martens, e dieci societa'. [95]



Sabato 26 settembre 1992

Nuove minacce di morte per il PM milanese Antonio Di Pietro. Una telefonata anonima al centralino di una caserma annuncia che un'autobomba sarebbe pronta per lui. E una vettura misteriosa lo ha seguito giorni fa, quasi fino a Curno, nel Bergamasco, dove abita: inseguita dagli uomini della scorta, e' sparita.[96]

 

Domenica 27 settembre 1992

In un´intervista al Corriere della Sera l´ex magistrato Antonino Caponnetto spiega le ragioni che lo hanno convinto a rifiutare l´incarico di consulente antimafia propostogli dal ministro di giustizia Claudio Martelli:

Il giudice Antonino Caponnetto ha definitivamente rinunciato alla consulenza sulla criminalita' organizzata che gli era stata offerta dal ministro della Giustizia, Martelli. La notizia, anticipata un mese fa da Liliana Ferraro, che ha preso il posto di Giovanni Falcone alla direzione Affari penali del ministero, e' stata ribadita ieri a Firenze dallo stesso Caponnetto nel corso di un incontro sulla lotta alla mafia organizzato dal circolo Fratelli Rosselli e dal sottosegretario agli Esteri Valdo Spini. L'anziano magistrato ha lavorato con Falcone per quasi cinque anni, dal 1983, quando da Firenze si trasferi' all'Ufficio istruzione di Palermo per andare a occupare il posto di Rocco Chinnici. In Sicilia ha vissuto una vita blindata e nelle ultime settimane la scorta che non lo ha mai abbandonato e' tornata in massima allerta.

Paolo Fallai (F): “Giudice Caponnetto, lei ha giustificato questa decisione parlando di "problemi familiari e personali".

Antonino Caponneto (C): "E una scelta che ho gia' chiarito. L'impegno che mi veniva richiesto mi avrebbe portato per tre o quattro giorni la settimana a Roma, avrei dovuto vivere in caserma: ho gia' 72 anni e non me la sento piu' di sacrificare la mia famiglia, ne' di togliere tempo ad altri impegni".

F: “Ma ha detto che quel progetto era "fumoso, non ben definito".

C: "Intendevo solo dire che non abbiamo mai avuto il tempo di definirlo nei dettagli. Questo l'ho spiegato al ministro Martelli in una lettera in cui lo ringraziavo per l'offerta. In quella frase non c'era intento polemico, tanto e' vero che ho accettato di partecipare alla commissione tecnico.giuridica presieduta da Giovanni Conso".

F: “Perche' ?”

C:  "É certamente un impegno meno oneroso. Il presidente e i colleghi fanno in modo che i lavori si concludano in giornata, per consentirmi di tornare a dormire a casa".

F: “Quanto hanno inciso nelle sue decisioni le perplessita' che lei ha espresso piu' volte sulla reale volonta' dello Stato di combattere la mafia?”

C: "In alcun modo, una cosa sono le mie opinioni, che vado ripetendo fin dalla campagna elettorale della scorsa primavera quando mi sono candidato per la Rete, altra cosa sono i miei problemi personali. Solo che allora erano davvero pochi i giornali interessati alle mie affermazioni".

F: “Eppure, e' un dubbio che lei ha espresso anche ieri, affermando che non si dimostra volonta' di colpire la criminalita' eleggendo presidente della commissione Giustizia l'avvocato difensore di alcuni camorristi”.

C: "Anche questa e' storia vecchia, ed e' una polemica che risale al momento in cui vennero eletti i presidenti delle commissioni parlamentari. Ho detto e ripeto che quella scelta non mi sembra la piu' opportuna. Ma ogni giorno faccio decine di esempi del genere".

F: “Come quando ha citato Giulio Andreotti e la sua dichiarazione sui "5.000 mafiosi che non possono essere un problema per lo Stato"?

