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Processo Mori. Giudice Sabella: il pm Chelazzi voleva indagare Mori PDF Stampa E-mail
Documenti - I mandanti occulti
Scritto da Maria Loi   
Mercoledì 12 Gennaio 2011 16:16
Clicca qui per l'audio integrale registrato da Radioradicale (95Mb). (licenza Creative Commons attribuzione 2.5)
 

Palermo. Stava indagando sui mandanti esterni delle stragi del ’93 l’ex pm di Firenze Gabriele Chelazzi, morto anni fa, quando si imbatté nel nome del generale dei carabinieri Mario Mori, che Chelazzi voleva mettere sotto indagine con l’accusa di favoreggiamento aggravato a Cosa nostra nell’ambito della cosiddetta trattativa tra lo stato e la mafia.
    

A riferire le confidenze del pm fiorentino è stato Alfonso Sabella nel processo per la mancata cattura del boss mafioso Bernardo Provenzano che vede indagati per lo stesso reato (favoreggiamento aggravato) il generale del Ros Mori e il colonnello Mauro Obinu.
Chiamato come testimone dall’accusa, Sabella ha ricordato che Chelazzi “avrebbe voluto iscrivere nel registro degli indagati Mario Mori” in relazione  ad una “ipotesi di patto tra pezzi dello Stato e pezzi della mafia per far cessare la strategia stragista e riconoscere qualcosa in cambio” a Cosa Nostra. “Un discorso che politicamente può avere una sua valenza ma che giuridicamente ha le sue conclusioni” ha precisato il magistrato.
Nella deposizione di stamani, davanti alla quarta sezione del Tribunale palermitano, l’ex pm palermitano ha espresso perplessità sui metodi investigativi del raggruppamento del generale Mori elencando gli episodi e gli elementi che l’hanno indotto a parlare di “scarsa limpidezza” del Ros.
In particolare Sabella ha citato la mancata perquisizione del covo di Riina, definito dal magistrato “il peccato originale”; la vicenda di Giuseppe Maniscalco, un uomo ritenuto vicino al boss Bernardo Provenzano per il quale il pm apprese da un collega che due carabinieri del Ros avevano chiesto alla procura di non presentare appello all’assoluzione di primo grado “perché era un confidente del Ros” (venne poi arrestato pochi mesi dopo, nel 1997, per l’omicidio Arato); la questione del boss delle Madonie Mico Farinella visto dai militari del Ros mentre era latitante ma non arrestato e la riunione che si tenne nell’allora ufficio del procuratore Caselli in cui il Ros chiese di non interferire nel territorio compreso tra Marineo, Mezzojuso e Campo Felice di Fitalia perché avevano concentrato le indagini su Bernardo Provenzano.
“A noi sembrava che il Ros agisse in un’altra direzione, per acquistare informazioni non come forza di polizia ma per altri motivi, a noi sconosciuti” ha detto Sabella, al punto che chiese all’ex procuratore di Palermo Caselli di togliere al reparto speciale l’esclusiva nelle ricerche di Provenzano.
Sempre stamani è stato sentito anche il capitano Ultimo teste della difesa del prefetto Mario Mori e del colonnello Obinu.
L’ufficiale dei carabinieri, nascosto dietro un paravento, ha difeso il suo superiore, ribadendo di aver avuto la più ampia disponibilità di mezzi e di uomini  per le ricerche di Provenzano e ha smentito le dichiarazioni rese da Massimo Ciancimino in merito all’arresto di Totò Riina.
Al processo Mori, Ciancimino jr aveva affermato che il padre convinse Provenzano a facilitare la cattura del capo dei capi facendogli indicare sulle mappe catastali il nascondiglio di Riina e famiglia.
Il processo è stato rinviato al prossimo 8 febbraio per sentire il giudice Stefano Manduzio, il capitano Carmelo Canale e i generali Giuseppe Tavormina e Francesco Delfino.
Sarà  ascoltato invece il 15 febbraio prossimo il colonnello dei Carabinieri Giuseppe De Donno.

Maria Loi

da Antimafiaduemila.com









 

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