C: "Certo, e' una frase che ripeto spesso. Andreotti ha parlato di 5.000 mafiosi e proprio in questi giorni l'Ispes ha reso noto cifre ben diverse su questo fenomeno criminale: 50.000 persone inquadrate nei gruppi di fuoco e 500 mila uomini complessivamente controllati. Qualunque giudice abbia lavorato su questo problema, queste cifre le conosceva gia', sono i politici che per molto tempo le hanno ignorate. Ma certo, non dico solo questo, ci sono anche elementi positivi".

F: “Per esempio?”

 "Gli ultimi provvedimenti adottati in materia finanziaria per controllare il flusso di capitali dei mafiosi, gli arresti eccellenti, un maggior rigore nella gestione della detenzione dei criminali, sono tutte iniziative importanti".

F: “Rifiutando l'incarico di consulenza lei ha detto che non vuole togliere tempo ad altri impegni. Quali sono?”

C: "Ogni settimana ricevo centinaia di richieste di interventi a manifestazioni ma soprattutto mi chiedono di parlare nelle scuole agli studenti. Se non sono troppo distanti da Firenze e non creano problemi alla scorta, io cerco di non dire di no: sento quanto e' necessario parlare di mafia".

F: “Con pessimismo o con un minimo di fiducia?”

C: "Se non avessi un po' di speranza non andrei in giro a parlare ai piu' giovani".[97]

 

In un agguato di stampo mafioso a Scordia (Catania) vengono uccisi Silvano Di Salvo, 39 anni, con precedenti penali, fratello del noto boss mafioso latitante Giuseppe Di Salvo, ed Antonio Urzi', 29 anni, bracciante agricolo. Inoltre viene gravemente ferito il pregiudicato Salvatore Cannizzaro, di 32 anni.[98]

 

 


Lunedí 28 settembre 1992

Viene arrestato a Palermo il ventisettenne Vincenzo Scarantino, sospettato di aver preparato la Fiat 126 imbottita di tritolo utilizzata nella strage di via D´Amelio.[99]




[1] Corriere della Sera, 01-08-1992

[2] Corriere della Sera, 02-08-1992

[3] Corriere della Sera, 02-08-1992

[4] Corriere della Sera, 05-08-1992

[5] Corriere della Sera, 04-08-1992

[6] Corriere della Sera, 04-08-1992

[7] Corriere della Sera, 05-02-1992

[8] Corriere della Sera, 04-08-1992

[9] La data dell’incontro risulta dall’agenda dell’ufficiale dei carabinieri Mario Mori

[10] Corriere della Sera, 06-08-1992

[11] Guglielmo Sasinini, „Quel giudice dovevo ucciderlo io“, Famiglia ristiana n° 32, 05-08-1992

[12] Breda Marzio, “Giudice a Trapani come a Saigon: tanta voglia di mollare”, Corriere della Sera, 05-08-1992

[13] Corriere della Sera, 07-08-1992

[14] Vittorio Grevi, “Testimoni piu' tutelati dalle minacce dei clan polizia piu' forte con infiltrati e intercettazioni”, Corriere della Sera, 06-08-1992

 

[15]  Corriere della Sera, 06-08-1992

[16]  Corriere della Sera, 08-08-1992

[17] Guido Gentili, “Spadolini: la democrazia é malata”, Corriere della Sera, 09-08-1992

[18] Corriere della Sera, 09-08-1992

[19] La Repubblica, 11/8/1992

[20] L’Unità, 10/8/1992

[21] Corriere della Sera, 11-08-1992

[22] Corriere della Sera, 11-08-1992

[23] Corriere della Sera, 11-06-1992

[24] Corriere della Sera, 12-08-1992

[25] Corriere della Sera, 12-08-1992

[26] L’Unità, 12/8/1992

[27] Corriere della Sera, 12-08-1992

[28] Adriano Baglivo, "Tutto riporta a Lima. Borsellino, conferma: telefono sotto controllo”, Corriere della Sera, 13-08-1992

[29] Corriere della Sera, 14-08-1992

[30] Corriere della Sera, 13/14-08-1992

[31] Corriere della Sera, 14-08-1992

[32] Corriere della Sera, 14-08-1992

[33] Maria Antonietta Calabró, “Ora Martelli punta il dito su Carnevale”, Corriere della Sera,14-08-1992

[34] Corriere della Sera, 14-08-1992

[35] L’Unità, 17/8/1992

[36] Corriere della Sera, 17-08-1992

[37] Corriere della Sera, 17-08-1992

[38] L’Unità, 18/7/1992

[39] Corriere della Sera, 18-08-1992

[40] Corriere della Sera, 18-08-1992

[41] La Repubblica, 19/8/1992

[42] Corriere della Sera, 18-08-1992

[43] Corriere della Sera, 18-08-1992

[44] Corriere della Sera, 19-08-1992

[45] Corriere della Sera, 19-08-1992

[46] Corriere della Sera, 19-08-1992

[47] Corriere della Sera, 21-08-1992

[48] Corriere della Sera, 20-08-1992

[49] Corriere della Sera, 20-08-1992

[50] Corriere della Sera, 21-08-1992

[51] Corriere della Sera, 21-08-1992

[52] La Repubblica, 21/8/1992

[53] La Repubblica, 22/8/1992

[54] Corriere della Sera, 22-08-1992

[55] Corriere della Sera, 22/08/1992

[56] Corriere della Sera, 21-08-1992

[57] Corriere della Sera, 22-08-1992

[58] Corriere della Sera, 24-08-1992

[59] Corriere della Sera, 23-08-1992

[60] Corriere della Sera, 24-08-1992

[61] M. S., Ayala: si e' rotto qualcosa nel rapporto fra mafia e politica, Corriere della Sera, 24-08-1992

[62] Corriere della Sera, 27/28-08-1992

[63] Marco Nese, “Una donna giudice al posto di Falcone”, Corriere della Sera, 27-08-1992

[64]  Corriere della Sera, Europa: la mafia é anche cosa nostra, Paola Di Caro, 28-08-1992

[65] Corriere della Sera, 29-08-1992

[66] Corriere della Sera, 29-08-1992

[67] Corriere della Sera, 29-08-1992

[68] Corriere della Sera, 29-08-1992

[69] Corriere della Sera, 29-08-1992

[70] Corriere della Sera, “Vittima della mafia, dimenticata dallo Stato”, Enzo Mignosi, 29-08-1992

[71] Corriere della Sera, “Gli operai del padrone ricattato: ti regaliamo la nostra tredicesima”, Alfio Sciacca, 29-08-1992

[72] Processo TER per la strage di via D´Amelio a Palermo, Tribunale di Caltanissetta, udienza del 27 marzo 1999

[73] Corriere della Sera, 06-09-1992

[74] Corriere della Sera, 02-09-1992

[75] Corriere della Sera, 02-09-1992

[76] Corriere della Sera, 06-09-1992

[77] Corriere della Sera, 07-09-1992

[78] Corriere della Sera, 07-09-1992

[79] Enzo Mignosi,  “Narduzzu Messina, il pentito venuto dal nulla”, Corriere della Sera, 06-09-1992

[80] Corriere della Sera, “Corriamo il rischio di nuovi attentati”, M. A. Calabró,  08-091992

[81] Corriere della Sera, 13-09-1992

[82] Corriere della Sera, 09-09-1992

[83] Corriere della Sera, 10-09-1992

[84] Corriere della Sera, 11-09-1992

[85] Corriere della Sera, 13-09-1992

[86] Corriere della Sera, 13-09-1992

[87] Corriere della Sera, 15-09-1992

[88] Corriere della Sera, 14-09-1992

[89] Corriere della Sera, 3/14-09-1992

[90] Corriere della Sera, 15-09-1992

[91] Corriere della Sera, 16-09-1992

[92] Corriere della Sera, 18-09-1992

[93] Corriere della Sera, 19-09-1992

[94] Corriere della Sera, 22-09-1992

[95] Corriere della Sera, 28/29-09-1992

[96] Corriere della Sera, 27-09-1992

[97] Paolo Fallai, “Caponnetto, i motivi di un no”, Corriere della Sera, 27-09-1992

[98] Corriere della Sera, 28-09-1992

[99] Corriere della Sera, 29/30-09-1992

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